A.R.C. La scorsa volta abbiamo
parlato delle sculture di plastilina, l’ultimo dei tuoi lavori che possiamo
far rientrare nei “Monumenti provvisori”. Abbiamo però tralasciato quegli aspetti del tuoi lavoro che ti vedono in
collaborazione con altri.
So che stai seguendo un
progetto editoriale, di cosa si tratta?
J.S. In questo momento sto
realizzando un lavoro che mi diverte molto. Mi hanno chiesto di illustrare delle storie per bambini i
cui protagonisti sono ovviamente animali. I miei disegni non sono esattamente
delle illustrazioni nella forma ortodossa. D’accordo con l’autore disegno degli
aspetti che nella storia ci sono ma non vengono dette. Il protagonista è un koala,
la sua famiglia, gli amici.
Zebra Crossing, 2008, Facoltà di Lettere e Filosofia, Sassari |
A.R.C. Non hai mai pensato di
occuparti di illustrazione?
J.S. No, perchè io non nasco
come disegnatrice, anche se poi è capitato che mi suggerissero questa cosa. In
realtà non ci avevo mai pensato, e in questo momento mi sto divertendo
moltissimo.
A.R.C. Quanto è importante
divertirti nel tuo lavoro?
J.S. C’è un momento del lavoro
che non si può certo chiamare divertimento, quando poi si è avviato il
meccanismo, si lascia il progetto mentale, c’è sicuramente un grande piacere. Siccome
i miei personaggi sono sempre divertenti, a volte buffi c’è questo dialogo tra
me e loro. E’ molto importante mantenere quel
gusto di stupirsi di piccole cose. In questa momento, nel disegnare questi
koala c’è il gusto dell’invenzione, lo studio delle pose, dei movimenti, capire
come funziona. Mi sono inventate un koala pirata, un koala Tarzan. Vado a vedermi
le pose: Tazan che vola, Braccio di ferro ecc...
Zebra Crossing, 2008, Facoltà di Lettere e Filosofia, Sassari, dettaglio |
A.R.C. Nonostante l’inizio
casuale, questo dell’illustrazione è un percorso che intendi proseguire o pensi
che questa esperienza rimarrà unica?
J.S. Questa è una fase del
lavoro sicuramente embrionale. Quando me l’hanno proposto e quando ho iniziato a
lavorare ho pensato fosse una cosa eccezionale, ma che infondo possa diventare
anche questo un episodio portante del mio percorso. Non mi pongo neanche il
problema, sono un’artista prestata all’ illustrazione. Non mi sento in fondo un’illustratrice. Non è produrre
belle immagini, ma introdurre nelle belle immagini, ammesso che poi siano belle,
cose che appartengono il mio modo di pensare. In questo momento penso in
prospettive brevi, non proprio alla giornata, ma indubbiamente i miei progetti
sono molto ridotti nel tempo.
A.R.C. Ma non è un po’ limitante
per un’artista pensare a breve termine? Un artista non dovrebbe pensare a
progetti a prescindere dal fatto che riescano. Gli artisti non sono quelli che
aprono le porte al futuro, anche per tutti gli altri?
J.S. In tutti questi anni,
anche nel modo che ho avuto di operare, ho creduto in scelte non propriamente
vincenti. Scegliere di vivere in Sardegna, anche se ho lavorato molto fuori
dalla Sardegna, lavorare con cose piccole che poi potessero dare grandi cose.
E’ stata certamente importante, una cosa in cui ho creduto molto. Ma al momento
il mio punto di fuga non riesce ad essere lontano.
![]() |
Josephine Sassu, A Natale sarete tutti più buoni, 2009, Il buco, Sassari, |
A.R.C. Molti artisti lavorano su
dei piani che per i contemporanei sono complicati. La determinazione nel
lavorare su prospettive future, nonostante tutto, apre ulteriori occasioni di
riflessione. Non credi che un artista lavori anche per i posteri, non solo per
i contemporanei?
J.S. Questo l’ho sempre
creduto. Certamente si è pionieri, se si
è artisti. Per me questo è un momento di transizione. Tutto ciò che ho
creato in questi vent’anni mi rende molto orgogliosa, lo sto facendo
rigermogliare, perchè penso che più che aver creato delle cose ho messo in moto
delle energie. So di avere molte cose da fare, lo so. C’è da capire dove va a
finire questo Paese e se io ci posso rimanere in questo Paese.
Penso che rinunciare a cose molto eclatanti, non solo nella risoluzione estetica
del lavoro, ma anche nelle scelte di percorso, alla fine siano fondamentali e
premianti.
La fragilità del mio lavoro è fondamentale, l’artista crea altri
modi di vivere e altri mondi. Pensare di vivere ancora in un mondo che non ha
prediletto la qualità, che ha prediletto una produzione estrema di tutto è
devastante. E’ chiaro che tutto questo è all’opposto di quello che io ho voluto
dire con il mio lavoro.
A.R.C. Che rapporto hai con le tue
opere?
J.S. Ogni volta che produco un
lavoro in realtà e come se lo avessi già fatto. Fisicamente lo costruisco, però
il mio problema, quando ho un’idea e la realizzo è: <<Chissà se avrò
altre idee!>>
Il progetto a cui sono più affezionata magari è quello che farò tra un
anno.
Nel mio modo di lavorare, per quanto ci siano delle costanti, la
difficoltà è avere l’energia, la forza, la motivazione di crearne un’altro. E’
un pò come credere di avere un’altro figlio.
Poi in realtà alcuni lavori li vedo lontanissimi, tipo “La valle degli
orti” 1997 è lontanissima. Mi sembrano quasi delle cose che non ho prodotto io.
Hanno un’autonomia, nella loro forma, nella loro fragilità. Ad esempio
“Specchio delle mie brame” 2000-2003 lo vedo come un mostro, ho partorito un
mostro di bellezza.
A.R.C. Parlavi della fragilità
delle tue opere, che presumo riguardi sia l’aspetto dei contenuti che quello
materiale, sono lavori facilmente deperibili.
J.S Per tutti i miei lavori,
nello specifico quelli che ho prodotto di recente
si pone il problema della conservazione, naturalmente quelli che si
possono conservare.
Il trasporto sta diventando problematico. Far viaggiare delle sculture di
plastilina richiede tutta una serie di procedimenti complessi.
Di recente ho partecipato a “Body Circus” una collettiva nella Pinacoteca
Carlo Contini di Oristano. Ho fatto delle piccole sculture con soggetto
animale, che sono quasi delle riproduzioni, in senso lato, di opere storiche di
artisti sardi, che io amo molto. Non solo c’era l’attinenza al tema della mostra,
che era il corpo, ma anche un mio modo di rapportarmi ai maestri del passato.
Per tornare al discorso, trasportare queste piccole sculture di plastilina ha richiesto una cura considerevole.
In questi ultimi lavori, per quanto siano deperibili, per quanto siano fragili
ho cercato di applicare una cura, per tornare al discorso che si faceva prima,
per affermare una mia necessità di autodeterminazione.
Quella cosa fragile lì, sono io,
quindi mi auto-proteggo. L’affezione verso i lavori non c’è. Quelli più lontani appartengono quasi ad un’altro mondo.
Ieri mi è capitato che mi incontrasse una persona che non mi conosceva,
ma ha capito che ero io. Mi ha chiesto: <<Fai ancora quei lavori degli anni
Novanta. A me sarebbe piaciuto averne uno, me lo rifaresti?>>. Si
riferiva a “Gli affettuosi bacilli”. Tecnicamente sarei in grado di rifare le
cose che ho già fatto, ma non delle riproduzioni.
A.R.C. Certe problematiche che
ponevi allora, sia per “Gli affettuosi bacilli” che per “La valle degli orti”,
non solo, sono ancora valide, ma se ci riflettiamo certe problematiche si sono
allargate: penso alla cura del territorio, le ultime alluvioni ne sono
testimonianza, ai rapporti familiari sempre più complessi e sfilacciati, agli
allarmismi sanitari. Sarebbe interessante far rientrare queste opere nel
progetto che ti sei prefissata, quello di ripercorrere i tuoi lavori, ridefinirlo
rispetto a quella che sei oggi, no?
J.S. A prescindere dal caso
specifico, ho sempre pensato che nel mio percorso artistico ci fossero dei progetti
che ho realizzato, e gli ho fatti nella maniera in cui li volevo fare, fossero un
frammento di una cosa molto più complessa, che avrei potuto realizzare in
seguito. Ancora riesco ad immaginare delle “Valli degli orti”.
Certamente è un problema che mi sto ponendo. Naturalmente, non ad una riproduzione tout court delle
opere. Del resto io non sono più quella persona e anche le problematiche
sono cambiate. Potrei anche farmi un’autoritratto in forma animale, ma in
questo momento il modo che ho di dire chi sono, come sono non è tanto nell’autoritratto,
quanto nella forma, nell’instabilità di queste ultime sculture. Una parte di me
c’è. Se avessi l’occasione di affrontare nuovamente quell’argomento, la forza,
non solo fisica, ma sopratutto economica, certamente.
A.R.C. Sarebbe interessante si
facesse avanti uno sponsor. Molte grandi aziende paiono essere interessate
all’ecologia, all’uso sostenibile delle risorse. Potrebbero finanziare un tuo
progetto "Valle degli orti" terzo millennio, che ne dici?
J.S. Usiamo quest’intervista
per avvicinare i Mecenate. Si facciano avanti. (ah ah!)
Se continuiamo a dire che il valore dell’Italia è nella creatività,
spero si decida finalmente di investire in creatività.
A.R.C.
L’instabilità, il provvisorio è un tema ricorrente nei tuoi lavori. Quando ha
condizionato tutto il tuo modo di confrontarti con il mercato?
Il mercato dell'arte in Sardegna è piuttosto
limitato, almeno per me. Non ricordo se la predilezione per tecniche e
materiali deperibili sia precedente o successiva a questa presa di coscienza, mi
pare quasi come stabilire se sia nato prima l'uovo o la gallina. Molto hanno
fatto le mie elucubrazioni sull'arte, l'idea che l'arte sia sempre qualcosa di
estremamente fragile, anche quando prodotta con materiali durevoli,
potenzialmente eterni.
Quando lavoro ad un'idea non mi pongo il
problema del mercato, così come non lo farei se fossi un'artista di livello
planetario, il mercato, abbiamo visto, è capace di accogliere tutto, quindi
perché non comportarsi come se questo fosse veramente possibile anche per me!
Certo, l'assenza di mercato è già di per se un limite all'espressione del
proprio lavoro, comunque sin ora mi pare di essere riuscita a mantenere
un equilibrio.
Sento amici pittori che si lamentano di un
calo considerevole delle vendite, io non ho mai venduto molto ma mai come
quest'anno ho avuto testimonianza di stima e considerazione, una forma di
"mercato" consolatorio, certamente, ma comunque importate in un'epoca
in cui il "consenso" acquisisce forme sempre più fluide e mutevoli.
Spero comunque che i tempi migliorino, è
dura resistere e continuare a credere che questo sia importante, non solo per
me ma anche per l'Isola, come ho sempre creduto ( anche per
l'Italia,ovviamente, ma dalle nostre coste, a parte altre isole, non si vede
altro)
Tengo sempre presente che le mie braccia
sono rubate all'agricoltura quindi, nell'insieme, mi sento già privilegiata, mercato
o non mercato!
A.R.C. Hai citato “Body Circus”. Non è la
prima volta che nei tuoi lavori fai riferimento ad artisti sardi del Novecento.
Come nasce quest’idea?
Ho sempre pensato che, quasi
inevitabilmente -anche per ragioni di mercato- l'artista arrivi ad imitare se
stesso.
In quest'ultimo periodo ho voluto mettere le
mani in tasca, rivoltarle, capire se mi fosse rimasto qualcosa da ripescare e ripensare.
Dato che lo sguardo era rivolto indietro ho voluto dare retta alla mia passione
per l'arte, tornare idealmente ad una modalità da studentessa, ma non escludo,
in questo, anche una certa dose di sindrome di Peter Pan. Insomma, come quando il corpo sottoposto a digiuno prolungato, inizia a nutrirsi di se stesso, ho
voluto trovare una nuova via nella vecchia.
La scelta di artisti sardi nasce da
un lavoro specifico per “Body Circus” dove il tema era il corpo, appunto, e mi
sono domandata come, con un tema già così profondamente e largamente scandagliato,
potessi dire qualcosa che confermasse le modalità del mio percorso, ma che mi
permettesse di dire e dirmi qualcos'altro, oltre che collocarmi come una delle
artiste sarde in una rosa di artisti nazionali ed internazionali.
A.R.C.
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