lunedì 27 gennaio 2020

BAROQUE III (Vanitas)


Trittico della madre di Dio, 1911, olio su tela (dettaglio)

 Assumendo nel loro repertorio i decori popolari gli artisti modernisti avranno liberato il fiore dai margini nei quali lo abbiamo spinto e nei quali ogni tanto torna a rintanarsi? 
Inteso come lezioso, il fiore è associato all’ornamento e in questo suo ruolo domestico ha perso parte del suo potere simbolico. L’invenzione del folklore lo ha condannato ad essere vissuto come soggetto manierato e decadente. Di fronte ai fiori distraiamo l’interesse.
Ho scattato qualche foto, sono sfocate e storte, ma è quello che ho.
L'opera è intitolata Trittico della Madre di Dio, 1911, di Natalia Goncharova, rappresenta una madonna con bambino, al centro e, sulle tele laterali un decoro floreale desunto dai ricami della tradizione contadina e dal folklore russo.
E' uno dei dipinti della mostra a Palazzo Strozzi, tra quelle a tema religioso, che più mi ha colpito. Non lo conoscevo affatto. La Goncharova riutilizzerà gli stessi motivi decorativi per i costumi di scena de Le Coq d'or, 1913, balletto di Sergei Djagilev tratto da un poema di Puskin. Il motivo floreale, ma pure la tripartizione dello spazio, ricorda certi tessuti sardi, arazzi per cassapanche dell’area Campidanese, solitamente realizzati secondo una suddivisione in tre campi decorativi: quello centrale, che occupa la parte piana della cassapanca e i due laterali, che cadono ai lati. Il disegno floreale degli abiti e dei tessuti di quest'area della Sardegna è molto simile a quelli dipinti dalla Goncharova, così come alcuni ricami da scialle. 

Trittico della madre di Dio, 1911, olio su tela
 
 
 Di recente ho chiacchierato con Nicola Vukich. Ha da poco realizzato nel suo studio una mostra dedicata in larga parte al narcisismo. Vetri colorati, specchi, dorature di suggestione medievale, bizantina come veicolo per affrontare il tema della Vanitas

L'abito della sposa, 135x90 cm, foglia oro su vetro, 2020


M'ama non m'ama d.45cm, foglia d'oro su vetro, 2020


Uno dei lavori più interessanti - meno carico di verbosità, a cui Nicola non sa rinunciare - è composto da frammenti di specchi vecchi, di quelli che non si fabbricano più per via dell’uso di materiali tossici come il mercurio. Forse sono in alluminio argentato o stagno ossidato, vecchi specchi sui quali ha tracciato deliziosi fiori realizzati per sottrazione della patina argentea e successiva doratura. Una tecnica semplice, ma pertinente. Raschiata l’argentatura Nicola ha dato forma a queste piccole margheritine, come se ne vedono in tutto il mondo greco, etrusco o nella pittura medievale, solo successivamente ha dorato gli spazi vuoti. I frammenti di specchio compongono un puzzle a cui ha dato titolo L'abito della sposaL'abito della sposa come M'ama non m'ama si infrangono come i sogni e i frammenti di bellezza stanno lì a guardarci. Dietro ogni margherita si intravede il volto mediocre del visitatore. La nostra Vanitas non riconosce la bellezza, lo specchio mediocre di una società privata del sacro e del bello che pone la granitura d'oro al servizio di un Salotto buono.

Salotto buono, h130cm,
 foglia d'oro su specchio, 2020

Altri frammenti di un mondo a pezzi fatto di soldati, vescovi, madonne è quello del Lacrimario all'interno del quale sono intrappolati i personaggi di un racconto mitico, di un'altrove distante nel tempo, nello spazio e nei desideri.

Lacrimario, 160x110cm,
foglia d'oro e olio su specchio, 2018


La doratura di questi strani frammenti porta con sé lo spirito della decorazione persiana, del mondo bizantino, della granitura d’oro medievale. La grande pittura su tavola di Duccio, Simone Martini, di Pietro Lorenzetti, degli anonimi pittori di Icone, si frange contro il contemporaneo, i vetri non reggono l'urto. Qualche visitatore li ha definiti una decorazione, in realtà di questa mostra, tra i lavori più riusciti.

 
 
Nella serre vittoriane di Kew garden il vetro è uno schermo che separa la natura addomesticata dell'interno, dalla natura addomesticata dell’esterno.
Ho una strana attrazione verso questi edifici - ne ho già parlato altre volte - giardini in gabbia, dove gli ambienti sono piegati alla musealizzazione: si fingono mondi, si mette in scena, come a teatro, la complessità della vita, l’accumulo ossessivo della grande stagione coloniale, scientifica e industriale vittoriana. Li trovo meravigliosamente corrispondenti a ciò che siamo diventati nel corso dei millenni. Kew è esibizione del lusso e del paesaggio asservito.
 
 
 
 
Dale Chihuly, artista settantacinquenne, neobarocco, -  conoscevo il maestoso lampadario che impera nell’atrio del V&A- ha costruito nei Reali giardini di Kew una scena teatrale in vetro soffiato. Ha fuso la sua attitudine all' ipertrofia con la bellezza del luogo, scatenando tra serre e laghetti, boschi e radure la sua fantasia arborea più bizzarra. Gigantesche canne rosse, fiori verdi, cactus, ikebana in vetro soffiato perfettamente integrati nell’ambiente.
Per uno strana alchimia visiva, queste forme arboree vetrose sembra siano sempre state qui.
Persians blue and green, è un pendente di nove metri, che pare l’orecchino di una dea gigante, appeso alla gabbia degli uccellini la Temperate House.
Green Hornets and Gold Waterdrops sono esseri alieni semiacquatici perfettamente mimetizzati tra felci e stagni artificiali, come le sfere dai colori cangianti o le canne rosseggianti tra cerealicole ingiallite. 
Ho l’impressione di essere atterrata in uno dei mondi immaginari della tv della mia infanzia.
 



Parlare di natura è quasi una moda: rispettare la natura, seguire i ritmi della natura, riappropriarci della natura. Tutto molto giusto, eppure ogni volta mi ritrovo a contemplare vegetali sintetici, realizzati con i materiali più diversi. Ingannata da copie e falsi, da oggetti brillanti o velati di un sottile strato di polvere, ripugnanti o attraenti.
Inseguo il neobarocco contemporaneo: fiori finti, copie, falsi e insetti molesti.
Al Mambo incontro Elogio dei fiori finti di Bertozzi & Casoni e me ne innamoro.
I due ceramisti di Imola hanno realizzato una versione tridimensionale, in maiolica dipinta, di alcuni vasi con rose, polvere compresa, di Giorgio Morandi.
E’ noto che Giorgio Morandi per i suoi vasi di fiori non guardasse al fiore fresco, transitorio, destinato a modificarsi giorno dopo giorno, preferiva fiori di seta o fiori essiccati che, al pari degli altri oggetti, raccolgono polvere e mantengono il loro stato inalterato, creando effetti tonali apprezzati e forse per questo volutamente ricercati dall’artista. A questa assenza di vita, riprodotta in maiolica, i due artisti hanno aggiunto, tra i petali polverosi, alcuni cangianti coleotteri di Cetonia aurata come Vanitas e Memento mori. In quanto portatori di variazioni indipendenti dalla sua volontà, probabilmente Morandi non li avrebbe apprezzati.


 

Sussidiario

La Cetonia aurata è un coleottero della famiglia degli scarabeidi, si nutre di corolle di fiori, con particolare attenzione alle rose.
Non è da sottovalutare il fatto che il coleottero, nella sua variante di scarabeo stercorario, è simbolo di resurrezione, per via delle sue consuetudini alimentari coprofaghe e l’abitudine di deporre le sue uova nella palla di sterco che usa conservare nella tana. Dall’osservazione delle abitudini di questi piccoli esseri viventi, nell’antichità era credenza diffusa che la vita potesse nascere in modo “spontaneo” da elementi naturali inanimati in quanto comunque dotati di influssi vitali. Si riteneva che esseri quali vermi e insetti potessero nascere spontaneamente dal fango o carcasse in decomposizione.  
 

 

Attratti dal caduco, dal transitorio, dal deperibile e dal disfacimento, Bertozzi & Casoni da anni indagano i rifiuti della società contemporanea, compresi quelli culturali e artistici, in una messa in scena in cui si alternano affondi nel degrado e rinvenimenti di superstiti o misconosciute bellezze.

  
Finalmente intraprendo la visita di cortesia alla stellina del momento, a quella che un custode di Palazzo Pitti ha definito “la crosticina”.
La visita non era programmata, ma sono qui. Si tratta della composizione floreale o natura morta di Jan Van Huysum, l’olandese che tra i fiori faceva volteggiare mosche, farfalle e altri insetti, riportato di recente a Palazzo dopo il furto e l’esilio germanico di quasi settantacinque anni. Di fronte alla teca nella sala della musica della Galleria Palatina ci sono un discreto numero di curiosi. Fra qualche mese tornerà alla sua collocazione nella Sala dei putti, invisibile, forse, come tutte le nature morte non particolarmente celebrate.
 



- Scusi, la natura morta riportata a Palazzo si trova in queste sale?

- La crosticina? E’ alla Galleria Palatina.

- Ah è così che la chiamate?

- Beh veda lei? E’ costato più riportarla in Italia di quanto valga effettivamente.

- Va beh! Che c’entra? E’ stata l’occasione importante per illuminare un momento storico, una vicenda, affermare un diritto. Sono molti i visitatori che vengono a vederla? Anche noi siamo curiosi.

- Sì, sì, ma rimane una crosticina.

- Ah! Ah! Andiamo a vederla e le facciamo sapere.

Sussidiario

Jan van Huysum pittore di nature morte attivo in Olanda nel primo Settecento, noto per il virtuosismo nella descrizione dei particolari, si ipotizza utilizzasse lenti d’ingrandimento per studiare la natura e per dipingerla.
Il Vaso di fiori – soggetto prediletto dell’artista – fu acquistato nel 1824 dal Granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena. Nel 1943 militari dell’esercito tedesco in ritirata trafugarono alcune casse dalla villa Bossi-Pucci a Montagnana (Montespertoli) dove le opere di Palazzo Pitti erano state nascoste, trasferite in provincia di Bolzano, per prepararne la definitiva trasferta fuori del confine nazionale attraverso il Brennero, una cassa, in cui si trovava il Vaso di Fiori di Palazzo Pitti venne aperta, e nel luglio 1944 un caporalmaggiore, che si era impossessato del quadro, spedì il dipinto come regalo alla moglie in Germania.
 
Non siamo tornati a commentare con il simpatico custode, troppa gente, giornata caotica.
Non è una crosticina. Ci sono nature morte ben più misere, cariche di quella tronfia esibizione del lusso che ha decretato tra XVII e XVIII secolo la fama del genere, non è questo il caso.
Trovo deliziosi questi insetti volteggianti sopra i fiori: è visibile chiaramente una mosca, una farfalla e un coleottero.
Vale la pena fargli una visita solo per questo.
Il metodo dell’osservazione diretta, il metodo della moderna scienza fanno di questi quadri una versione domestica delle illustrazioni naturalistiche. I pittori naturalisti del XVIII secolo hanno compiuto un grande sforzo per mostrarci il mondo naturale così com’è, senza idealizzazione o corrotta superstizione.
E’ una di quelle opere che non appassiona il visitatore medio, men che meno il turista corridore, ma porta con sé una storia avvincente e questo basta. La guerra, l’occupazione, il furto, il ritrovamento, l’accordo, il ritorno a casa.
Quanti conoscono lo sforzo fatto da storici dell’arte, funzionari anonimi che percorrendo la penisola in lungo e in largo hanno messo in salvo una madonna con bambino, un santo, un crocifisso? Il racconto di questo piccolo quadro può rappresentare una delle tante chiavi d'ingresso alla storia. Per il resto continuerà ad essere una natura morta olandese, una osservazione diretta della natura domestica, una “crosticina” come dice il simpaticissimo custode. Perché, detto chiaramente nessuno va a Palazzo Pitti per vedere Jan Van Huysum. Continueremo ad andarci per Tiziano e Raffaello. Noi siamo qui anche per Neo Rauch, pittore tedesco contemporaneo la cui rappresentazione della vita e della natura è inquietante, ma non manca di sarcasmo.



 
ARC

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venerdì 24 gennaio 2020

DE (i) SEPOLCRI



- Vuoi venire alla lettura dei Sepolcri di Foscolo?

- Naaa, poi mi racconti.
 
Luogo al Dialogo - Martedì 26 Novembre h. 17:30 a partire da “Dei Sepolcri di Ugo Foscolo”. Attività aperta a tutti.
Prof. Giorgio Mandalis proporrà Dei Sepolcri di Ugo Foscolo. L’incontro avrà un taglio desueto perché tenterà di verificare “sul campo” la valenza della poesia come struttura estetico riflessiva capace di generare approfondimenti filosofici.
 - Mi sono divertita molto.
- Racconta... hai dormito? 
- Allora… mentre il professor Mandalis legge i Sepolcri penso a quella volta che al cimitero di Perugia abbiamo visto per la prima volta una coppia di upupe. Ti ricordi, ero eccitatissima, le avevo viste soltanto in foto. Le abbiamo incontrate altre volte, sempre in Umbria, sempre in coppia, ma quella è stata la prima. Forse ho fatto qualche scatto, ma non ho trovato niente.
Povere upupe, dopo Foscolo, associate al macabro e alla notte, sono invece timide creature bellissime.
Comunque è iniziata così, un gruppo di variegata umanità che si incontra per partecipare ad un dialogo socratico ed io che mi distraggo pensando alle upupe. Ma recupero. Il dialogo prende una direzione orientata in maggioranza verso la teoria che oggi il sepolcro sia inutile. Immagino che la riflessione così orientata sia stata condizionata dal concetto di  monumento celebrativo dei "grandi" venuto fuori dal Foscolo. Io farei un distinguo: il monumento celebrativo non ha nessun legame con il sentimento della perdita. Ma niente, la riflessione sull’utilità dei sepolcri  prende questa piega secondo cui il cippo nel XXI secolo non avrebbe più alcun valore. Non sono d’accordo. Se così fosse, perché la negazione ad una sepoltura sarebbe così importante?  Al contrario è ancora un atto politico molto utilizzato, dico io. Cito i recenti esempio di  Bin Laden e al-Zawahiri. Poi si passa alla società liquida, alla velocità e al virtuale.
Che senso ha un cippo se viviamo prevalentemente nel virtuale?
- Oh! questo è interessante. Mi spiace non esserci stato.

- Ippolito, non sei voluto venire.

- Foscolo, blah! Il sepolcro non porta nessun beneficio al defunto, è evidente.
Che mi frega dove finisco!
- Non la pensi così, lo sappiamo entrambi.
- Ti ricordi a Père Lachaise? Con la tomba di Jim Morrison, il recinto e la guardia giurata a tenere distanti i ragazzini? E quella di Oscar Wilde? Ricoperta di stampi di labbra rosse, impresse con il rossetto. L'hanno ripulita, ma devono proteggerla dai fanatici. Meglio la fossa comune di Mozart. 

- Sbruffone. Non è così che la pensi.
- Cos’era quella cosa che dicevi delle reti sociali?
- Ah! Sì, questa è interessante. Pochi sanno del problema dei defunti in rete. Facebook è definito “il più grande cimitero al mondo”. Una anomalia del ricordo tutta contemporanea.
Ti ho raccontato che ogni 28 ottobre, da un paio d’anni, un algoritmo mi rammenta di fare gli auguri a quell’amico che io so non esserci più. Blin blin blin... avviso notifica, messaggio da Fb: “Rendi felice la giornata a Giulio, fagli sapere che gli vuoi bene!”. 
Giulio è morto nel 2017 e la rete sociale l’ignora. Nessuno gliel'ha detto. Per Fb c’è la sciagurata eventualità di essere eterni, non morire mai. Quest’anno però è accaduto qualcosa. Pressati dal numero crescente degli utenti defunti, quindi improduttivi, si saranno chiesti: “Come apparire sensibili e allo stesso tempo monetizzare?” Così, da qualche mese, è attiva una sezione commemorativa dedicata agli amici e parenti che permette di pubblicare contenuti dopo la morte e, non solo.
La frase ricorrente per cui “Facebook è il più grande cimitero del mondo” si sta avverando. Da meno di un anno ci viene data la possibilità di impostare il nostro futuro internettiano dopo la morte, una pagina specifica permette di impostare il profilo sul futuro nel caso in cui si muoia. La vita continua on line, Facebook ha infatti deciso di commemorare i defunti proponendo una speciale sezione nel profilo dell’utente morto. Una sorta di memoriale che amici e parenti potranno usare per ricordare la persona cara. Tra le particolari funzioni, di questa nuova sezione, ci sono: l’utilizzo accanto al nome dell’utente dell’espressione in memoria di, oppure la prassi riguardo alla attività del profilo, infatti i profili commemorativi non vengono visualizzati in spazi pubblici come suggerimenti delle persone che potresti conoscere, inserzioni o promemoria di compleanni. E qui c’è la piccola falla: se nessuno comunica, direttamente a Fb in persona, la tua morte, per Fb resti sempre vivo. Col suo linguaggio melenso, tende a ricordare agli smemorati di rendere felice il proprio amico nella giornata del suo compleanno, anche se è già morto. Anche quest’anno ho ricevuto dall’algoritmo il promemoria sul compleanno di Giulio Angioni, che come antropologo avrebbe apprezzato l'occasione per una ricerca.
Mentre rifletto sull’utilità dei sepolcri (reali o virtuali) e vago persa nelle mie digressioni da visitatrice di camposanti, trovo, sulla rassegna stampa del corriere on line, questa notizia. Riporto integralmente:

RASSEGNA STAMPA
MERCOLEDÌ 04 DICEMBRE 2019
Spiegel, Welt
Il monumento a Berlino con le ceneri degli ebrei uccisi dai nazisti (che non piace alle vittime)
(Elena Tebano)  Un «monumento contro il tradimento della democrazia». È l’ultima azione di protesta del Centro per la bellezza politica (Zentrum für Politische Schönheit, Zps), un collettivo di artisti tedeschi noto per le sue prese di posizioni eclatanti e radicali, che ha costruito a Berlino una colonna d’acciaio alta due metri e mezzo e pesante 4 tonnellate, che secondo il gruppo contiene le ceneri delle vittime degli omicidi di massa nazisti. Sopra ci sono due scritte: «Ricordare significa lottare» e «Non un passo oltre: qui iniziò l’ultima dittatura tedesca». Il terreno su cui è stato eretto il memoriale (qui il video) si trova tra il parlamento e il cancellierato ed è quello dell’ex Teatro dell’Opera di Kroll, dove nel marzo 1933 i membri del Reichstag votarono «il decreto dei pieni poteri», una misura straordinaria che di fatto consentì a Hitler di assumere la guida della Germania e portò poi allo sterminio di massa degli ebrei da parte dei nazisti.
«Ci siamo chiesti: dov’è la cenere di milioni di persone assassinate dai dittatori nazisti? Che fine hanno fatto i loro resti mortali?» hanno spiegato gli attivisti di Zps, come scrive la Welt. «Abbiamo preso 248 campioni di terra in 23 località e li abbiamo inviati ai laboratori. 175 dei campioni contenevano prove di resti umani. In uno dei luoghi dell’orrore abbiamo trovato cenere alla profondità di un metro e carbone osseo. Il nucleo della colonna contiene un carotaggio proprio di quel terreno che sarà conservato per tutta l’eternità». Con la sua nuova azione il Centro per la bellezza politica vuole denunciare i pericoli di una collaborazione con Alternative für Deutschland, uno degli obiettivi ricorrenti della sua protesta (nel 2017 Zps aveva allestito una replica del Memoriale dell’Olocausto di Berlino accanto alla casa del leader della sua corrente più estremista Björn Höcke a Bornhagen, in Turingia).
Ma il monumento ha suscitato molte critiche anche — scrive lo Spiegel — da parte degli ebrei. Il pedagogo israeliano e direttore dell’Istituto di formazione Anne Frank, Meron Mendel, ha sottolineato che secondo la legge ebraica i resti umani possono essere sepolti solo nei cimiteri ebraici (finora però non lo erano, visto come sono stati raccolti) e ha parlato di «strumentalizzazione delle vittime». Christoph Heubner, vicepresidente del Comitato Internazionale di Auschwitz ha detto che i «sopravvissuti di Auschwitz sono costernati che siano violati con questo memoriale i sentimenti e la pace eterna della morte dei loro parenti assassinati». Il memoriale è destinato a restare per una settimana, Zps però sta cercando fondi per renderlo permanente. Difficile che lo diventerà, viste le reazioni. 

- Non intravedo nessuna separazione tra l'esigenza di smuovere le coscienze: peculiarità dell’arte pubblica e la testimonianza di un vincolo affettivo: prerogativa di parenti amici. Che ne pensi Pindemonte?
- Uno scontro. Certamente. Non lo chiamerei memoriale, cercherei un'altra definizione. Un'azione politica, l'arte c'entra poco, no?

- Un'azione politica, non c'è dubbio, ma no, forse l'arte c'entra, dovrei approfondire.
Secondo te è lecito prelevare materiale terreo nel quale sicuramente sono presenti i resti delle vittime dell’olocausto per realizzare un opera d’arte?

- No, a mio parere no. Come non è lecito chiamarlo memoriale. C'è qualcosa di sgradevole in tutto ciò.

- Non è un memoriale, hai ragione. Se volevano agitare coscienze, creare subbuglio ci sono riusciti.

- Non conosco questi Zps. Dovremmo informaci di più. Forse comprendere meglio cosa rappresenti oggi un opera pubblica di memoria collettiva.

Pindemonte, un uomo d'altri tempi, ha difficoltà a capire l'arte pubblica contemporanea. E' lì che freme per il prossimo cimitero.

Abbiamo visito il Camposanto di Pisa, gli affreschi di Buffalmacco sono stati restaurati e ricollocati. Il metodo scientifico usato è molto interessante: batteri mangia colla della famiglia dei pseudomonas. QuestiUtilizzati batteri per il restauro del Camposanto Monumentale di Piazza dei Miracoli
microrganismi sono stati messi a punto dal microbiologo Giancarlo Ranalli dell'università del Molise e hanno il vantaggio di non essere pericolosi per l'uomo e di essere altamente selettivi: a seconda del tipo di batterio scelto si possono eliminare sostanze diverse. Hanno un tempo di vita molto breve e sono facilissimi da rimuovere dopo che hanno terminato il lavoro.



Utilizzati batteri per il restauro del Camposanto Monumentale di Piazza dei Miracoli
Dopo il danno del fuoco, nel 1944, per rimuovere gli affreschi dai muri si usarono colle animali che nel corso del tempo sono diventate insolubili e impossibili da togliere con i metodi tradizionali. I batteri sono stati in grado di mangiare queste colle, lasciando intatta la parte dipinta.



Ad inizio autunno, in una giornata calda e assolata avevo fatto una passeggiata in Fortezza Nuova, e qui mi ero trovata di fronte a Il giardino della memoria, piccolo ma significativo memoriale realizzato, immagino, dalle famiglie delle 140 vittime del Moby Prince, completamente spoglio di una qualche pianta, anche spontanea, solo un desolato quadrato di terra arida. Dove sono finiti i 140 gerani bianchi?
Lì accanto, tetragona come sempre, Koningin Juliana (1968, 1991, 1998, 2011) di Federico Cavallini.
Una scultura in corten. Un cubo arrugginito, memoria di una nave, della sua trasformazione, di una tragedia e della sua rottamazione, fissa nella sua ottusa desolazione.
Non c’è niente di celebrativo in Koningin Juliana, non c’è niente di celebrativo nel Giardino della memoria, stanno uno accanto all’altro: il cubo è lì con il dovere di smuovere le coscienze, proprio dell’arte e, il giardinetto sta a testimoniare un vincolo affettivo, proprio degli amici e dei famigliari.
Non è difficile capire l’importanza di questa separazione, neppure se nel frattempo i gerani si sono seccati. Torneranno, ne sono certa. Oggi ci ho trovato tre piantine di lavanda, delle piante grasse e qualche erba spontanea.




- Melensa.
- Non c’è niente di melenso. Non capisci niente! Se non lasci traccia e come non essere mai esistito. Pensa alla targa sul muro della biblioteca, è come se non fosse mai esistita.

- Ancora con quella storia!

- Sì, ancora.

In un taccuino precedente ho raccontato della sparizione dell’opera di Ruth Behara Io non posso entrare (Autoritratto). Ci ritorno perché la commedia era solo al secondo atto, credo che lo show si sia concluso in questi giorni.

- Hai considerato l’eventualità che la sequenza di vandalismo/censura, poi furto facesse parte dell’operazione?

- Sì, ci ho pensato, ho preso in considerazione anche questa eventualità, ma l’ho esclusa, non penso sia accaduto questo. Chi ha agito su quell’opera, prima con il vandalismo/censura e poi con il furto ha ingenuamente pensato di fare un’azione giusta, un atto di protesta contro un atto pubblico ingiusto. Sbagliando.

- L’ultimo atto? Perché, cosa è successo ancora?

- Hanno stuccato e imbiancato il muro. Ora è tutto lindo e pinto.

- Non è che l’imbianchino avesse il dovere di conoscere l’origine di quei buchi, di quello sbavo di vernice. Il suo ruolo era imbellettare l’edificio tutto qui.

- Sì, non voglio mica dare colpa all’imbianchino!
 

Io non posso entrare (Autoritratto), opera sul tema della discriminazione e dell'inclusione, una targa di ottone specchiato con incisa la frase “Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali”, era esposta all’esterno del Museo della Città di Livorno, sulla parete d’ingresso alla biblioteca. E' stata rubata. Lì, su quel muro poteva rappresentare un interessante oggetto di riflessione socratica, a questo servono le opere concettuali, no? Va beh! E’ andata così, ma sta di fatto che a rimanere sul muro, non erano solo i buchi dei due tasselli, ma lo sbavo di vernice nera.
Il ragazzo che ha compiuto il gesto, con una bomboletta spray nera, ha definito il suo gesto una “censura”. Censurata, perché? A beneficio di chi? Comunque, sta di fatto che tra il 16 e il 17 luglio è poi sparita. Dopo questa rocambolesca e breve vita, grazie al censore e al ladro, l’unica traccia della sua esistenza rimaneva la sbavatura di vernice nera e i due fori sul muro. Ma fin qui, lo avevo già raccontato, tuttavia, qualche giorno fa mi accorgo che, per i lavori preparatori alla mostra di Modigliani, il muro è stato stuccato e imbiancato. Ora non c’è neppure la sbavatura di vernice nera, non i fori, non c’è niente.
Non è che abbia un particolare legame con quest’opera o con l’artista, che non conosco, ma mi colpisce che interessi solo me. Sembra sia passata inosservata anche la scomparsa del pannello informativo sull’opera di Alfredo Pirri All’imbrunire, un boschetto di bambù nella corte di fronte all’ingresso. Ho sentito il cicaleccio sulla banana "decarlata" di Cattelan, il fancazzismo, lo sconcerto dei benpensanti per il valore economico del certificato: 120mila euro, ma niente, niente su questi avvenimenti. 
Immagino continueremo a parlare di banane fino alla prossima foto di gattini.
- La vedo la tua faccia sbuffante, lo sai, Ippolito, vero?

- Mi dici, adesso, cosa c’entra questa cosa? E’ la seconda volta che ne parli. Ma scherziamo?
 
- C'è chi crede di sapere cosa è arte e cosa no. Mi sbaglio? Poi, mi spiace che sia accaduto per la mostra di Modigliani, poveretto, anche da morto sempre in mezzo alle meschinità. Volevo solo parlarne un po’, perché resti una riflessione, magari errata, ma meglio di niente. A che serve fare i dialoghi socratici, sennò?

- Ma sì, sì… ho capito. Visto che hai deciso su un titolo livornese/ironico, che detto tra noi, mi piace moltissimo, potevi aggiungerci "imbiancati" ah ah ah De (i) Sepolcri imbiancati ah ah ah

- Spiritoso! E’ carino, sì. Ma no, darebbe un taglio moralista, in fondo non voglio giudicare nessuno. Mi piaceva solo l’idea di mettere insieme questi avvenimenti, riflettere sulla memoria collettiva e il ricordo personale, farti sapere le novità sul dopo morte nelle reti sociali.

- Hai messo insieme troppa roba, potevi limitarti a meno.

- Sono barocca e prolissa, mi piace confondermi e confondere.
Questa storia che non lo capirebbero è inutile. Uno le cose le fa perché pensa abbiano un senso, poi se qualcuno le capisce, bene, altrimenti ciccia. Le capiranno da qualche altra parte, è il bello di internet.
Non ho la presunzione di sapere cosa è giusto, cos’è la memoria, chi ha il diritto di gestirla e come gestirla. Di sapere cos’è arte, di gestirla e come.
Ricorda, ai tuoi tempi, Ippolito, si scavavano i siti archeologici per trovare statue e oggetti preziosi distruggendo qualunque altra cosa considerata inutile. Si cercava l’opera iconica, commerciabile, quindi munita di valore economico! Il concetto di bello, buono e giusto coincidevano. Naturalmente, nello scavo non era contemplato l’uso dello studio stratigrafico: quell’idea per cui in un sito tutto è indispensabile per ricostruire e comprendere un contesto, anche i legni combusti. Serve tutto  anche le cose stortignacchere e bruciacchiate.
Complessità, Ippolito, complessità!
Gli altri si chiamano tombaroli!

- Andiamo, siamo in ritardo. Quanto sei confusionaria! Cosa c’entra adesso la stratigrafia?

- Io penso così, a voce alta, confusamente. E’ quella storia della cultura come petrolio, ecco cosa c’entra, se fa guadagnare va bene, se no, non serve a niente. Le palanche, Ippolito, le palanche!

La grande impresa sarà in collina. Altro cimitero storico. Abbiamo prenotato la visita con la guida alle 13,45. Per raggiungerlo passiamo per Saint Pancras e usciamo alla stazione di Archway. Saliamo un po’ di corsa, siamo in ritardo. Eccoci, siamo arrivati. La collina è questa.
Highgate Hill, Londra Nord-Ovest.
Leggo…


Il Cimitero di Highgate è stato realizzato dalla London Cemetery Company nella zona settentrionale di Londra su una collina panoramica da sempre abitata da intellettuali e londinesi benestanti. Diviso in due parti, l’area più antica ad ovest, entrata in funzione nel 1839, la più recente ad est, entrata in funzione nel 1854.
 
La zona ovest del cimitero può essere visitata soltanto accompagnati da una guida, poiché è di fatto una riserva naturale. Nel XIX secolo è stato parte di un piano di costruzione di sette grandi e moderni cimiteri al di fuori del centro abitato di Londra, secondo direttive già tracciate dall'editto di Saint Cloud, chiamati “Magnificent Seven”. Il fine principale era naturalmente fare soldi. Nella seconda metà del novecento ha vissuto momenti di abbandono e, fino al 1975, anno della sua chiusura, ha avuto una storia piuttosto travagliata. Grazie all’intervento del Friends of Highgate Cemetery Trust, che riuscì a comprarlo ad un’asta per 50 sterline, fu riaperto nel 1981. Da allora il Trust e una Associazione ne curano la manutenzione e il parziale restauro, le visite guidate servono a finanziarne i lavori.

L'intera collina, fino agli inizi del XIX secolo era occupata da un bosco, abbattuto per fare spazio alle sepolture, oggi, grazie al progetto di riqualificazione è tornato ad ergersi rigoglioso; tutta l’area è una zona selvatica di grande bellezza, una riserva naturale che accoglie centinaia di specie animali tra cui uccelli, pipistrelli e persino volpi. Nonostante l’Associazione privilegi salvaguardare il bosco, il cimitero è ancora utilizzato. In questa area è sepolto Alexandr Litvinenko, agente dei servizi segreti avvelenato con il polonio radiativo. Nella zona est, di libero accesso, è sepolto Carl Marx e, qualcuno ogni tanto si diverte a vandalizzarne la statua.











ARC