lunedì 27 gennaio 2020

BAROQUE III (Vanitas)


Trittico della madre di Dio, 1911, olio su tela (dettaglio)

 Assumendo nel loro repertorio i decori popolari gli artisti modernisti avranno liberato il fiore dai margini nei quali lo abbiamo spinto e nei quali ogni tanto torna a rintanarsi? 
Inteso come lezioso, il fiore è associato all’ornamento e in questo suo ruolo domestico ha perso parte del suo potere simbolico. L’invenzione del folklore lo ha condannato ad essere vissuto come soggetto manierato e decadente. Di fronte ai fiori distraiamo l’interesse.
Ho scattato qualche foto, sono sfocate e storte, ma è quello che ho.
L'opera è intitolata Trittico della Madre di Dio, 1911, di Natalia Goncharova, rappresenta una madonna con bambino, al centro e, sulle tele laterali un decoro floreale desunto dai ricami della tradizione contadina e dal folklore russo.
E' uno dei dipinti della mostra a Palazzo Strozzi, tra quelle a tema religioso, che più mi ha colpito. Non lo conoscevo affatto. La Goncharova riutilizzerà gli stessi motivi decorativi per i costumi di scena de Le Coq d'or, 1913, balletto di Sergei Djagilev tratto da un poema di Puskin. Il motivo floreale, ma pure la tripartizione dello spazio, ricorda certi tessuti sardi, arazzi per cassapanche dell’area Campidanese, solitamente realizzati secondo una suddivisione in tre campi decorativi: quello centrale, che occupa la parte piana della cassapanca e i due laterali, che cadono ai lati. Il disegno floreale degli abiti e dei tessuti di quest'area della Sardegna è molto simile a quelli dipinti dalla Goncharova, così come alcuni ricami da scialle. 

Trittico della madre di Dio, 1911, olio su tela
 
 
 Di recente ho chiacchierato con Nicola Vukich. Ha da poco realizzato nel suo studio una mostra dedicata in larga parte al narcisismo. Vetri colorati, specchi, dorature di suggestione medievale, bizantina come veicolo per affrontare il tema della Vanitas

L'abito della sposa, 135x90 cm, foglia oro su vetro, 2020


M'ama non m'ama d.45cm, foglia d'oro su vetro, 2020


Uno dei lavori più interessanti - meno carico di verbosità, a cui Nicola non sa rinunciare - è composto da frammenti di specchi vecchi, di quelli che non si fabbricano più per via dell’uso di materiali tossici come il mercurio. Forse sono in alluminio argentato o stagno ossidato, vecchi specchi sui quali ha tracciato deliziosi fiori realizzati per sottrazione della patina argentea e successiva doratura. Una tecnica semplice, ma pertinente. Raschiata l’argentatura Nicola ha dato forma a queste piccole margheritine, come se ne vedono in tutto il mondo greco, etrusco o nella pittura medievale, solo successivamente ha dorato gli spazi vuoti. I frammenti di specchio compongono un puzzle a cui ha dato titolo L'abito della sposaL'abito della sposa come M'ama non m'ama si infrangono come i sogni e i frammenti di bellezza stanno lì a guardarci. Dietro ogni margherita si intravede il volto mediocre del visitatore. La nostra Vanitas non riconosce la bellezza, lo specchio mediocre di una società privata del sacro e del bello che pone la granitura d'oro al servizio di un Salotto buono.

Salotto buono, h130cm,
 foglia d'oro su specchio, 2020

Altri frammenti di un mondo a pezzi fatto di soldati, vescovi, madonne è quello del Lacrimario all'interno del quale sono intrappolati i personaggi di un racconto mitico, di un'altrove distante nel tempo, nello spazio e nei desideri.

Lacrimario, 160x110cm,
foglia d'oro e olio su specchio, 2018


La doratura di questi strani frammenti porta con sé lo spirito della decorazione persiana, del mondo bizantino, della granitura d’oro medievale. La grande pittura su tavola di Duccio, Simone Martini, di Pietro Lorenzetti, degli anonimi pittori di Icone, si frange contro il contemporaneo, i vetri non reggono l'urto. Qualche visitatore li ha definiti una decorazione, in realtà di questa mostra, tra i lavori più riusciti.

 
 
Nella serre vittoriane di Kew garden il vetro è uno schermo che separa la natura addomesticata dell'interno, dalla natura addomesticata dell’esterno.
Ho una strana attrazione verso questi edifici - ne ho già parlato altre volte - giardini in gabbia, dove gli ambienti sono piegati alla musealizzazione: si fingono mondi, si mette in scena, come a teatro, la complessità della vita, l’accumulo ossessivo della grande stagione coloniale, scientifica e industriale vittoriana. Li trovo meravigliosamente corrispondenti a ciò che siamo diventati nel corso dei millenni. Kew è esibizione del lusso e del paesaggio asservito.
 
 
 
 
Dale Chihuly, artista settantacinquenne, neobarocco, -  conoscevo il maestoso lampadario che impera nell’atrio del V&A- ha costruito nei Reali giardini di Kew una scena teatrale in vetro soffiato. Ha fuso la sua attitudine all' ipertrofia con la bellezza del luogo, scatenando tra serre e laghetti, boschi e radure la sua fantasia arborea più bizzarra. Gigantesche canne rosse, fiori verdi, cactus, ikebana in vetro soffiato perfettamente integrati nell’ambiente.
Per uno strana alchimia visiva, queste forme arboree vetrose sembra siano sempre state qui.
Persians blue and green, è un pendente di nove metri, che pare l’orecchino di una dea gigante, appeso alla gabbia degli uccellini la Temperate House.
Green Hornets and Gold Waterdrops sono esseri alieni semiacquatici perfettamente mimetizzati tra felci e stagni artificiali, come le sfere dai colori cangianti o le canne rosseggianti tra cerealicole ingiallite. 
Ho l’impressione di essere atterrata in uno dei mondi immaginari della tv della mia infanzia.
 



Parlare di natura è quasi una moda: rispettare la natura, seguire i ritmi della natura, riappropriarci della natura. Tutto molto giusto, eppure ogni volta mi ritrovo a contemplare vegetali sintetici, realizzati con i materiali più diversi. Ingannata da copie e falsi, da oggetti brillanti o velati di un sottile strato di polvere, ripugnanti o attraenti.
Inseguo il neobarocco contemporaneo: fiori finti, copie, falsi e insetti molesti.
Al Mambo incontro Elogio dei fiori finti di Bertozzi & Casoni e me ne innamoro.
I due ceramisti di Imola hanno realizzato una versione tridimensionale, in maiolica dipinta, di alcuni vasi con rose, polvere compresa, di Giorgio Morandi.
E’ noto che Giorgio Morandi per i suoi vasi di fiori non guardasse al fiore fresco, transitorio, destinato a modificarsi giorno dopo giorno, preferiva fiori di seta o fiori essiccati che, al pari degli altri oggetti, raccolgono polvere e mantengono il loro stato inalterato, creando effetti tonali apprezzati e forse per questo volutamente ricercati dall’artista. A questa assenza di vita, riprodotta in maiolica, i due artisti hanno aggiunto, tra i petali polverosi, alcuni cangianti coleotteri di Cetonia aurata come Vanitas e Memento mori. In quanto portatori di variazioni indipendenti dalla sua volontà, probabilmente Morandi non li avrebbe apprezzati.


 

Sussidiario

La Cetonia aurata è un coleottero della famiglia degli scarabeidi, si nutre di corolle di fiori, con particolare attenzione alle rose.
Non è da sottovalutare il fatto che il coleottero, nella sua variante di scarabeo stercorario, è simbolo di resurrezione, per via delle sue consuetudini alimentari coprofaghe e l’abitudine di deporre le sue uova nella palla di sterco che usa conservare nella tana. Dall’osservazione delle abitudini di questi piccoli esseri viventi, nell’antichità era credenza diffusa che la vita potesse nascere in modo “spontaneo” da elementi naturali inanimati in quanto comunque dotati di influssi vitali. Si riteneva che esseri quali vermi e insetti potessero nascere spontaneamente dal fango o carcasse in decomposizione.  
 

 

Attratti dal caduco, dal transitorio, dal deperibile e dal disfacimento, Bertozzi & Casoni da anni indagano i rifiuti della società contemporanea, compresi quelli culturali e artistici, in una messa in scena in cui si alternano affondi nel degrado e rinvenimenti di superstiti o misconosciute bellezze.

  
Finalmente intraprendo la visita di cortesia alla stellina del momento, a quella che un custode di Palazzo Pitti ha definito “la crosticina”.
La visita non era programmata, ma sono qui. Si tratta della composizione floreale o natura morta di Jan Van Huysum, l’olandese che tra i fiori faceva volteggiare mosche, farfalle e altri insetti, riportato di recente a Palazzo dopo il furto e l’esilio germanico di quasi settantacinque anni. Di fronte alla teca nella sala della musica della Galleria Palatina ci sono un discreto numero di curiosi. Fra qualche mese tornerà alla sua collocazione nella Sala dei putti, invisibile, forse, come tutte le nature morte non particolarmente celebrate.
 



- Scusi, la natura morta riportata a Palazzo si trova in queste sale?

- La crosticina? E’ alla Galleria Palatina.

- Ah è così che la chiamate?

- Beh veda lei? E’ costato più riportarla in Italia di quanto valga effettivamente.

- Va beh! Che c’entra? E’ stata l’occasione importante per illuminare un momento storico, una vicenda, affermare un diritto. Sono molti i visitatori che vengono a vederla? Anche noi siamo curiosi.

- Sì, sì, ma rimane una crosticina.

- Ah! Ah! Andiamo a vederla e le facciamo sapere.

Sussidiario

Jan van Huysum pittore di nature morte attivo in Olanda nel primo Settecento, noto per il virtuosismo nella descrizione dei particolari, si ipotizza utilizzasse lenti d’ingrandimento per studiare la natura e per dipingerla.
Il Vaso di fiori – soggetto prediletto dell’artista – fu acquistato nel 1824 dal Granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena. Nel 1943 militari dell’esercito tedesco in ritirata trafugarono alcune casse dalla villa Bossi-Pucci a Montagnana (Montespertoli) dove le opere di Palazzo Pitti erano state nascoste, trasferite in provincia di Bolzano, per prepararne la definitiva trasferta fuori del confine nazionale attraverso il Brennero, una cassa, in cui si trovava il Vaso di Fiori di Palazzo Pitti venne aperta, e nel luglio 1944 un caporalmaggiore, che si era impossessato del quadro, spedì il dipinto come regalo alla moglie in Germania.
 
Non siamo tornati a commentare con il simpatico custode, troppa gente, giornata caotica.
Non è una crosticina. Ci sono nature morte ben più misere, cariche di quella tronfia esibizione del lusso che ha decretato tra XVII e XVIII secolo la fama del genere, non è questo il caso.
Trovo deliziosi questi insetti volteggianti sopra i fiori: è visibile chiaramente una mosca, una farfalla e un coleottero.
Vale la pena fargli una visita solo per questo.
Il metodo dell’osservazione diretta, il metodo della moderna scienza fanno di questi quadri una versione domestica delle illustrazioni naturalistiche. I pittori naturalisti del XVIII secolo hanno compiuto un grande sforzo per mostrarci il mondo naturale così com’è, senza idealizzazione o corrotta superstizione.
E’ una di quelle opere che non appassiona il visitatore medio, men che meno il turista corridore, ma porta con sé una storia avvincente e questo basta. La guerra, l’occupazione, il furto, il ritrovamento, l’accordo, il ritorno a casa.
Quanti conoscono lo sforzo fatto da storici dell’arte, funzionari anonimi che percorrendo la penisola in lungo e in largo hanno messo in salvo una madonna con bambino, un santo, un crocifisso? Il racconto di questo piccolo quadro può rappresentare una delle tante chiavi d'ingresso alla storia. Per il resto continuerà ad essere una natura morta olandese, una osservazione diretta della natura domestica, una “crosticina” come dice il simpaticissimo custode. Perché, detto chiaramente nessuno va a Palazzo Pitti per vedere Jan Van Huysum. Continueremo ad andarci per Tiziano e Raffaello. Noi siamo qui anche per Neo Rauch, pittore tedesco contemporaneo la cui rappresentazione della vita e della natura è inquietante, ma non manca di sarcasmo.



 
ARC

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