lunedì 24 gennaio 2022

Conversazione con Anna Ratajczyk

Nata a Zielona Góra (PL), vive e lavora a Livorno.
Ha studiato pedagogia e fotografia all’Università di Zielona Góra, dopo la laurea si è trasferita in Italia. Ha collaborato con Egg Visual Art un collettivo di artisti attivi a Livorno in progetti d’arte contemporanea. Nel 2019 ho iniziato il percorso formativo presso Fondazione Studio Marangoni a Firenze.

Secondo la definizione di Oliver Wendel Holms la fotografia è uno <<specchio dotato di memoria>>, il mezzo più consono perché si possa conservare, preservare e tramandare e, anche specchio di se stessi poiché unifica sullo stesso piano soggetto e oggetto. Ai tempi di Cudzoziemka 2018(Straniera) pensai che conservare, riorganizzare la memoria fosse la cifra di Anna Ratajczyk. Oggi, se pure orientata verso nuove strategie e sperimentazioni tecniche, il suo immaginario visivo e narrativo è ancora questo. Chiara in 97m² come il lavoro in progress sulle cicatrici sembrerebbero rivolti al presente, eppure anche questi sono lavori su preservare e tramandare. Recentemente, per La casa è un suono lontano Saiko ha prelevato fotografie di famiglia, lettere, immagini, oggetti d'affezione, mail perse nel web e allo stesso tempo catturato l’istante presente fotografando momenti di vita domestica, luoghi del quotidiano mescolando tempi e spazi, desideri e ricordi. Il tempo della memoria e l’immediatezza del presente si sono fusi in un cortocircuito il cui esito è un racconto emotivo, certamente introspettivo, carico del peso e della leggerezza della vitaA muovere un ulteriore passo in questa direzione è l'idea di immagine come transito, fondamentale è stata la lettura di James Hillman per cui la vera immagine ha la capacità di sospendere spazio e tempo, non spingerci a fare qualcosa ma al contrario trattenerci dal fare e portarci in una dimensione altra verso l’introspezione interiore ma anche sviluppare la capacità di comprendere e governare le nostre emozioni, migliorarle.
 
Cudzoziemka(Straniera)


ARC – Quando ci siamo conosciute, nel 2017, lavoravi al progetto Tagli a cui ha fatto seguito Straniera, che ci ha permesso di conoscerci meglio. Partiamo dei Tagli …
AMR - Quando ho fatto Tagli avevo dentro un’idea, una voglia di raccontare alcune cose, ma oggi mi rendo conto che quello era un modo di raccontare qualcosa di molto più profondo, che potrei definire ingenuo.
Quando penso ai miei primi lavori, quando lo sguardo attraversa i tagli sento, vedo un susseguirsi delle esperienze di vita che si dispiegano interiormente. Un esperienza diretta, un pensiero del cuore, riflesso dell’anima. Poi ci sono libri che ti cambiano la vita: dopo aver letto il dialogo tra Silvia Ronchey e James Hillman Ultima Immagine ho trovato un alfabeto, un linguaggio molto intenso per raccontare quello che volevo dire tanto tempo fa. I nuovi lavori stanno andando in questa direzione.
 
ARC – Perché pensi che l’approccio a Tagli fosse ingenuo? Cosa intendi?
AMR – L’approccio sembrava inesperto perché erano anni che non prendevano in mano la macchina fotografica, con i tagli ho ripreso vita, sono riemersa, ritornata come artista.
In quell’occasione volevo affrontare il dolore della scelta di un intervento chirurgico, di qualcosa che per me era impensabile. Tagli era un modo per far vedere alle persone il mio punto di vista, per far entrare gli altri dentro questa problematica, far vedere il mio dentro attraverso dei tagli sulla superfice della fotografia. Volevo raccontare che c’è un immagine più profonda dell’immagine visibile, una lacerazione che diventa un invito ad entrare attraverso la fessura per scoprire varietà dei mondi nascosti, strati delle realtà: toccare l’invisibile.

Tagli

 
ARC –Se non sbaglio erano quasi tutti autoritratti, era il taglio a dare luogo al transito.
AMR –Perfetto, era un’apertura per scoprire l’enormità del dolore.
Una volta varcata la soglia ci si può abituare, si può convivere, accettare e trovare l’equilibrio, innamorarsi del dolore.
 
ARC – E’ un lavoro che hai concluso o hai deciso che proseguirai ad analizzare questo tema?
AMR – Ho proseguito con altri tagli, perché il taglio si estende, e il lavoro successivo è quello delle ferite, una continuazione del lavoro dei tagli che non ha una fine, non è un lavoro concluso, è un leitmotiv che si estende in tutti i lavori. Quando affronti certi temi a volte ti allontani, poi torni, poi riprendi il discorso che si estende come una ragnatela per diventare il mio percorso. E’ una cosa che ti insegna la vita, non la puoi abbandonare.
 
ARC – Ricordo che qualche tempo fa stavi lavorando ad un progetto sulle cicatrici, una ennesima evoluzione. Te ne stai occupando ancora, come prosegue?
AMR –Sì, i tagli si sa diventano cicatrici, ovviamente. Sono progetti ancora in progress, che proseguono in parallelo ad altri.
Cicatrice come un manifesto, cicatrice come dialogo, restare “cuciti” al tessuto della vita, come se fosse l’unico modo di stare al mondo.

La casa è un suono lontano

 
ARC – Negli ultimi tempi hai completato due lavori in qualche modo complementari, uno sulla memoria La casa è un suono lontano e l’altro sul presente Chiara in 97m² sulla vita a casa durante il lockdown. Di cosa si tratta?
AMR –Il lavoro sul passato è molto interessante. Quando ho visitato la mia casa in Polonia ho ritrovato delle foto di cui non conoscevo neppure l’esistenza. Quando sono morti i miei genitori ovviamente la casa si è aperta alla mia presenza e ho trovato dei ricordi, delle memorie fantastiche che ho cercato di raccontare mischiandole con il presente. Ho fotografato il retro delle foto che riportavano date, dediche, nomi delle persone ritratte e le ho unite a immagini del mio presente. I testi in polacco, una lingua straniera -per un italiano sono solo suoni-, per me l’essenza del passato, la memoria. Ho unito le due immagini: il richiamo del passato si è fuso con l’istante ed è nata la storia.
 

La casa è un suono lontano 

ARC – E’ curioso questo lavoro. Nel titolo ti riferisci al sonoro, non al visivo. Anche in Cudzoziemka (Straniera) il suono aveva una sua parte importante. Non sentiamo il testo lo vediamo soltanto.
AMR –E’ un lavoro molto legato al tempo e al luogo dove vivo, al mare così presente nella nostra vita, nella vita di Livorno. Ci sono tante situazioni legate al suono, al suono del mare, un suono indistinto che evoca memorie lontane. Il passato si è fuso con la materialità della pietra, delle rocce portatrici dei messaggi del passato, il suono diventa luce che disegnava mio passato e disegna il mio presente, perché il tempo finisce e la luce continua ad esistere.
 
Chiara in 97m²


ARC – Parlami di Chiara in 97m². Le foto sono state scattate nei mesi di chiusura durante la primavera 2020. Lo trovo un lavoro molto divertente, c’è parecchia ironia nonostante il tema. 
AMR – Era molto divertente cercare di mettere insieme i bambini. Era posato ma organizzare tutto il set è stato fantastico. Per loro era un gioco, per me era lavorare, ovviamente. E’ stato difficile mischiare il ruolo di mamma e fotografa. Loro non capivano perché, però spero di essere riuscita a catturare il carattere dei bambini, l’atmosfera, il silenzio di mia figlia e il bimbo con la sua ironia. La Chiara del titolo è mia figlia, ha 17 anni. Quando è iniziato il lockdown il mondo si è fermato, si è fermata anche la scuola. Nonostante fossimo a casa dovevo proseguire i miei progetti iniziati alla Fondazione Marangoni. Siamo chiusi a casa e nasce la storia di Chiara che ha un fratello e ovviamente vuole apparire anche lui. Lo sguardo si concentra su Chiara che forse necessita di più attenzione, forse è un richiamo da parte sua, seppure per lei diventi difficile essere ripresa. Ognuno ovviamente cerca di tirare fuori il meglio. La collaborazione tra noi in questo progetto è molto intensa.
 
Chiara in 97m²


ARC – Non è la prima volta che sono presenti in un lavoro, avevi già fotografato i tuoi figli quando erano più piccoli.
AMR – Sì, perché tutte le storie si intrecciano, è un tema soffocante, claustrofobico. Io devo mettere le cose apposto, devo raccontare perché so che esiste la fine, sono consapevole. Ho sperimentato la fine, mettere apposto le cose, raccontare le cose è importante.
 
Cudzoziemka(Straniera)


ARC – L’ultimo tuo impegno è un altro lavoro su sistemare, recuperare la memoria. Parliamo di Saiko.
AMR –Nasce in collaborazione con Percorsi fotosensibili.  E’ stata un’esperienza molto difficile perché scrivere in italiano per me non è semplice, non riuscivo a raccontare, non sapevo da dove partire. Doveva essere una bella esperienza, un progetto di parola e immagine, che mi ha messo in crisi. Paradossalmente è stata un’occasione per ritrovare altre memorie: quella di una ragazza scomparsa dalla mia vita per tantissimi anni, poi ritrovata con grande fatica e grande sforzo e, allo stesso tempo, il racconto di un viaggio mai avvenuto. Così è nato il progetto.
Con Saiko ci siamo conosciute tanti anni fa, abbiamo fatto il corso di italiano insieme. Questa cosa ci ha legato tantissimo, perché eravamo due straniere, due ragazze provenienti da due paesi diversi e lontani che si sono trovate a Livorno a studiare italiano. Lei ad un certo punto è partita, è rientrata in Giappone, io dovevo raggiungerla, invece c’è stato il terremoto e i nostri contatti si sono interrotti. Là si è fermato tutto. Non trovi le risposte. Le mail che forse non arrivano, chissà, invece dopo dieci anni risponde alla mail e nasce il racconto.
 

 Saiko


ARC – Perché hai scelto di realizzare questo lavoro con la polaroid?
AMR –E’ stato un esperimento riuscito alla perfezione (anche se un esperimento). In questo caso dovevo accogliere, accettare l’handicap, l’imperfezione del mezzo e in certo senso del risultato che diventa il lato forte del racconto. Mi piace tanto la materialità della polaroid, l’immediatezza. Per me è un biglietto, un biglietto per una partenza, come ogni viaggio riserva sorprese, incertezze e nello stesso momento la destinazione, stampata sul documento di viaggio, rimane definita e chiara. Questa storia della polaroid, oltretutto, si collega ancora una volta alla memoria della mia famiglia. In quella incursione a casa dei miei genitori ho trovato delle polaroid di una mia zia Weronika che sono meravigliose. Lei abitava in America e mandava queste polaroid fatte con una macchina SX-70 accompagnate a delle lettere. Erano i primi anni ottanta. Per noi era un sogno proibito, con tutto quello che offriva.
 


ARC –La polaroid è il viaggio, tutto ciò che è lontano o irraggiungibile, ma in Saiko utilizzi il mezzo per ritrarre frammenti di pensieri, più che tracce di un viaggio.
AMR –Sì, ricostruisco la memoria e la relazione con Saiko, metto insieme frammenti di oggetti che ci legano, riferimenti alla nostra vita, pensieri. Lontano diventa vicino. Esiste una immagine più profonda dell’immagine visibile e il mio è solo un indizio, un riflesso, un invito, una rappresentazione dell’essenza dell’anima.
ARC

Sito ufficiale: Anna Ratajczyk