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venerdì 5 dicembre 2014

Conversazione con Tiziano Rossano Mainieri/ artista

Open studio - Sala degli Archi , Fortezza Nuova
Una Sintesi della conversazione che Tiziano Rossano Mainieri ha scambiato con il pubblico di “Open studio” durante l’inaugurazione della mostra.
Vincitore del Premio residenza d’artista Combat Prize 2014, Mainieri ha risieduto due mesi in città, sviluppando il progetto che lo ha condotto alla realizzazione del progetto “Open studio” per la Sala degli Archi – Fortezza Nuova di Livorno.
Manieri ci racconta la genesi del progetto, l’esperienza in città, il rapporto con le persone e sopratutto con gli spazi, i monumenti storici e il paesaggio. Sceglie di mostrare due strutture architettoniche paradossalmente invisibili, in quanto per posizione urbanistica perfettamente visibili nel quotidiano dei cittadini. 
Realizzati in momenti diversi, con differenti finalità le Terme del Corallo e il Monumento a Ciano sono in questo progetto fotografico perfettamente sovrapponibili nel loro degrado. Unendo in un unico lavoro due monumenti molto diversi per storia e stile, finalità e percezione Manieri pone in evidenza un tratto significativo del nostro rapporto con la storia. Persa la monumentalità, la magnificenza ciò che resta è una edificio abbandonato. Non assurgono neppure a dignità di rovina. Sono lì, e basta.

T. R.M. Quello che vedete in questo progetto sono le Terme del corallo e il Monumento a Ciano. Metterli insieme non è stato facile. Ma quello che deve saltare fuori da questo lavoro è che sono due luoghi identici, tra l’uno è l’altro non c’è niente di differente, perchè rappresentano la nostra psiche rispetto alla memoria collettiva. Sono la nostra memoria. Dovrebbero rappresentare la nostra memoria, ma stanno correndo il rischio di non averne più.
Presentare le Terme del corallo e il Monumento a Ciano è un espediente, perchè girando in città li ho trovati perfettamente sovrapponibili. Oltre all’abbandono fisico evidente è l’abbandono di visione che si ha di questi luoghi. In fondo li si vede tutti i giorni. Sopra le Terme del corallo è stato costruito il cavalcavia, c’è la fila tutti i giorni, dalle cinque alle sette, tutti guardano sotto. Il Monumento a Ciano l’ho scoperto chiaccherando con un ragazzo che fa l’Accademia Navale, ho scoperto essere un punto per le misurazioni a mare. Lo si vede da Antignano, non puoi non vederlo, come le Terme del Corallo, è un punto fermo. E’ un luogo che serve,come dovrebbe essere e invece non lo so quanto sia vero, sono luoghi nei quali la nostra memoria si sta perdendo. Traspare anche dalle immagini, le si guarda con occhio malinconico, con tristezza.
Questi due luoghi sono la metafora della psiche umana e se così si può dire “l’italianità vista dall’interno”. E’ un po’ sancitorio, ma riflettevo su questa cosa, questa l’esperienza della nostra storia.

A.R.C. C’è in queste foto qualcosa di standardizzato, ricordano incisioni raffiguranti monumenti classici, disegni di elementi architettonici. Un aspetto accademico rigoroso.
T.R.M. L’utilizzo della luce che faccio è sempre uno scavo nella pittura del Seicento, poi in questi luoghi qui una visione classica per me era necessaria. Lo sguardo tende a rendere sempre lo stesso cliché. Questo stereotipo mi serviva per rendere questi luoghi noiosamente uguali, perchè noiosamente uguali sono.
Ho realizzato tutto il lavoro in banco ottico. Non l’avevo mai utilizzato, perchè non ne avevo mai sentito la necessità, ho sempre lavorato in pellicola.
Quando ho visto questi luoghi ho iniziato a fotografarli con i miei mezzi soliti, mi sono reso conto che non bastava, ho sentito il bisogno di utilizzare un metodo di lavoro che rispettasse la loro solennità.
Quel modo di guardare mi è servito: linee molto precise, un significato istantaneo.
Non c’è più il fasto delle terme liberty inaugurate dal re. Il monumento a Ciano invece è un monumento che non si è mai compiuto, quindi sono due cose completamente diverse nella loro intenzione e nella loro storia vissuta, ma quello che realmente resta è la medesima cosa.

A.R.C. Per contrasto il tuo lavoro mi ha fatto pensare all’ ”Incompiuto siciliano” di Gabriele Basilico. Là dove lo spreco e il malaffare genera opere non finite che diventano presto rovine, tu poni l’attenzione su l’abbandono di architetture che a vario titolo sono state monumenti.
Ti ringrazio per il paragone a Basilico.
Per me non è solo l’incompiuto ma un incompiuto che si somma ad un’incompiutezza contemporanea, questi monumenti non assurgono più a memoria collettiva. Questi luoghi devono ricordare qualcosa. In realtà scompaiono, in qualche modo perdono la loro funzione.

A.R.C. Quali differenze ci sono tra le foto e il video?
Per le foto ho usato il bianco e nero e linee molto precise, un significato istantaneo.
Il video al contrario è a colori, alcune linee sono cadenti. E’ il “qui e ora”, sta accadendo, sono quasi dieci minuti in un luogo dove non accade in realtà nulla, c’è il vento che muove qualche fronda e queste gocce che cadono incessantemente, senza sosta. E’ un luogo dove succedono un sacco di cose ma in fin dei conti non cambia mai nulla.

A.R.C. Come nasce la scelta della fotografia come mezzo, prima dicevi che sei arrivato all’arte relativamente tardi, volevi fare il giornalista. Raccontami di questo scelta.

T.R.M. Quello che effettivamente a me interessa, che ha cominciato ad interessarmi già durante il Master a Modena sono i luoghi limite. Lo scorso anno, alla fine del corso, ho presentato un lavoro sui calanchi, che sono anch’essi un luogo limite, dopo di che sono arrivato a Cromond Island, ad Edimburgo per una residenza in collaborazione con il Centro di Fotografia che si chiama Stills Gallery. La mia attenzione hai iniziato a concentrarsi su questi temi.
Il giornalismo, non c’è molta differenza: è andare a cercare dei significati nella storia. Faccio sempre quello, mostro qualcosa. E’ l’immagine che parla per me, poi se ne può discutere per giorni.
La fotografia, è capitato. Ho iniziato tardi ad occuparmi di fotografia, nel senso di utilizzare il mezzo in modo critico, per così dire, a guardare il mondo per fare esperienza. Negli ultimi tre anni la mia attenzione ha iniziato a concentrarsi su questi posti che sono paesaggio, ma non solo.

 A.R.C.

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giovedì 4 dicembre 2014

Conversazione con Francesca D’Aria/ curatrice

ContamInAzioni - foto Lucilla Benassi
Conversazione con Francesca d’Aria vincitrice del Premiere Livorno giovani curatori under 35, con il progetto “ContamInAzioni”. Combat Prize 2014.
Secondo la formula matematica chiamata equazione di Dirac due sistemi che entrano in contatto tra loro, anche solo per una breve frazione di tempo, e poi vengono separati, continuano ad essere influenzati l’uno dall’altro, nonostante il tempo e lo spazio. Il progetto curatoriale ”ContamInAzioni” si sviluppa a partire da questa formula matematica, come incontro-scontro tra corpi il cui prolungamento nel tempo e nello spazio non cessa di condizionare il corso degli eventi.
Incontro Francesca D’Aria nelle Sala degli Archi della Fortezza Nuova dove è allestita la mostra.

A.R.C. Raccontami un po’ della tua esperienza nella curatela prima del Premiere Livorno.
F.D’A. Sono nata a Milano, ma è un po’ di tempo che vivo in Toscana, l'ultimo progetto l'ho realizzato a Piombino, si intitola 1.0 SpacesAvevo questo progetto curatoriale da quando vivevo in Inghilterra, 1.0 Spaces, appunto. L’ho portato a Piombino lo scorso settembre, in realtà era un tentativo per portare una cosa nuova, per rompere un po’ con quello che di solito viene esposto a Palazzo Appiani. Ho realizzato il progetto con l’Associazione STArt –arte sul territorio, con cui attualmente collaboro.

Anna Garner, Proof and Permutations,
installazione video, dimensione ambiente
A.R.C. Come mai dall’Inghilterra alla Toscana? Non è conosciuta proprio per la ricerca nel Contemporaneo, viene piuttosto facile associarla al Rinascimento.
F.D’A. Perchè la Toscana ha tantissime possibilità di emergere. Perchè ha molti spazi culturali, poco utilizzati. C’è da dire che la Toscana è anche il Centro Pecci, il Premio Combat, le Gallerie fiorentine.
In Toscana ho trovato persone che hanno idee fresche, innovative e probabilmente questo è il momento in cui tante persone stanno cercando di spingere, tanti storici dell’arte giovani che hanno partecipato al Premio Combat come tanti giovani artisti. Il Premio Combat fa un po’ da cardine.
A me ha dato la possibilità di conoscere meglio il territorio e al territorio di conoscere me.

Suheke_Skevik, Transactions #1,#2,#3, installazione video, dimensione ambiente
A.R.C. Torniamo a Premiere. Hai scelto gli artisti tra i parteciparti al premio Combat?
F.D’A. Il Premio aveva una selezione di artisti che in realtà erano tutti quelli che avevano partecipato, che erano visibili sul sito. Il progetto per giovani curatori under 35, prevedeva che il progetto curatoriale fosse scritto scegliendo tra gli artisti partecipanti al Premio Combat, under 35. Tra di loro scegliere un’artista solo o più artisti o una sola sezione.

Anna Garner, Sequential, video
dettaglio
A.R.C. Parlami del tuo progetto curatoriale, qual’è il concept e poi perchè hai scelto proprio questi artisti che sono: Anna Rose, Anna Garner, Suheke_Skevik, Alessandro Gattuso e Manuela Mirabella.
F.D’A. Sono partita non tanto da un’ artista ma da un’idea. Avevo già l’idea di parlare di contaminazioni, che è una parola forse anche troppo usata, però mi piaceva l’idea di contaminarla a mia volta. La parola contaminazioni contiene il termine azioni, quindi non si è mai statici quando si viene modificati da qualcosa o da qualcuno, un incontro non è mai neutro, sta di fatto che c’è un’influenza.
Anna Rose, The Street, 
Nel tempo ho scoperto l’equazione di Dirac, che mi interessava molto, non perchè venga utilizzata spesso sull’amore, viene chiamata anche “l’equazione dell’amore”. In realtà mi interessava l’idea di capire cosa succede ad un corpo umano, in senso di fisicità e ad un cervello, in senso di pensiero, quando vive nel mondo, quando si scontra o incontra qualcosa che sia altro rispetto a sé stesso, quindi cosa significa unire le forze, unire i limiti per percorrere una strada, cosa significa la perdita della propria identità, nel momento in cui siamo alla mercè di tutti. Quindi sono partita da quest’idea di parlare di questi prolungamenti, di queste appendici che poi sono i luoghi, gli oggetti e le persone che incontriamo.
Anna Rose

Sono partita dal video Transactions#3, di Suheke_Skevik, due artiste Norvegesi che poi è quello che ha vinto, perchè questa loro corda è un cordone ombelicale simbolico che in qualche modo le unisce, ma le divide anche, perchè tutto sommato non le lascia libere, nella decisione sono condizionate. Ho poi deciso di inserire anche gli altri due video Transactions#1, Transactions#2 e creare un trittico, creare una storia.
Poi sono arrivata ad Anna Rose, mi piacevano molto queste tre fotografie. In realtà ce n'erano altre che mi interessavano, ma avevo già deciso che la mostra sarebbe stata legata al numero tre.
Quindi, i tre video di Anna Garner, dove c’è questa lotta continua tra il dolore fisico dello scontro con l’oggetto e il desiderio di compiere il rito fino alla fine, nonostante il dolore...

 A.R.C. Abramovicianamente direi...
F.D’A. ... la frustrazione di non riuscire ad entrare in qualcosa è troppa. L’essere umano nonostante il suo essere finito, corruttibile, difficilmente molla.

A.R.C. Mi ha colpito molto la scelta delle due installazioni scultoree, i lavori di Alessandro Gattuso e Manuela Mirabella. Nel contesto fin’ora descritto mi sono sembrate quasi estranee, anche rispetto all’idea del numero, della moltiplicazione. Mi sembra rompano un’equilibrio progettuale. E’voluto?
Alessandro Gattuso, Nello specchio
degli occhi altrui,
 installazione
F.D’A. Quando ho fatto il progetto avevo deciso di mantenere questo idea del tre e del multiplo di tre.
Sono un’intromissione spaziale. Ho voluto rompere il percorso espositivo, inserire opere che occupassero lo spazio. La fisicità è per me molto importante, nei video c’è e andava un po’ toccata.
L’opera di Gattuso che è “Nello specchio degli occhi altrui” quando ce la si trova davanti inganna, disorienta. Quando ti avvicini entri in questo mood di confusione di suoni, di variazione di identità di questo corpo vestito degli occhi degli altri, delle voci degli altri. L’identità espropriata.

A.R.C. Dell’altra installazione, quella di Manuela Mirabella, cosa mi dici?
F.D’A. Mi piaceva l’idea della gomma piuma con cui è realizzato “Metamorfosi 1”. E’ un materiale difficile da lavorare, ciò significa che è difficile dargli un’impronta. E’ un’opera nella quale ci si può vedere tutto.
L’idea di pezzo di carne. Mi piaceva l’idea di caos di ammasso di cellule che si stanno formando e poi formati creano una nuova dimensione.
Manuela Mirabella, Metamorfosi 1, gommapiuma, installazione
A.R.C. Dopo questo mostra hai dei progetti?
F.D’A. Porterò a Matera 1.0 Spaces. Spaces nasce come un progetto itinerante, voglio portare questo progetto in più regioni possibili.
A.R.C. Con gli stessi artisti della mostra a Piombino?
F.D’A. Sì, i quattro artisti di quel progetto. Sono: Roberta Levi, Andrea Mariani, Hannah Sutheland, Matteo Zannoni. Quindi si farà. Sto conoscendo dei giovani artisti con i quali mi piacerebbe collaborare, creare un progetto quasi di museo aperto, mi piacerebbe creare un progetto curatoriale non nello stesso posto, ma in più punti, per cui per vedere la mostra è necessario girare. Un progetto che leghi i luoghi fra loro, tre città o tre province diverse, ma vicine. E’ la possibilità per far rivivere alcuni luoghi, anche abbandonati.

A.R.C

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sabato 6 settembre 2014

Conversazione con Marco Lulli e Lucia Posarelli dello studio 70m2. Livorno.



Il nome comunica esattamente la dimensione reale dello spazio espositivo. Lo studio di architettura 70m2 nasce nel 2009 dalle sinergie di tre architetti che hanno scelto di affiancare al lavoro professionale l'organizzazione di eventi promotori della creatività contemporanea. Marco Lulli interior e di industrial design, Lucia Posarelli e Marta Righeschi ristrutturazione di interni e riqualificazione urbana.
Incontro nella sala riunioni dello studio 70m2 Marco Lulli e Lucia Poselli. 
28 luglio 2014 

A.R.C. Chi sono gli ideatori di 70m2?
L.P. Di fatto non esiste uno studio associati 70m2. Noi siamo tre architetti e lavoriamo autonomamente. Abbiamo iniziato a cercare questo spazio nel 2009, a concepirlo, se possiamo dire così. Un po’ per caso, un po’ perché eravamo amici. Io e Marta, l’altra collega, che oggi non c’è, ci siamo laureate insieme, siamo sempre state insieme e Marco lo conoscevamo da anni.
Una volta abbiamo fatto un concorso di architettura e insieme al concorso si parlava delle nostre idee. C’era questo sogno di aprire uno studio più visibile. L’idea sinceramente non era quella che poi abbiamo realizzato. Ci bastava essere al piano terra, quindi più visibili, con una vetrina, per far vedere come si lavora in uno studio. Di solito gli studi sono inaccessibili, non visibili da chi cammina per la strada.
In pochissimi mesi abbiamo trovato questo spazio. C’è la stanza centrale, che è esattamente 70m2, e altre due stanze: un ufficio e la sala riunioni. Quindi privacy e visibilità, con un’unica vetrina. Ci è piaciuto così tanto questo spazio stretto e lungo che gli abbiamo dato questo nome. 

A.R.C. Come è avvenuto il successivo passo. 70m2 come spazio espositivo?
L.P. Lo spazio ci ha dato lo spunto per fare un’inaugurazione,così da vedere come potessero rispondere designer, artisti, artigiani. Finiti i lavori di ristrutturazione alla fine dell’estate eravamo pronti. Abbiamo avuto una buona risposta. A novembre 2009 abbiamo inaugurato.
Ma la cosa bella è stato l’entusiasmo che ci ha accolti, con nomi abbastanza grossi. Avevamo Caterina Crepax, Costanza Algranti. L’idea iniziale era di fare delle personali. In seguito abbiamo realizzato alcune collettive sui gioielli, sul riuso.
La mostra sui gioielli era incentrata sull' uso di materiali non convenzionali, il primo titolo è stato “Da materia a gioiello”. E’ stata la prima mostra. In seguito c’è stata la personale di Caterina Crepax, e andato avanti il discorso con Costanza Algranti, con una personale e, l’ultima mostra della prima serie è stata la collettiva sul riuso “Second life”. Ci fu, in seguito, un progetto non programmato con Francesco Sani, un designer giovane di Fucecchio.

A.R.C. Perché l’interesse al riuso dei materiali?
L.P. La cosa che ci piaceva era quella di sperimentare nel nostro spazio allestimenti temporanei, precari, effimeri, sempre con materiali poveri e riutilizzabili. Abbiamo fatto delle installazioni nostre.
Gli allestimenti che facciamo non sono mai fini a se stessi. I materiali che utilizziamo possono in seguito proseguire il loro percorso. Ad esempio le cassette delle bottiglie sono state un prestito e hanno poi proseguito ad essere utilizzate. Abbiamo utilizzato cartone, gli scontrini, che ovviamente non sono stati riutilizzati, copertoni d’auto. Ci piaceva non sprecare.
Io e Marta ci siamo sempre occupate di spazi urbani, Marco aveva questa specializzazione in abbattimento delle barriere architettoniche, è stata per noi una cosa nuova, ma ci piace sperimentare.

A.R.C. L’ultimo progetto espositivo è stato “Io-Robot” di Andrea Locci. La mostra faceva parte di Start Livorno curata dell’associazione BlobArt. Com'è nato l'incontro?
M. L. Lo scorso anno, siamo stati contattati da Paolo Batoni dell’associazione BlobArt, che cura il Premio Combat Prize, ci chiese di partecipare alla prima edizione di Start Livorno, quella del 2013.
Presentammo “La casa dei libri” di Beatrice Speranza, una fotografa lucchese e, in quella occasione realizzammo una nostra installazione con dei libri.
Per l’edizione di Start Livorno di quest’anno abbiamo deciso di esporre “Io-Robot”.
Fabrizio Tronfi, de iPazzi di Pisa, ci fece conoscere Andrea Locci, che come noi ha sempre presente il concetto del riuso. Siamo andati a trovarlo a Calci, dove vive. Il suo lavoro ci è sembrato subito interessante. Abbiamo avuto subito le idee chiare. 
Andrea Locci" Io-Robot" dimensione ambiente, 2014
Abbiamo avuto fortuna ad esporre l’intera serie di 42 robot. La serie dell’esercito in marcia aveva bisogno di apparire nella sua completezza in uno sviluppo di 12 metri di lunghezza. Una decina di sculture sono state realizzata apposta per questa mostra.
Al contrario delle precedenti dedicate esclusivamente al design, l’esperienza con Start Livorno ci ha dato la possibilità di presentare due mostre d’arte: una di fotografia, una di scultura.

A.R.C. Come scegliete gli artisti e i designer da coinvolgere, da selezionare per i vari progetti?
M.L. E’ una ricerca che parte da internet, seguendo quelli che sono i nostri interessi e gusti o su segnalazione. Come per Locci.

A.R.C. Avete sponsor?
M.L. Tutte le volte cerchiamo un partner con cui associarci, perché lavorando sugli allestimenti abbiamo necessità di molti materiali. Non abbiamo avuto problemi a trovare chi collaborasse dandoci materiali. I materiali spesso sono in prestito, utilizzati e restituiti, oppure sono materiali che costano pochissimo. Naturalmente ci sono progetti che prevedono stampe, monitor e questo è un altro discorso. Non è facile quando si tratta di soldi.

A.R.C. Quali sono i progetti per il futuro?
M.L. Non abbiamo una vera programmazione. Dopo i primi due anni che sono stati molto intensi, abbiamo rallentato il ritmo. Per il futuro immediato, per quest’autunno, abbiamo un progetto di grafica legato alla musica. Un progetto che ci interessa molto. 
Nel corso degli anni si è creato un gruppo di persone legate a questo spazio, interessate ai nostri progetti, che ci vengono sempre a trovare. Continueremo perché ogni volta arriva gente nuova e per noi conoscere gente nuova è sempre importante.
Ora i progetti saranno due o tre l’anno. Un appuntamento a giugno, Start Livorno, naturalmente se prosegue noi ci saremo. Mettere in collegamento le gallerie è molto interessante. Poi, come diceva Lucia, un appuntamento verso dicembre.
A dicembre i progetti sono sempre a tema, nel 2012 “Era carta”, l’anno scorso “Pla.idee in plastica”, perché nel tema si riesce a dare un’idea generale. Quest’anno la grafica legata alla musica.
 A.R.C.