M.S. Avevo realizzato un
lavoro dal titolo “Copyright” di un metro per un metro, che doveva essere
inviato in Giappone a Kyoto per il summit sul tema dell’acqua. Era il 2001. Consisteva nella parola “acqua”, scritta in cerchio. Il lavoro risultava
un po’ ambiguo perché man mano le lettere che componevano la parola “acqua”
si disintegravano e si perdevano nella superficie bianca del pannello. L’ultima
lettera rimaneva la “c” che si trasformava nel simboletto del copyright ©.
L’espansione della goccia aveva un risvolto negativo. Sempre sul tema dell’acqua
avevo fatto un altro lavoro “Souvenir”, esposto in uno spazio espositivo che
gestivo io: Il Buco.
A.R.C. In cosa consisteva?
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Souvenir, 2009, installazione, 192 bottiglie, foto G.Flore |
A.R.C. Come deve essere un
prodotto!
M.S. Appunto. Queste 192
bottiglie contenevano dell’acqua, avevano una cannuccia e una bandierina per
ogni paese. Siccome mi interessa rallentare i tempi di percezione,
soffermarmi su un’ opera d’arte, avevo messo dietro ogni bottiglia il simbolo
del copyright, un adesivo che si vedeva al contrario e per riflesso. Quindi
solo chi ha avuto attenzione lo ha notato.
M.S. Il 2009. Sempre dello
stesso anno è “Il rifiuto di Jean Marie Pelt”, realizzato in un altro negozio, in uno
spazio 3mx3m.
Un negozio che aveva una grande vetrina che ho immaginato come una serra. Siccome lavoro con i materiali di recupero ho un po’ giocato con le assonanze: il “rifiuto” in quanto materiale di scarto, avanzi di lampadari, tubi, pompe.
Un negozio che aveva una grande vetrina che ho immaginato come una serra. Siccome lavoro con i materiali di recupero ho un po’ giocato con le assonanze: il “rifiuto” in quanto materiale di scarto, avanzi di lampadari, tubi, pompe.
L’occasione è stato un libro, il primo best seller di un ecologista
francese tale Jean Marie Pelt che per la prima volta trattava degli organismi
modificati geneticamente. Erano dei fiori mostruosi, anche loro sistemati in
maniera simmetrica come potrebbero essere le monocolture.
Questa vetrina sembrava una serra dove nessuno poteva entrare. Per questa installazione il negozio era chiuso. Si poteva vedere soltanto da fuori. Al centro lampeggiava una luce verde, anche se il verde poteva far pensare ad una condizione naturale, il lampeggiare fa sempre pensare ad uno stato d’allarme e di fastidio. Anche questo è un aspetto che mi interessa, le insegne luminose. Sarà retaggio di alcuni film di fantascienza “Blade Runner” dove c’erano sempre delle luci ad intermittenza.
Questa vetrina sembrava una serra dove nessuno poteva entrare. Per questa installazione il negozio era chiuso. Si poteva vedere soltanto da fuori. Al centro lampeggiava una luce verde, anche se il verde poteva far pensare ad una condizione naturale, il lampeggiare fa sempre pensare ad uno stato d’allarme e di fastidio. Anche questo è un aspetto che mi interessa, le insegne luminose. Sarà retaggio di alcuni film di fantascienza “Blade Runner” dove c’erano sempre delle luci ad intermittenza.
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l rifiuto di Jean Marie Pelt, 2009, installazione, dimensione ambiente |
A.R.C. Curioso che alcuni dei tuoi
lavori appaiano in una condizione di privazione, separati dal pubblico da una
vetrina, una barriera. C’è la totale impossibilità per lo spettatore ad avere
un qual si voglia contatto, entrare e muoversi attorno al lavoro. Poi ci sono
tuoi lavori che esplicitamente invitano alla condivisione, nei quali la
partecipazione attiva del pubblico è fondamentale. A Molineddu con “Che piacere
averti qui” hai condiviso l’opera non solo con il pubblico ma anche con gli
animali del giardino, e di recente è accaduto anche con “Il giardino delle
delizie”. .. una condivisione totale, anche con le galline!
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Che piacere averti qui, 2001, dettaglio |
M.S. Se anche la natura apprezza il tuo lavoro non è male! (ah ah ah)
Ci dev'essere anche una
condivisione materica, di contaminazione. In quel caso lì, ho contaminato uno
spazio e la natura ha contaminato completamente il mio lavoro. Il lavoro
consisteva in 150 sediette realizzate con zollette di zucchero.
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Che piacere averti qui, 2011, installazione, 150 sedie di zucchero, Molineddu, Ossi, (SS) |
A.R.C. All’opposto de “Il rifiuto di Jean Marie Pelt”?
M.S. Dipende. Quando ho fatto
questi lavori legati a tematiche ambientali, pensavo a noi che veniamo continuamente esclusi
da determinate cose. “Souvenir “e “Il rifiuto di Jean Marie Pelt” incarnano
questa separazione. E’ come vedere una sperimentazione in laboratorio. Ad
esempio a me la teca mi impressiona, vedere le cose attraverso una teca mi
impressiona. C’è un' entità ancora più grande di te là dietro che gestisce
quella cosa lì e tu non puoi intervenire, ti è precluso l’intervento. Come
singoli siamo impotenti. Questo senso di impotenza è molto forte nella società
di oggi.
A.R.C.In questo momento hai dei
nuovi progetti? A cosa stai lavorando?
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Sa Die, 2014, installazione, dimensione ambiente, ex Mercato Civico, Sassari |
Mi è piaciuto intervenire in un luogo dismesso con qualcosa che ricorda
il modo di esporre le opere d’arte nei vecchi musei.
Mi dispiace quando non si bada a certi aspetti. L’estetica del bello mi interessa. Sarà perché lavoro nella scenografia, nel design, della decorazione d’interni e ho a che fare con queste tematiche. L’escluderlo completamente dai miei lavori di ricerca nelle arti visive mi dispiacerebbe molto.
Mi dispiace quando non si bada a certi aspetti. L’estetica del bello mi interessa. Sarà perché lavoro nella scenografia, nel design, della decorazione d’interni e ho a che fare con queste tematiche. L’escluderlo completamente dai miei lavori di ricerca nelle arti visive mi dispiacerebbe molto.
Sto sempre molto attento alla forma e all’estetica del lavoro. Per me è
importante il rapporto con le superfici.
A.R.C. Quel lavoro ha un forte
interesse verso il bello, non tanto a livello di piacevolezza ma per come è
stato progettato e per come era proposto: all’interno di uno spazio oramai
chiuso - perché Sassari ha un nuovo mercato- innalzando un spazio degradato a
sala museale lussuosa. Raccontami di questo progetto.
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Sa Die, 2014, installazione,dettaglio, ex Mercato Civico, Sassari |
Quindi mi interessa intervenire o in luoghi dismessi o in luoghi
apparentemente brutti con un frammento di bellezza, lavorando anche sul colore.
Per “Sa Die” il colore di fondo era un rosso porpora, come forti sono i
colori dei musei ottocenteschi.
A.R.C. Possiamo dire che oggi i
tuoi progetti vanno in questa direzione?

Quando si lavora in diversi campi come nel mio caso: un intervento
decorativo all’interno di un negozio mi può dare l’imput di una installazione,
di un libro d’arte, un disegno.
Se non buttassi giù due righe ogni vota che mi viene un’idea vivrei nel caos più totale.
Se non buttassi giù due righe ogni vota che mi viene un’idea vivrei nel caos più totale.
Quando lavoro ad una scenografia confrontarmi con un regista di teatro
che mi dà altro, il nuovo, succede il corto circuito. Non posso chiudermi. Tutto
determina nuove cose.

Sono stato invitato in un luogo dove il proprietario utilizza le pelli dei
conigli, delle pecore, le zampette degli agnelli per fare i suoi lavori, e io
ho realizzato una cinquantina di sagome, di stencil realizzati con zucchero a velo.
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Giardino delle delizie, 2014, 50 stencil, zucchero a velo, Molineddu, Ossi, (SS) |
Nel caso di “Che piacere averti qui” il lavoro era un vero dialogo
dell’uomo con la natura, dell’artista con la natura, perché esporre in una
campagna ha dei rischi. Puoi scadere nel monumento, in qualcosa che cerca di
concentrare tutto su di sé. Ho quindi cercato di rompere questo atteggiamento
con le ridotte dimensioni e una quantità elevata di pezzi, in varie situazioni,
ogni angolo è buono per sederti.
C’è stata come la rivincita della natura.
C’è stata come la rivincita della natura.
Dove trovare Marcello Scalas:
Marcello Scalas , intervista, design e complementi d'arredo
Marcello Scalas , intervista, La superficie e lo spazio
Mittelmeer mostra, Galleria Bonaire, Alghero 2016
CONTEMPORANEAMENTE, 10 Giornata del Contemporaneo, 2014
Bassa tensione - trilogia: Realmente - qualcuno c'è stato, qualcuno l'ha visto
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