Wilson Project Space |
Una conversazione con Dario Costa responsabile dello spazio espositivo Wilson Project.
Il primo progetto Wilson Project è cresciuto all'interno di una ex officina, dove sono state allestite le prime mostre.
Il primo progetto Wilson Project è cresciuto all'interno di una ex officina, dove sono state allestite le prime mostre.
Il nuovo spazio si trova, ora, la centro storico di Sassari. E' stato inaugurato questa estate con la mostra di un giovane artista, Martina Bassi e prosegue in autunno con Igino Panzino.
Questo linea irregolare definisce il modo di pensare all'arte di Dario Costa, interessato sia alle nuove proposte, che ad artisti storicizzati del nostro panorama nazionale.
Questo linea irregolare definisce il modo di pensare all'arte di Dario Costa, interessato sia alle nuove proposte, che ad artisti storicizzati del nostro panorama nazionale.
A.R.C. Parlami di
questo spazio. Cos’è Wilson Project?
D.C. E’ uno spazio no profit che ho aperto due anni fa. Invito artisti a
presentare dei progetti.
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Martina Bassi, òPPERSPEC, 2014 |
Ho affidato le
curatele a Micaela Deiana, una giovane curatrice. Con lei abbiamo iniziato a
lavorare con giovani artisti del territorio. In seguito ho intrapreso
collaborazioni con altre gallerie, altri spazi e fondazioni portando artisti che non lavorano in Sardegna.
Mi interessava creare un confronto, creare delle opportunità di relazione.
Mi interessava creare un confronto, creare delle opportunità di relazione.
Abbiamo inaugurato il nuovo spazio, qui al centro storico,
con la personale di Martina Bassi òPPERSPEC, a cura di Giovanna Mazzotti.
A.R.C. Ho conosciuto
Wilson Projet nel vecchio spazio, non in periferia, ma un luogo meno centrale.
Era un garage o sbaglio?
D.C. L’ex officina di un’elettrauto. Mi piaceva l’idea di uno spazio vissuto.
Ho lasciato il pavimento così com’era, una vecchia graniglia degli anni
Cinquanta corroso dalle batterie usate per anni dal meccanico.
Mi piaceva l’idea di
un’officina in cui si montano e rismontano le cose. Era un’officina di progetto
in cui gli artisti potessero lavorare.
Abbiamo fatto diverse
cose. Io non seguo un vero e proprio programma, non mi piace seguire un filone
artistico. Mi piace molto il contatto con l’artista, sapere quanto si voglia
mettere in gioco e condividere il suo lavoro con ciò che faccio.
Questo è per la Sardegna
un periodo interessante, forse perché rispetto a certi linguaggi è più vergine.
A.R.C. Forse perchè è un isola. E’ un
concetto che torna spesso nei discorsi degli artisti sardi, ogni passaggio di
generazioni. Dell'isolamento bisogna tenere conto, non
necessariamente in senso negativo. Quello che potrebbe apparire uno svantaggio,
diventa un’opportunità, se saputa cogliere.
D.C. Sì. Da poco ho visto un documentario su un’isola. Mi ha colpito una
frase relativa ad alcune specie di animali che lì prosperavano. In un’isola ci
sono meno predatori, questo ti protegge ma di contro ti fa abbassare la
guardia. Ritornando all’arte, abbassare la guardia significa non essere
aggiornati, oggi possiamo conoscere attraverso il web.
Penso che sia
necessario fare esperienze fuori dal proprio orticello. Mi sono sempre mosso,
ho viaggiato, ho cercato il confronto. Però, penso che in un’isola ci possa
essere più libertà.
A.R.C. Quanto conta internet nel tuo lavoro. Nel conoscere
giovani artisti, nel far conoscere il tuo progetto?
D.C.
Un tempo quello che oggi è rappresentato da internet, era rappresentato dalle
grandi fiere.
Di solito erano
appuntamenti immancabili. Incontro tra galleristi, artisti, collezionisti.
Oggi non c’è galleria
che non abbia un sito. Gli artisti che non hanno un loro sito, hanno un blog o
condividono le immagini dei loro lavori sui social.
Le Biennali erano
delle occasioni d’incontro di grandi collezionisti, era un occasione per vedere
gli artisti. Prima di internet la scoperta di nuovi artisti avveniva esclusivamente
mediante questi passaggi. Oggi, con internet questo tipo di rapporti non è più
esclusivo.
Rimanendo nel contesto
nel quale lavoro, cioè la Sardegna, per i giovani artisti, per gli studenti
dell’accademia, ma anche per me è un’ opportunità. I mezzi di trasporto sono
sempre quelli che sono, siamo pur sempre un’isola.
A.R.C. I vantaggi e gli svantaggi però si equivalgono. Sul
web fai difficoltà a distinguere la qualità dalla fuffa. Molto spesso, un’alta
qualità tecnologica non corrisponde a qualità di contenuti.
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Daria Irincheeva, "Almost aqua" 2013 |
D.C. Sì, spesso vengono costruite mostre in funzione di ciò che rende meglio
nell’installazione o in una pubblicazione.
A.R.C. Penso che funzionasse così anche per certe riviste
patinate. Si pubblica l’opera che funziona meglio in foto. Diciamo che in questi casi c’è un filtro, sul web la democrazia
orizzontale digitale può disorientare.
D.C.
E’ comunque un’opportunità per tenerti aggiornato, conoscere.
Qui in Sardegna abbiamo avuto un momento molto intenso nell’arte contemporanea. Molti artisti hanno collaborato con
gallerie e avuto notorietà fuori dalla Sardegna. I giovani di allora avevano
alle spalle l’esperienza di artisti, più anziani, che hanno lavorato in un
territorio più acerbo, eppure hanno tracciato il cammino. Wilson ha dedicato una mostra a Maria Lai, ad esempio. Da artista e ideatore di uno spazio espositivo, come ti poni
rispetto a questo tipo di sedimentazione?
D.C. Certe esperienze sono sicuramente legate
al mercato. Io sono molto curioso, mi interessa conoscere esperienze che non ho
potuto vivere di persona, perchè ero troppo piccolo.
In Sardegna avevamo la
Galleria Duchamp che negli anni Settanta e Ottanta è stata un luogo di
progettazione e riferimento per diverse generazioni di artisti.
Oggi si parla molto di
Maria Lai, che naturalmente è forse la più nota, ma ci sono molti artisti sardi
che hanno lavorato alla Galleria Duchamp in quel periodo: Aldo Contini, Igino Panzino,
Ermanno Leinardi, Tonino Casula. Sono molto interessato a quest’esperienza. Sì, nell'altro spazio rendemmo omaggio a Maria Lai con la mostra Carica di futuro, erano alcune opere di collezioni private.
A.R.C. E’ particolare che pur occupandoti di uno spazio
proiettato nel futuro, uno spazio nuovo, che lavora con i giovani, sei
interessato a creare dei ponti, con artisti del passato e
realtà espositive che hanno lasciato una traccia importante nell’arte
contemporanea della Sardegna.
La Galleria Duchamp è legata ad un’epoca ben precisa, anche
con i limiti di quell’epoca. Come nasce questo interesse?
D.C. Forse abbiamo più limiti adesso. Occuparsi di determinati artisti dovrebbe essere un dovere delle istituzioni.
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Ever Growing, 2012 |
D.C. Forse abbiamo più limiti adesso. Occuparsi di determinati artisti dovrebbe essere un dovere delle istituzioni.
L’interesse per la
Galleria Duchamp nasce da una curiosità che si è sviluppata leggendo articoli,
recensioni. Ho visto che sono state fatte personali di Fontana, Rotella ho
letto nomi come Barruchello, Dorazio, Melotti, Nivola. In Sardegna mancano
gallerie di riferimento che facciano questo tipo di lavoro.
Ho dei progetti futuri
in questo senso. La prossima mostra sarà Antologica breve di Igino Panzino. Il mio progetto come vedi va in
questa direzione.
Quando abbiamo aperto
il Wilson Project ci eravamo detti che avremmo voluto uno spazio aperto alla
sperimentazione, al dialogo con il territorio, indipendente non solo nel senso
istituzionale ma anche rispetto a un sistema dell’arte troppo svelto e
superficiale nel decidere il cool e l’uncool.
Uno spazio dedicato al
contemporaneo, un presente che include passato e futuro.
A.R.C
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