Incontro Martina Bassi in chiusura della sua mostra òPPERSPEC, alla
galleria Wilson Project Space, a Sassari.
Martina Bassi si interroga sulla natura del guardare attraverso la ridefinizione
visiva della materia e del paesaggio. Le opere nascono dall’ incontro tra pratica
digitale e intervento manuale. In una continua osservazione dal particolare al generale, dal consueto all’inconsueto ridefinisce l’orizzonte percettivo su cui agire: lo studio del fenomeno nella sua doppia origine naturale e artificiale.
La simulazione della materia e illusione della
percezione rappresentano l’apertura verso una nuova dimensione spaziale che
si manifesta nella commistione di due visioni in contemporanea: micro e macro, vedute paesaggistiche e focalizzazione sul pattern, dettaglio e percezione del totale, dando luogo a inganni ottici e della
mente.
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Martina Bassi,
òPPERSPEC, Exhibition view, Wilson Project, 2014 |
A.R.C. Come è avvenuto l’incontro
con Dario Costa?
Come nasce il progetto òPPERSPEC, nello spazio Wilson Project?
M.B. Dario ha visto un mio lavoro, nella mia prima personale “Le Pass” alla galleria Room di Milano, nell’ottobre dell’anno scorso. Gli è piaciuto
e mi ha contattata, semplicemente.
A.R.C. Quali sono i tuoi temi?
Su
cosa focalizzi la tua ricerca?
M.B. Il mio tema è il massimo tema
della rappresentazione visiva ovvero l’illusione.
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pennarello, alluminio anodizzato, mogano, 184 x 33-56 x 7 cm |
Ho avuto una predisposizione all’arte. Ad un certo punto ho sentito la necessità
di ripartire da zero. Sentivo questa necessità per ciò che riguarda l’immagine.
Quindi così ho fatto. Sono ripartita da zero, non solo a livello tematico ma
anche del soggetto.
In questa mostra c’è come un percorso, quasi un’evoluzione. E’ un
percorso che si sviluppa a partire da una riproduzione del soggetto, prima
digitale e poi manuale; a partire da una materia prima, per poi passare ad una
piccola porzione di spazio, per poi andare ai paesaggi e al rapporto
relazionale.
Il minimo comune denominatore tra questi tre lavori è l’illusione prospettica e materica.
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pennarello, alluminio anodizzato, mogano, 115 x 31 x 7 cm (dettaglio) |
Sono lavori che anche se appaiono
come delle stampe, sono in realtà fatti a mano. Faccio in modo che la matita
pastello che io utilizzo, vada a perdersi nella sua identità, si mischi
completamente con il supporto che mi fa da base. Così che la stampa diventi
pastello e il pastello diventi stampa.
A.R.C. Giochi su l’ambiguità di
visione.
M.B. Esattamente. L’ambiguità
di ciò che è la percezione stessa.
Ad ogni lavoro ho dato due
prospettive. La costruzione prospettica del perimetro del lavoro che va in una
certa direzione, quando invece all’interno l’immagine va in una direzione
opposta. Così si crea l’incontro tra due prospettive, appunto.
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Martina Bassi, Mosaico,
2014, matita pastello, carta fotografica, alluminio, vetro, 100 x 99 x 3-20 cm |
A.R.C. Quella che potrebbe essere
reale e quella costruita.
M.B. Esatto. Qui il reale e il
costruito vengono di nuovo a dialogare. Quale si può dire reale e quale il
costruito, se entrambi sono costruiti, se entrambi paiono reali, entrambi sono
fusi l’uno nell’altro.
Ad esempio questo è un frammento
del pavimento della Stazione Centrale di Milano. Un pavimento realmente
esistente che ho fotografato e ricreato totalmente, prima digitalmente, poi a
mano.
A.R.C. Non sei interessata a che
sia riconosciuto il luogo di origine, il frammento vale per se stesso.
M.B. Esattamente, non mi interessa. Anche perchè l’identità si ha nel
momento in cui si mostra. Tutto ciò che viene prima sicuramente influisce nella
realizzazione di quella forma, ma poi è l’occhio che lo vede che gli deve dare
un’identità.
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Martina Bassi, òPPERSPEC,
Exhibition view,
Wilson Project, 2014,
|
A.R.C. Ritornare all’essenziale,
mi hai detto, è un’esigenza. Perchè questa esigenza?
M.B. In realtà non c’è un prima. Il prima è l’allenamento della
mano, della sensibilità e del modo di gestire la quotidianità. Che è l’ascolto
delle cose e l’attenzione. Tutto il lavoro prima sta nell’osservazione delle
forme.
A.R.C. Alcuni lavori hanno come origine l'osservazione di un frammento minerale, del particolare di un pavimento, poi
ci sono i paesaggi. Come rappresenti l’illusione percettiva riguardo al discorso
relazionale? Qui vedo dei ritratti. Raccontami.
M.B. Sono degli autoritratti
che io faccio con altre persone.
Qui l’illusione prospettica che fa
da tema per tutta la mostra trova in quest’opera una dimensione relazionale.
Nel senso che, semplicemente, faccio una foto alla persona che mi sta
guardando, mi faccio una foto mentre la guardo, disegno i due volti, li
ricalco, li sovrappongo, segno i punti di intersezione delle linee e ricavo un
terzo volto. E’ la formalizzazione di un’incontro di sguardi.
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2014, matita pastello, carta fotografica, alluminio, legno, 183 x 45-27 x 2,5 cm |
A.R.C. Parliamo della scelta dei
materiali. Carta, allumino per i paesaggi. Questi ritratti sono realizzati su
un’altro supporto. Perchè?
M.B. Il supporto si distingue
dagli altri, è vero. Volevo che rientrasse in una dimensione relazionale,
quindi ho scelto un supporto caldo. E’ pelle. Pelle di camoscio, su cui sono
intervenuta con l’Uniposca.
E’ la realizzazione di un luogo di
mezzo, che in realtà ovviamente non esiste, come se in questo momento
realizzassi il volto che sta in mezzo a noi due. Ho riportato in vita, in qualche
modo, l’incontro.
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Autoritratto con Alberto, 2014, pennarello, pelle di camoscio, 35 x 30,5 cm (dettaglio) |
A.R.C. ...una vita che non avrebbe
realtà senza l’incontro, la relazione... Qual’è il titolo?
M.B. “Autoritratto con Alberto”.
A.R.C. Molto semplice, essenziale.
M.B. Del resto i paesaggi si chiamano “Collina”, “Nuvole, case, alberi”.
E’ l’esigenza di tornare a guardare le cose come sono, nella loro
semplicità che cela mondi. Dopo tanta sovrastrutture, ti accorgi che guardi una
cosa e in realtà non l’avevi mai vista, perchè appariva sempre in forme che
non sono le sue. Non mi interessa la semplicità come banalità, ma la complessità nella sua fase iniziale. Mi interessa il momento in cui avviene la prima costruzione.
L’originalità
in questo senso.
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