Yo yo, 2011,"In fila per due", 2600 barchette di carta, 12m2, Libreria internazionale Koinè, Porto Torres |
A.R.C. Nella scorsa intervista ci siamo soffermati sul tuo lavoro di designer:
allestimenti scenici e complementi d’arredo che realizzi principalmente con
materiali di recupero.
Ho tralasciato volutamente di
parlare del tuo lavoro di ricerca nelle arti visive perchè mi interessava
dedicargli il giusto tempo.
Vorrei parlare con te del rapporto
che instauri con lo spazio. Da quale lavoro vuoi iniziare?
M.S. Forse, dalla stanza di
zucchero che ho realizzato a Berchidda per la mostra "Babelfish". Lo zucchero è un materiale che utilizzo e che ho imparato a conoscere. All’inizio
lo utilizzavo principalmente sulle superfici dei quadri. Poi di ogni materiale
ti informi e ti accorgi che ci sono tante cose che ti può raccontare. Uno degli
aspetti che mi aveva interessato è il fatto che essendo un cristallo -secondo
Boncinelli, un genetista napoletano, simpaticissimo- è un elemento di passaggio
tra materia inerte e materia vivente.
Mi interessava questo elemento che mette in relazione qualcosa come le
pietre (per semplificare) con noi stessi, con gli animali. Perchè il cristallo
fondamentalmente si riproduce. Ci impiega un po’ di tempo a riprodursi, però
ricostruisce.
A.R.C. Come si intitolava questo
lavoro?
M.S. “Casa, dolce casa”. Al
tempo ero studente all’Accademia di Belle Arti. Ci era stata data la
possibilità di intervenire in una casa privata, si chiamava Casa Pianezzi, al
centro del paese. Della famiglia Pianezzi,che ci ha abitato fino ai primi
decenni del Novecento, rimanevano davvero poche cose.
Come spesso succede all’Accademia, durante gli studi si forma un
gruppo, noi eravamo cinque. C’era Riccardo Fadda degli Az.namusnart, Pinuccia Sini, Dario Caria e
Marina Scardacciu. Per un mese ci abbiamo vissuto. Dario Caria era di
Berchidda, quindi stavamo a casa sua. Una vera residenza, abbiamo conosciuto il vicinato e ripulito per un mese. Una volta
che abbiamo riattato questo posto, completamente distrutto,- un aspetto che
interessava molto alcuni degli artisti, tra i quali Riccardo Fadda, che agli
inizi lavorava molto sui luoghi dismessi, aveva scelto una stanza e lasciata
tale e quale-, ci siamo divisi gli ambienti.
A.R.C. Tu che stanza hai scelto?
M.S. Inizialmente mi stavo
interessando alla scala...
A.R.C. In riferimento al tuo nome...
![]() |
Casa, dolce casa, "Babelfish", 2003, "Time in Jazz", Berchidda, (OT), dettaglio |
Però ero rimasto affascinato dalla cucina, perchè era l’unico ambiente in
cui c’erano alcune cose appartenute alla famiglia. C’era un piccolo tavolo, un
lampadario in ferro smalto, il lavandino con il rubinetto, il caminetto. A quel
punto ho deciso di cristallizzare questo ambiente: l’ho rivestito totalmente di
zucchero.
Il tema del Time in Jazz di
quell’anno era “la parola”. A quel punto era inevitabile affrontare il tema della
memoria, la parola e la memoria. Quindi ho ricoperto ogni cosa di zucchero.
Detta da alcuni appariva inquietante, perchè non subito percepivi il
calore dello zucchero. Per alcuni il bianco era un po’ ossessivo.
L’ambiente non era molto grande, sarà stato 2m x 3m. Mi interessava agire
in maniera delicata rallentando un po’ i tempi. Nel senso che, nel momento in
cui ci stavi dentro iniziavi a percepire i colori dello zucchero, che essendo
un cristallo a seconda dell’illuminazione rifletteva la luce. Sulle pareti
sembravano dei piccoli diamanti.
![]() |
O noi o io no, 2013, installazione, carta, dettaglio |
M.S. Lo zucchero sotto molti
aspetti ha a che fare con l’infanzia, con la memoria, con il cervello, perchè
ovviamente gli zuccheri agiscono sul cervello.
Lo vedevo come un materiale molto contemporaneo perchè è un alimento che
dà subito energia.
Mi permetteva di creare diversi livelli di lettura. Anche se il lavoro
era abbastanza chiaro già dal titolo. Però poteva esser letto in diversi modi e
ognuno poteva trovare il proprio modo di interpretare questa superficie.
A me piace intervenire sulle superfici e questo sicuramente si collega al
mio lavoro di decoratore d’interni.
Quindi non solo belle superfici su cui posare l’occhio per un po’,
superfici che sono la pelle di qualche cosa.
Mi interessava intervenire dal punto di vista percettivo nello spazio.
A.R.C. Prima si parlava di scale e
superfici. Di recente hai ricoperto completamente l’interno di una scala con
un’altro tipo di materiale, che ultimamente hai utilizzato in altri interventi
spaziali: la carta. Non è viva come lo zucchero ma ha un’altro tipo di
vitalità, legata alla cultura, alla manifattura.
![]() |
O noi o io no, 2013, installazione, carta, dimensione ambiente,"Le fondamenta degli incurabili", Show room Liceo Artistico, Sassari, Foto G. Calia |
M.S. Mi interessava
intervenire dal punto di vista percettivo nello spazio.
Il lavoro era la fase finale di un work shop tenuto con i ragazzi del
liceo artistico. Mi interessava modificare completamente la percezione di
quello spazio. Mi interessava come punto di passaggio di noi che esponevamo
nello show room Le fondamenta degli incurabili, al piano terra, e i ragazzi della scuola che stavano al di là
di questo spazio, nelle aule al piano superiore. Le persone che passavano
all’interno del vano percepivano uno spazio altro, non solo ovviamente per una questione
tattile, volevo anche condizionare l’udito, dal momento che una volta che ci si
camminava all’interno, vuoi per i passi, vuoi per le voci,
tutto veniva modificato. Questo permetteva a chi arrivava al piano superiore di
questionarsi su altro, oppure provare un senso di disagio, che non avrebbe
avuto salendo la scala prima del mio intervento.
![]() |
Yo yo, 2011,"In fila per due", 2600 barchette di carta, 12m2, Libreria internazionale Koinè, Porto Torres |
A.R.C. Non lo abbiamo detto, ma
questa scala è molto stretta a forma di elle e unisce lo scantinato con i piani
superiori della scuola.
M.S. Uno spazio ampio non
avrebbe certo raccontato la stessa favola. Del resto anche Alice nel paese
delle meraviglie trovava le sue porticine piccoline e si doveva adeguare. Quindi
sono sempre apparentemente luoghi stretti e angusti quelli che ti portano verso
un’altra dimensione, questo nella dimensione favolistica.
Io inserisco spesso nei miei lavori questa dimensione favolistica.
![]() |
Copyrigth, 2001, mdf, zucchero, 1mx1m |
M.S. In parte il tema della
narrazione era tipico dei miei primi lavori fatti con lo zucchero, prima che ci
intervenissi con le installazioni, sui quali io scrivevo a caratteri
tipografici con lo zucchero. Sempre perchè pensavo al sassolino gettato nello
stagno, pensavo a cosa poteva fare il racconto nella memoria.
Tanto che i primi lavori consistevano in cerchi dai quali si irradiavano
delle parole. Poi sono entrate le tematiche ambientali, che sono state
abbastanza frequenti nei miei lavori. Continua...
A.R.C.
Articoli correlati:
Marcello Scalas , intervista. Design e complementi d'arredo
Marcello Scalas, intervista. Tematiche ambientali
Mittelmeer mostra, Galleria Bonaire, Alghero 2016
CONTEMPORANEAMENTE, 10 Giornata del Contemporaneo
Bassa tensione - trilogia: Realmente - qualcuno c'è stato, qualcuno l'ha visto
In fila per due... (un progetto de Le Gioconde)
Catalogo Versione PDF
Catalogo Versione ISSUU
Mittelmeer Galleria Bonaire
Dove trovare Marcello Scalas:
Articoli correlati:
Marcello Scalas , intervista. Design e complementi d'arredo
Marcello Scalas, intervista. Tematiche ambientali
Mittelmeer mostra, Galleria Bonaire, Alghero 2016
CONTEMPORANEAMENTE, 10 Giornata del Contemporaneo
Bassa tensione - trilogia: Realmente - qualcuno c'è stato, qualcuno l'ha visto
In fila per due... (un progetto de Le Gioconde)
Catalogo Versione PDF
Catalogo Versione ISSUU
Mittelmeer Galleria Bonaire
Nessun commento:
Posta un commento