Incontro
Antonio sul Lungomare di Porto Torres. Ancora per caso. L’ultima volta, circa
otto anni fa, abbiamo parlato del suo lavoro, la sua carriera nella moda. Mi
dice: <<pensavo proprio a te, volevo parlarti di una mostra fotografica che farò
a Milano il prossimo settembre.>> Mai contraddire il caso, è il motore della
creatività e dell’arte. Prendiamo un caffè. Siamo entrambi in vacanza. Chiacchieriamo,
mi racconta del progetto. Ci separiamo con l’accordo di prenderci il tempo
giusto per dare forma alla conversazione. Lasciamo la fluidità delle parole alla
lentezza della chat (sembra una contraddizione, invece no) decidiamo che nei
momenti di pausa io gli chiedo qualcosa e lui, quando ha tempo, risponde.
A Different Point Of View presentata da Roberto Mutti nello spazio Kryptos a Milano, per la 17TH edizione del PHOTOFESTIVAL è un progetto che riflette sulla costruzione dell’immagine
femminile e sulla realtà del femminile. Quella della moda è una costruzione
fatta di canoni stereotipati a partire da modelli sociali, fisici, quasi sempre
ideali: ”l’immagine del desiderio”. Antonio Sotgiu design nella moda e fotografo per passione non si sottrae all’idea di proporre una sua personale visione
del mondo a cui appartiene. A Different
Point Of View è composta da una serie di scatti realizzati con lo
smartphone, una scelta che gli consente di sottrarsi all’ immagine patinata,
sostituendo alla perfezione tecnica uno stile snapshot. Un itinerario in tre
fasi sulla rappresentazione della donna e sulla fascinazione che la bellezza esercita
su tutti noi. L’autore ne sottolinea inciampi e luoghi comuni visivi: ciò che pensiamo
di sapere e di vedere spesso risulta essere un luogo comune, una messa in scena
e, là dove talvolta crediamo di vedere una messa in scena, troviamo invece la
realtà. Ha come riferimento visivo Andy Warhol, Man Ray e propone scatti di modelle
feticcio, manichini, attrici, amiche, madri; spetta a noi trovare la bellezza,
la verità e l’artificio, comprendere la messa in scena e conoscere la verità
del racconto. Del resto era Warhol che diceva <<Non saprei dire dove
l’artificiale finisca e inizi il reale.>> I, 94*
ARC A
settembre avrà inizio la 17th edizione di PHOTOFESTIVAL 2022 Milano, dal titolo
Ricominciare dalle immagini. Sarai
presente con A Different Point Of View.
Come nasce questo progetto?
AS Questo
progetto nasce, come tutto nella mia vita, in modo casuale. Sono andato a
vedere una mostra allo spazio Kryptos e Giuseppe Trifirò, responsabile dello
spazio assieme a Maria Carmela Ventura, dopo aver saputo che ho studiato
fotografia al liceo, ho fotografato per tanti anni e ancora fotografo, mi ha
proposto di esporre una personale. Gli ho spiegato che mi occupo di moda e la
fotografia rappresenta per me un rifugio, mi allontana dalla routine del lavoro
che nella moda ha un ritmo molto serrato. Comunque, ha trovato interessante il
mio modo di vedere e così è iniziato tutto.
ARC Che tipo di narrazione visiva hai realizzato?
AS La mostra
è concepita a partire dai miei diari. Per ogni progetto realizzo sempre un
quaderno, un agenda, un diario con tutto il percorso che voglio sviluppare. Il
progetto mi caratterizza, è un aspetto del lavoro a cui dedico molta attenzione.
Così, presento in galleria questo immenso materiale e naturalmente le stampe di
prova e Beppe rimane molto sorpreso dalla mole di lavoro. Mi presenta Roberto
Mutti, curatore della mostra, nonché curatore di PHOTOFESTIVAL 2022. A quel
punto penso che non sia una cosa per me, non per modestia, la falsa modestia
non mi appartiene, piuttosto non pensavo mi riguardasse. Ho accettato, pensando
ad una mostra piccola, comunque un progetto breve, invece è diventato qualcosa
di più grande. A Different Point Of View farà parte della 17TH edizione del Photofestival, a cui non avrei mai pensato di partecipare.
ARC Se la
progettazione per te è importante, perché la scelta di un dispositivo come lo smartphone,
che sembra il mezzo più consono per una foto “sbagliata”? Come hai reso
compatibile la progettazione e lo smartphone?
AS Tutto è
partito proprio da questa idea, cioè usare un dispositivo apparentemente non
adeguato, nel senso che ho voluto dare alla progettazione un’impronta nuova –
nuova per modo di dire, perché già Andy Wharol usava la polaroid per fare i
suoi lavori – quindi così come la polaroid è stata un mezzo innovativo e
popolare per Wharol, mi pare si possa dire lo stesso oggi per lo smartphone: un
mezzo di uso comune, usato in modo “sbagliato”. Volevo dare una soluzione nuova
all’utilizzo del mezzo, una mia interpretazione. Tra l’altro, proponendomi in
una galleria come lo spazio Kryptos, a Milano, volevo che fosse molto chiaro,
dichiarato che gli scatti fossero realizzati con lo smartphone, per dare il
livello adeguato e rimettere tutto al posto giusto. Non volevo degli scatti
perfettissimi, non mi interessava questo approccio, volevo mettere in evidenza
il contenuto su la mia visione della donna. Ho scartato tutti gli scatti fatti
con macchine professionali, ho scelto quindi solo immagini scattate con lo
smartphone, il che mi ha aiutato a dare la giusta misura al discorso. Il
contenuto doveva superare la tecnica di una foto perfetta.
ARC - DIFFERENT POINT OF VIEW: un differente punto di vista sulla donna da parte di chi per lavoro continuamente immagina, disegna, misura, veste un corpo femminile ideale e reale. In cosa consiste questo punto di vista? Che tipo di percorso è quello che hai realizzato per questa mostra?
AS L’aspetto fondamentale non è tanto vestire, ideare e poi adattare ad un immaginario femminile irreale, questo è quello che succede quando si inizia a lavorare, la parte fondamentale di questo percorso in mostra è stato mettere in evidenza l’idealizzazione del corpo. Quanto il corpo delle donne, nel mondo della moda e della comunicazione, è il processo di costruzione di un modello. Ad esempio, quello rappresentato da un corpo estremamente magro, idealizzato e non reale, perché è chiaro che le modelle sono un feticcio. Volevo mostrare un’altra visione di questo stereotipo. Sono partito dall’immaginario femminile che avevo quando ho iniziato questo lavoro, quando ero più giovane e l’immagine della donna era di una figura estremamente magra, molto alta, che aveva dei canoni che non rispecchiano la realtà. Sono passato a rappresentare una figura fatta di misure, di canoni, che diventano poi effettivamente un manichino, come accade alla modella ritratta accanto al suo manichino, un calco ottenuto attraverso il body scanner della modella stessa, quindi la nascita di un feticcio. Non è una cosa reale. Lei è una modella molto importante, ha lavorato con molte Maison. E’ una donna di 35 anni, ha una figlia, lavora, sfila. Il suo corpo è estremamente magro, ma è il suo corpo reale, naturale, anche se potrebbe non sembrare vero. Questo per far capire che lei è fatta così, non è un corpo da imitare, non è un corpo da portare alle ragazze come esempio, perché potrebbe portare messaggi sbagliati. Dalla modella vera e propria, ad un certo punto sono passato alla modella manichino e dagli scatti coi manichini infine alle donne reali. E’ la costruzione di un immaginario. Mi interessava dire che le modelle sono queste, le modelle diventano un feticcio, un manichino, che è una parte della mostra e, dal manichino arrivo alle donne vere. Ho ritratto amiche, madri, attrici. Perché al di là della moda, le donne hanno il diritto di essere quello che realmente sono.
ARC Tra le
immagini in mostra ci sono anche i collage. Sono tuoi scatti o appropriazioni? Mi
interessava sapere se la loro presenza riguarda un preciso stereotipo culturale
che volevi mettere in evidenza, ad esempio certe declinazioni del femminile
etnografico, spesso presenti in foto di moda, pubblicità?
AS Gli scatti
sono tutti miei. Ho voluto mettere in questi piccoli collage le
rappresentazioni che la donna ha dovuto vestire nella società nel corso della
sua storia. Ho realizzato gli scatti ricostruendo una situazione, una storia.
Le tre attrici interpretano un ruolo. In uno dei collage ad esempio è presente
una donna sarda che prega davanti ad una porta. Sembrerebbe una madre che
aspetta, forse suo figlio -sotto c’è la foto di una bici- e come se il figlio
fosse andato via, a giocare o partito per un viaggio. E’ un’attesa. Ma la scena
è una ricostruzione. La ragazza che interpreta la madre non è una persona che
vive indossando il costume sardo. E’ una persona che ho incontrato durante una
rappresentazione folcloristica a San
Gavino, a Porto Torres. L’altro college, in tutto sono tre, rappresenta lo
stereotipo della Geisha. Come si può vedere di lato c’è una targa con su
scritto camerino. Non è una Geisha, è un’attrice che ho fotografato dietro le
quinte di una rappresentazione di Madame
Butterfly. Sopra ci sono dei fiori, non sono dei fiori di ciliegio, ma ne
evocano il colore, perché rappresenta un altro stereotipo di donna, di donna
orientale. Volevo fosse evidente l’associazione dei luoghi comuni.
L’ultima è una rappresentazione storica in un paese del nord Europa, mi pare Stoccolma. E’ la ricostruzione di scene domestiche in alcune piccole case che venivano date in uso a contadini, lavoratori della terra. Le donne avevano tutto il necessario in un’unica stanza: il caminetto, il letto ecc. perché vivevano soprattutto fuori, negli orti. Questa ricostruzione è realizzata dall’ufficio del turismo, quindi anche questa è la una messa in scena, rappresentazione di un ruolo che aveva una donna contadina del nord Europa, penso intorno agli anni quaranta o nell’immediato dopoguerra. Ho deciso di realizzare il collage perché mi piaceva l’idea di raccontare delle piccole storie, piuttosto che esporre le singole foto.
ARC L’anno scorso sei apparso assieme a tanti
volti noti nel progetto I Muri del silenzio di Mjriam Bon e Giusy Versace, un
progetto contro la violenza di genere. Tieni molto a questo progetto. Me ne
vuoi parlare?
AS Sì, questo
tema chiude il percorso della mostra. La violenza di genere è un tema che mi
interessa molto. Si collega tutto come in un anello. Avrò ospite Mjriam Bon,
una fotografa e Giusy Versace che hanno collaborato per un progetto che si
chiama “I muri del silenzio” contro la violenza di genere. Ho avuto l’onore di
essere uno dei volti ritratti assieme a tanti personaggi noti e meno noti. Dei
numerosi realizzati per il progetto, ospiterò due trittici, nei quali i
personaggi ritratti simulano le tre scimmiette del non vedo, non sento, non
parlo. Un atto contro l’omertà, la non curanza, un atto di ribellione contro
tutto ciò che genera violenza di genere, non solo la violenza in sé, ma anche
il messaggio violento.
* I'll Be Your Mirror. The Selected Andy Warhol Interviews: 1962-1987 a cura di K. Goldsmith, Corrol and Graff, New York 2004; trad. it Sarò il tuo specchio. Interviste a Andy Warhol, Hopefulmonster Torino, 2007.
Link collegati: Conversazione con Antonio Sotgiu 2014