![]() |
Perlaluna, frammenti di vetro, legno, d.125cm |
Non ho mai
registrato le nostre conversazioni, erano chiacchierate, non sempre lineari. Ritenevo
che avrei dovuto organizzare meglio le idee - le mie sicuramente e, comprendere
le sue - prima di registrare e trascrivere. Facevo fatica a trovare il bandolo,
si passava da un discorso ad un altro. Tutto molto faticoso. Poi, passano gli anni,
scrivo altro, di altri. Capitano cose come mancati incontri, una pandemia,
momenti difficili, incomprensioni. E il tempo finisce. Ci ho messo un po’ a capire
che potevo scrivere una quasi-conversazione. Utilizzare i miei ricordi, residuo
di quelle conversazioni, scritti di Nicola, documenti fotografici, cataloghi. La
rete che dovrebbe fungere da cassa di risonanza e d’archivio non ha restituito
molto. Mi sono affidata all’unico sito presente, il suo https://www.nicolavukich.it/.
Pertanto, questa non è una conversazione regolare ma il racconto di Nicola
Vukich come artista plastico-visivo.
![]() |
Clochard, tela, materiali vari, h 130cm |
Bio
<<Mi
chiamo Niccola Vukich, nasco a Livorno nel 1972 e vi risiedo, la famiglia
paterna è dalmata, di Zara, antica provincia italiana. La famiglia materna è
sarda, da diecimila anni. Ho viaggiato molto in Europa, parlo così svariate
lingue. In Africa mi sono mosso in Marocco, Libia e Senegal. E’ in Africa nera
che ho imparato una lingua orale, non scritta fino alla fine del XX secolo,
quella dei venditori, che ho l’occasione di praticare ogni giorno, da
trent’anni, sono quasi un madrelingua di cose senegalesi, idioma compreso.
La mia
formazione comprende l’esercizio di uno strumento, la chitarra, e la pratica
del canto: scrivo liriche in arabo, wolof, broken english (si parla in
Nigeria), inglese, albanese, serbo croato, tedesco, spagnolo, francese,
italiano. Sono anche l’autore di tre romanzi, uno di questi, un diario
africano, è stato illustrato in sedici opere.
Gli studi
fatti un po' a volo di uccello, sono comprensivi di una laurea in arte
medievale, con una tesi inerente reliquie e reliquiari.
Nella vita di
ogni giorno faccio il professore di lingua e letteratura italiana.
Non è che
abbia fatto di tutto per fare mostre, concerti o pubblicare libri, ma ho
cominciato presto, a Pisa presso lo Studio Gennai quando ero ancora studente,
l’anno successivo la galleria Guastalla mi presentò all’Arte Fiera di Milano.
Con Tazzi,
Risaliti e Corà, partecipai a un networking sotto l’egida del museo Pecci, che
prevedeva cinque esibizioni in diverse città toscane. A Milano tornai con TAD
in una simultanea con Roma dove c’era la sede principale di questo grande store alla moda. Sono stato a Cagliari
al SAF e a Livorno ho partecipato a altre manifestazioni di carattere locale e
curatori provenienti da fuori, Paola Noè, Alberto Salvadori.>>
![]() |
Magia, Pagina da catalogo Macchie in volo, 1997 |
Tra
antenati e relitti
Nicola
realizza i primi esperimenti d’arte plastica negli anni Novanta durante gli studi universitari, prima a Pisa poi a
Roma. Ha vent’anni, artisticamente autodidatta.
All’Università frequenta Storia
dell’arte medievale. Gli studi universitari non confliggono con la voglia
di indagare il linguaggio contemporaneo, l'arte antica diviene innesco e
materia per l’opera. Seguono anni di interruzioni, malessere e riassestamenti.
Livorno con il suo alveare di atelier privati e competizioni mercantili tra
artisti, antiquari e gallerie commerciali, nessun museo o istituto d’alta
formazione artistica non aiuta[1]. Il malessere personale fa
il resto. Negli anni Duemila comincia a concretizzarsi il nucleo tematico dei
suoi lavori, temi come la dimensione
diasporica dell'essere umano, il meticciato, il nomadismo sono ancora
acerbi, ma si intravedono. Raccoglie relitti
tra spazzatura e cianfrusaglie da antiquariato, si muove tra verifiche Pop,
Arte povera alla ricerca di un suo personale linguaggio. Le interruzioni in un
percorso non lineare sono parecchie: i viaggi in Senegal, almeno quattro, i
ricoveri, i progetti abbandonati poi ripresi. Si laurea a Pisa nel 2011, una
tesi sul Reliquiario di San Simeone in
Zara. Fa la guida turistica e insegna alle scuole medie. La musica
e l’arte plastico-visiva sono in ogni caso sempre al centro.
![]() |
Galf, 2004 100x80cm |
Linguaggio
Pop, Arte povera, reliquiari sono la guida. Amedeo Modigliani, Jannis
Kounellis, Simone Martini, Pino Pascali, Pietro Lorenzetti, Michelangelo
Pistoletto gli artisti di riferimento. L’attitudine al gioco, la riflessione
sul linguaggio si ripete spesso in progetti molto differenti, semplici nella
concezione e nella restituzione al pubblico. I relitti sono affiancati a dipinti nei quali mescola testo
visivo e parola, realizza calembour visuali e verbali. Fotografie
datate 2004 documentano quadri come “Mandarino arancione”, “White
House”, “Operai”, “Nando”. Dipinti Pop in forma di rebus, tinte piatte,
colori brillanti, accostamenti complementari. Sono forse queste le opere esposte a SAF
Sardegna quello stesso anno. Altri come “Mela pagherai” “Tre Barche sole” “Portrait
du Pablò” “Galf” in una mostra a Livorno nel 2006, forse allo studio Filippelli,
dove ha esposto più volte. Un fatto di cronaca politica, avvenuto nel febbraio
di quell’anno[2], è
citato tra suoi scritti come fatto concomitante la mostra. In questi stessi anni
realizza lavori il cui racconto è un mondo che oscilla tra biografia e
narrazione letteraria, saga familiare fantastica. “La casa albanese se è di dio è dell’ospite” è datato 2006,
stilisticamente appartiene ad una serie di disegni realizzati con incisioni a
taglierino su cartone e tinto con pigmenti naturali. Una saga tra fantasia e
biografia, là dove la storia personale si intreccia a quella degli antenati. Gli stessi personaggi: soldati, principesse, cavalli, città turrite appaiono nei recenti Lacrimari
2018, frammenti di specchi dipinti a olio e foglia d’oro. Da un
racconto:
<<Quando i Vuk Vuka poi Vukai, Vuxanni poi Vukic
(e Vukich infine) emigrarono muovendo dalla Serbia per L’Albania per finalmente
stanziarsi nei furono possedimenti italiani di Dalmazia, la nostra amata patria
ancora non aveva raggiunto la vagheggiata unità e gli attuali confini.
Stanislao e Djelka, sguardi distanti e pudichi, i
volti già segnati dalla fatica, si stavano interrogando inaspettatamente comodi
e soli, sulle balle di grano appena raccolto, sul perché di quel nome di
battesimo di quel loro postero, anche lui figlio di un figlio di un figlio, appena
concepito.>>
Produce
i pigmenti naturali come un pittore medievale ma i suoi arazzi sono costruiti
con relitti trovati tra la spazzatura. Tra il 2018 e il 2020 realizza una serie
di esposizioni Open studio. Nell’aprile 2021 nel Bosco dei
Cappuccini, il residuo di un bosco storico risalente al XVI secolo nel
centro di Livorno, per GREENCITY Treks allestisce Tam Tam:
pittografie colorate su rotoli di stoffa lunghi alcuni metri appese tra un ramo
e l’altro sugli alberi. In seguito li cuce rettangolari in vari misure. Lavora
a diversi idee rimaste inattuate, tra queste un’installazione ispirata al Cenacolo
in Santa Maria delle Grazie, di cui
restano bozzetti. Alla fine dell’estate, alcuni amici artisti
costituiscono il Collettivo NV e, basandosi sui suoi racconti, realizzano
una loro versione dell’installazione. L’opera, definita postuma, è stata
esposta al premio Rotonda 2023.
Negli ultimi
anni progetta un sito, le opere organizzate nella forma Collettiva di
un artista, sembrano la versione
virtuale delle esposizioni Open studio realizzate tra il 2018
e il 2020. E’ un riordino ma non solo. Mette insieme idee, scarta altre,
riprende discorsi, ripropone opere esposte per luoghi specifici, riformula e
apre nuovi sentieri. Non un vero archivio, piuttosto la selezione delle
opere considerate fondamentali, la progettazione di una vera e propria
collettiva in una molteplicità di derivazioni linguistiche: la riorganizzazione
del lavoro di una vita e la progettazione di opere nuove con la consapevolezza
della maturità.
![]() |
Lacrimari, pittura ad olio, specchi, foglia oro, part., 2018 |
Uno scavo
tra cataloghi e note stampa
Dalle note
biografiche in I Biennale dei giovani di Pisa 1998, risulta una sua mostra a Livorno per Effetto Venezia già nel 1994
e, allo Studio Gennai a Pisa in Tre
nuove proposte, assieme ad Alessio Gerini e Agostino Santoleri, nel 1996. L’anno successivo partecipa con
la Galleria Guastalla di Livorno a Mi-Art.
Sono gli anni di formazione universitaria a cui seguiranno i viaggi in Senegal.
Progetti presi e lasciati, andate e ritorni.
La prima
esposizione di cui ho trovato il catalogo è Macchie in volo, a cura di Irene Amadei e Mattia Patti per Effetto Venezia 1997. Sono presenti i primi
relitti documentati, un “Senza
titolo” (serratura in ferro arrugginito, probabilmente di un antico magazzino, montata
su legno) e “Magia”, una scatola con relitto,
probabilmente una cima da imbarcazione annodata in più punti, una specie di
oggetto scaramantico, qualcosa che ha a che fare con la parte più irrazionale
dell’umanità. <<Se io ho scoperto la magia “loro” mi
perseguiteranno.>>
Nel 1998 per la I Biennale del giovani, alla Limonaia di Palazzo Ruschi di Pisa, a cura di Ilaria Mariotti e Nicola Micieli espone “Sottosopra” una varechina su Kraft e un’anilina su pasta di legno e spago intitolata “Orizzonti”. E’ chiaro che Nicola sta sperimentando materiali e idee. Alcune fotografie personali, risalenti ai tempi dell’Università, a Pisa (1991-92), ci restituiscono la presenza di questi manufatti quali sfondi di vita privata e documentazione preziosa per una datazione.
![]() |
pagina da flyer Networking 2002 |
Si apre il terzo millennio, nel 2001 espone stampe fotografiche su rame. Il soggetto è quasi sempre il frammento di un relitto, l’oggetto fotografato perde in sostanzialità e acquista in concettualità, si fa meno oggetto, per divenire processo mentale. Per la Collettiva 25+8 caratteri: arte visiva e musica a Livorno 1985/2000, a cura di Emma Gravagnuolo, ai Bottini dell’olio di Livorno, presenta “Tempo è denaro” e un “Senza titolo” che ripropone nel 2002 per la mostra itinerante Networking (Monsummano Terme, Prato-Firenze, Livorno, Siena) a cura di Bruno Corà, Sergio Risaliti, Pier Luigi Tazzi. Non ho trovato altri progetti fotografici concettuali, infatti sempre nel 2002 per un’altra collettiva ai Bottini dell’olio, dal titolo Un giorno, a cura di Emma Gravagnuolo e Paola Magni, ritorna al manufatto. La mostra è suddivisa in tre sezioni ovvero le fasi di una giornata: mattino, pomeriggio e sera. Nicola propone la visione del mattino.
![]() |
Mattino 2002, pagina da catalogo Un Giorno |
Realizza un ritratto
dal carattere arcaico, una giovane donna con indosso un copricapo d’oro e due
trecce risolte in una sequenza di X, anch’esse d’oro. Ricorda un mondo lontano
nel tempo e nello spazio. Appena lo vidi pensai potesse rimandare al Grande
Diadema del Tesoro di Priamo ma non è strano che la giovane donna del
ritratto possa essere la rappresentazione di un’antenata balcanica (la
condizione diasporica è uno dei temi affrontati da Nicola anche quando non è
esplicitato). In mezzo a queste mostre un altro viaggio in Senegal. Nel 2003 espone in una doppia personale a
Livorno con Federico Cavallini a cura
di Mattia Patti e Irene Amadei (non so cosa espose). Nel 2004 è presente a SAF
Sardegna Arte Fiera a cura di Mauro Cossu, al Poetto di Cagliari. Ancora nel
2004 partecipa alla collettiva Provincie
d’arte, Palazzo Panciatichi, Firenze, una selezione di artisti
livornesi eterogenea per età e per pratiche, tra i veterani Renato Spagnoli
(1928-2019). La mostra è a cura di Cristina Olivieri, Giovanna Carli, Raffaela
Maria Sarteriale. Nicola espone “Piramide” un’opera a tecnica mista realizzata
con pigmenti a pasta di legno. Appartenenti alla stessa serie sono le opere
esposte alla IV Biennale dei Giovani nel
2005 alla Stazione Leopolda di Pisa
dal titolo Radici/Contaminazioni a cura di Silvia Bottinelli e Sergio
Risaliti. Alcuni titoli: “Alla maniera dei Francesi del 900”, “Decorativo
anfora su fondo blu”, “Interno, esterno, vicino, lontano”. Ancora nel 2005
partecipa a IDEALOGHI, una serie
di mostre a coppie a cura Fabrizio Paperini tenutasi alla Bottega del caffè di
Livorno. Una serie di incontri tra artisti in coppia, Nicola presenzia con Cecco
Ragni. Espone Baobab, una installazione composta da alcuni pannelli realizzati
a tecnica mista su pasta di legno. Colori terrei del deserto. Completa la
mostra un focolare e una scultura posizionati su una distesa di sabbia. Baobab
è un progetto che va ad ampliarsi negli anni successivi divenendo non soltanto
un diario visivo, una narrazione ma pure illustrazione di un racconto
diaristico. Nel 2006, con il
patrocinio del comune di Livorno, organizza
un Mondiale di calcio, fra tutte o
quasi le comunità straniere presenti a Livorno (Fabio Leonardi ricorda di
averci partecipato). Ho trovato il racconto dell’evento, una sorta di
relazione, sul sito di crowdfunding Produzioni
dal basso. Affiora molto chiaramente la personalità di Nicola, sono
evidenti le tematiche a lui care come conflitto, meticciato, nomadismo,
diaspora, gioco, condivisione.
![]() |
Tempio verde 2018, legno, frammenti di vetro, 40x90cm |
Un
estratto:
<<Salve, mi chiamo Nicola
Vukich.
Alcune delle persone che leggeranno
questa pagina mi conoscono, chi più, chi meno. A coloro cui mi sto presentando,
e ai miei affetti, dedico queste poche righe.
Vi racconto una cosa: qualche anno
addietro organizzai con il patrocinio del Comune di Livorno, un mondiale di
calcio (non ho una squadra del cuore) che prevedeva magicamente, oltre alla
balda partecipazione della squadra labronica, la partecipazione di tutte
(quasi) le comunità straniere presenti nel territorio: ogni equipe giocava
quindi ascoltando la musica del paese di provenienza, un tempo ciascuna; molti
hanno fatto giocate a ritmo di musica, tiri, passaggi anche un goal.
Alla fine del torneo vinto dal
Marocco Football Club, ci rifocillammo insieme al pubblico (io ero
telecronista) banchettammo con pietanze tipiche di ogni nazione partecipante,
piatti tipici, bibite, dolci preparati dalle comunità stesse.
Il Livorno Football Club fu
eliminato al primo turno 0-16 dalla Romania.
Quando si incontrarono sul campo le
squadre del Marocco e del Sarawi, era in corso un conflitto bellico fra i due
popoli, cioè c'era la guerra, ci furono lacrime di commozione da ambo le parti.
Da allora il mondo
dell'immigrazione mi è più caro.
Oggi ho la fortuna di avere nel mio
quotidiano, la possibilità di crescere quei rapporti che si instaurarono a
partire dal quel 23 luglio 2006. (…)>>
Il calcio è
un momento collettivo ma anche spazio fisico, gioco, costruzione di relazioni,
congegno attivatore di ironia, occasione sociale. Anche qui biografia e
letteratura si intrecciano. Da un racconto di Nicola:
<<Gli schiamazzi invece,
quelli leciti, cominciavano alle quattro del pomeriggio per legge.
- Passa! Tira! Fallo! Dai! Forza!
Dalla! Cinquantun per me libera tuuuutti! Ahiiii! Ueeeeeee! Vaff…Uffaa.
- Uffa.
Quella dei Profughi era nel
quartiere l’unica squadra di pallone ad avere più cognomi stranieri (Serpan Persich
Zernich, Bani, Udorovich, Tomor…) che italiani, questi ultimi in ogni caso non
livornesi: lontani, tipo Arbulla, Carcea, Aloisio, Albanesi.
Anche Rosina Canale di Alemitù
giocava a pallone.>>
<< I “Profughi”: un cortile popolare in zona
stazione.
Il cortile era un mondo a sé che
pulsò di vita propria.
Dal 1952 eravamo il cortile dei
Profughi, profughi delle colonie italiane, dove si parlavano diverse lingue
quindi italiani, quindi somali, eritrei, libici, jugoslavi, greci, albanesi e
via dicendo.
Avevamo come vicini i bambini delle
Case Nuove, di Via Del Vigna, Via Montefiore, Chiesina, Le Botteghe, I Pratini,
La Rete.>>
Nel 2008 alla galleria Dinamo di Livorno
espone i “pesci” di Aquariums la mostra
ha per titolo The end of happyness party pictures. Sulla tavola si vede un
uso importante e consapevole delle incisioni, dei graffi sui quale stende la
foglia d’oro evocando decorazioni dorate su intonaco a punzone. Utilizza il
punzone anche sul cartone, sui soldati e le principesse che inserirà sugli
specchi infranti dei Lacrimari 2018.
Nel 2009 realizza l’installazione site
specific Tzigano tale nella
Sacrestia della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo al Parco di Corliano, San
Giuliano Terme, Pisa per la manifestazione Effimeri,
Svegliati e Stravaganti prima edizione di Metamorfosi dei paesaggi culturali a cura di Giancarlo Sciascia. Non
ho trovato nessuna immagine o testo critico. Il comunicato stampa riporta:
<<Tzigano tale di Nicola
Vukich Sacrestia - Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, Parco di Corliano. Una
nuova creazione di un artista totale (cantautore e artista figurativo) che pone
al centro della sua poetica l’attenzione al meticciato e al nomadismo, elementi
la cui origine si perde nel tempo profondo della storia della nostra specie.
Racconto per immagini attraverso lo spazio e il tempo, da Bisanzio fino ai
giorni nostri.>>
![]() |
Quattro stagioni, lino e materiali vari, 280x320cm |
Collettiva di un artista: il sito e gli open
studio
Per
consuetudine una collettiva è una successione di opere differenti di artisti vari.
E’ sicuramente un’idea eccentrica quella di una collettiva per un solo artista.
Il sito è suddiviso nelle sezioni: Aquariums, Baobab, Crystals, Mirrors,
Soccer Players, Street of Town, Tam Tam. Tra le cose da lasciare alla rete
sceglie i relitti degli inizi, rivede alcuni progetti, amplia e rimodula il
senso di opere precedenti. Baobab esposto
nel 2005, ad esempio, pare
rappresentare soltanto un resto di qualcosa di più complesso che ripreso nel 2016 nelle “14 stazioni” diverrà l’illustrazione di un libro sull’esperienza
africana dal titolo Noir. Frammenta e modifica, non resiste a costruire e
decostruire, trasformare frammenti in installazioni e viceversa. Mescola arte
antica, spazzatura, tecniche tradizionali, lingue e geografia, indaga il
meticciato tra le persone e tra le cose, pratica il nomadismo come essere umano
e tra le abilità artistiche. Tutto questo è in parte rappresentato in
Collettiva di un’artista.
Dal sito:
<<Baobab.
Legno, segatura, carta, carbone, carboncino, cenere su pastalegno.
2016
Noir
(Libro allegato)
Descrizione in mille e cento
caratteri
“Noir”
è un libro di viaggio scritto in Africa, “Baobab” sono le illustrazioni: 14
stazioni di transito, declinazioni del legno …pasta legnolegno segatura carbone
cenere carboncino carta cartone… l’albero si trasforma, fu carta per scrivere
poi cambi di grana, metamorfosi: ora è segatura, prende fuoco facilmente, ora è
legno, ora è cenere per la pittura ma non muore mai come i feticci. L’albero è
la regia, gli attori, i ballerini in scena al suono del tam tam …cartone
pastalegno legno segatura carbone cenere carboncino carta… icone, dall’eterno
immoto tropicale incastonate dentro una cornice parlante di legno: “anche io
sono quadro anche io sono legno”: non è dentro non è fuori è il rettangolo e
soggiace al brulichio della vita che muta, il recinto che non chiude; prima
della foresta, lo spazio giaciglio inerente la civiltà che le icone feticcio di
“BAOBAB” evocano nel mio studio, dal pioppo, l’oleandro, l’abete o il carbone
cinese …carta cartone pastalegno legno segatura carbone cenere
carboncino.>>
La serie Soccer
Players ha come soggetto le divise dei giocatori su carta Kraft,
magliette e pantaloncini quali icone mistiche. La trasmutazione avviene tramite
il gesto artistico “il lancio della maglietta [zuppa di varechina] sulla
superficie” “richiede un notevole sforzo atletico”. L’eroe si trasforma nel suo
abbigliamento, la plasticità statuaria del corpo in una radiografia
igienizzata. L’alchimia ha il potere di trasformare fango e sudore, liquido
igienizzante e carta straccia in oro e bellezza.
![]() |
Cartolina Idealoghi 2005 |
Dal sito:
<<Soccer Players
Candeggina,
mordente, olio di lino, foglia d’oro su carta Kraft, 2017
Descrizione in mille e cento
caratteri
Calciatori
della nazionale universale dell’Infinito football team in calzoncini d’oro e
magliette dalle maniche corte imbrattati di fango o mordente. Chissà se questi
si amano come li ama chi li ama.
Oppure
busti greco romani, quel che rimane di statue antiche e allora chissà se si
trattò di un eroe o di un tribuno malevolo o ancora angeli, angeli scolpiti da
Prassitele in forma di eroi della domenica sportiva che vengono in aiuto da un
mondo altro in panneggi di candeggina da magliette stampate su carta Kraft.
La
sostanza di cui è imbevuta la maglietta stampo scava la carta come lo scalpello
i piani successivi di un bassorilievo, operando in maniera opposta: più la
carta è esposta all’azione della candeggina più l’effetto chiaroscurale della
sostanza acida estrae chiarore, dal marrone al bianco in una successione di
piani.
I
panneggi sono del tutto casuali, il lancio della maglietta sulla superficie
richiede un notevole sforzo atletico, eroico il tentativo di vedere in queste
opere uno slancio mistico, come una trasmutazione di un simbolo locale in
qualcosa di esasperatamente nobile.>>
![]() |
Cartolina, The end of happyness party pictures, 2008 |
In Aquariums lo sguardo è protagonista nel
gioco grafico tra l’occhio e il pesce, il movimento e la visione, il segno e il
suo significato.
![]() |
Baobab, 2005 installazione, dim. ambiente |
Dal sito:
<<
Aquariums, Olio, foglia d’oro su tavola, 2015
Descrizione in mille e cento
caratteri
Riscrivere
un mare di sguardi poi finito in un unico segno.
Presupporre
cioè che sia occhio e pesce, pesce che nuota e occhio che vede.
Vede
e muove il fondo oro dove affondano superfici estratte da contorni di spazio e
colore.
Le
forme intagliate fermano il tempo.
Sono
ripetizioni inscritte con la lama che delinea per raccontare un’idea di
totalità finita in cui ciò che è immerso per definizione, fa emergere ciò che
delimita.
Vale
per lo spazio del pesce come per l’estensione dello sguardo.
Sono
questi occhi acquatici che ammiccano l’astratta naturalezza del mondo che li
avvolge, quasi architettonico. Finito.
Le
geometrie che irretiscono la disposizione di queste forme familiari esondano
ora da banali ideali di bolle contenitore, altrove disegnano i perimetri di una
bianca fortezza o un uragano di tranquillità. Geometrie di sguardi che
srotolano il fondale dello spazio circostante fino a pesce vede occhio come
occhio vede pesce.
Talora
un elemento solo fuori contesto: fra altri di colore uniforme oro, bianco o blu
sceglie una nota incongrua per muoversi come una fuga da un punto di
fuga.>>
Negli Open studio con il titolo di Tzigano
Tale ritornano “Le quattro stagioni” e “Street of Town”. I relitti
hanno tutta la scena. Lo scarto come base della società contemporanea opulenta,
industriale, metropolitana. Lo scarto come condizione di vita. Lo scarto di
cose e persone: chi sta dentro e chi sta fuori, chi ha la fortuna di essere
scelto e chi no. La presenza consapevole dello scarto gli consente la
progettazione di grandi installazioni e piccole opere dal portamento prezioso.
Le monumentali “Le quattro stagioni” simili
a pregiati arazzi, teli di lino delle dimensioni di 280 cm x80 cm cada uno, decorati
con piccoli rifiuti da marciapiede, involucri di caramelle, batterie scariche,
accendini, scarti di ogni forma e materia, orrendi lasciti da cassonetto e
niente più, che ad una certa distanza paiono pietre preziose, perle o placche
metalliche di un decoro medievale. Lo stesso vale per “Clochard” una tunica ornata di spazzatura che pare un abito
decorato di fibbie e ricami. Fanno parte di questo serie di progetti i panni “Streets of Town: oggettini disposti in
ordine di rinvenimento” pezze di feltro
di dimensioni variabili e oggetti trovati in strada; come dice il titolo,
<<disposti in ordine di
rinvenimento>>. E’ il racconto plastico visivo di un’umanità opulenta
e decadente, di un mondo fatto di scarti e scartati. I relitti divengono reliquie:
<< La
raccolta di reliquie deve essere prassi assidua e costante, passare la notte
per strada e prendere tutto, tutto quello che buttano i pazzi, caricarsi i loro
peccati sulle spalle e compiere il pellegrinaggio fino allo studio. Lavarsi,
purificarsi dalla spazzatura: lavare le cose pregando, dare alle cose una luce
che non avevano, riesumare la loro natura di cose, ricosificarle ulteriormente.
Descrivere con il tratto che disegni loro intorno il perimetro della reliquia
(reliquus: ciò che resta) distanziare l’uomo dalla cosa, la cosa dall’uomo.
Alcune parlano un linguaggio, o di un linguaggio, altre balbettano intuizioni,
ancora diverse gridano o addirittura scherzano: una cosa è l’uomo, una cosa la
cosa, una cosa il linguaggio. Sempre più spiritulisticistici i contemporanei
evaporano di fronte a piatti raffinati che fotografano, a bambini di tre anni
che sappiano dire “glitterati”, esalano nei corsi di yoga, nel coccolare la
natura come se fosse un Bambi e non una cosa un po' più grande di loro, spesso
tremenda, terrifica quella umana e comunque incognita. La serie “Streets of
Town” non è roba educata, ma è di nuovo roba che diventa necessariamente merce:
semplicemente. Non esiste reliquia senza reliquiario, il miracolo che chiedo al
mio lavoro è di fondere appunto l’una cosa con l’altra.>>
Dal
sito:
<<Streets
of Town, Mixed media, 2018
Descrizione in mille e cento caratteri
“Streets of
Town” non è roba educata, c’è da sporcarsi le mani a raccogliere questo
ciarpame, prendere le serie malattie. Fra frammenti di un’esplosione lenta,
quasi inavvertibile un rumore di vuoto. Cose si buttano appena antiche appena
toccano l’asfalto e accompagnano un cassonetto grigio per una notte.
“Non
toccare Piero”.
Non
raccattare le cose da terra. Poi, scoprì che c’era più vita in un accendino
verde pisello gettato sul marciapiede che nell’uomo che ha dato il tiro
all’ultima sigaretta là fuori, c’era più rosso in quel petalo di rosa finta
finita dopo un matrimonio già estinto fuori dal comune, un comune normale. Una
paletta rosa di un gelato freddo era più calda dell’amore con cui una cosa di
nome madre trasforma tre euro in un gelato per un “bambino con gelato”.
Che dire
poi se le cose composte come reliquiari misti nello studio prendono polvere, la
tolgo la levo la lascio, resta, opacizza talvolta, ma fra tanto splendore…
bisogna, abbassare i toni per far luminare tutto ciò che resta.
Se la povertà
fosse economica qui bisogna fare economia di povertà, non di mezzi.>>
Sono scarti
anche gli oggetti da cui ottiene il materiale per realizzare la nuova serie Crystals 2018.
Frammenti di vetro di bottiglie, ottenuti battendo minuziosamente per ore in un
pestello di marmo, ricoprono all over
oggetti diversi: Mare, Montagne, Bivacco,
Fuoco Fenicio, Panorama, Passeggiata Tardo-antica, Notti Arabe, Spada, Luna,
persino quattro campi da calcio Tempio
verde. E’ il racconto di un mondo nomade, magico, anche mitico dal quale
emerge un grande gioco identificativo con l’altro, gioco identificativo che
passa attraverso i frammenti di vetro blu e verde: i colori del popolo Rom.
Ricordano materiali per un mosaico, ma il riferimento alle preziose tessere musive
bizantine compare solo come un fantasma senza mai palesarsi veramente, perché
forse quel vetro è lo scarto che sulle pareti non ha mai trovato posto.
Dal sito:
<<Crystals,
Mixed media, 2019
Descrizione in mille e cento caratteri
Dalle sfere
umane (invisibili nature) i volumi delle cose estinguono in superfici piane a
seguito anche di un miracolo hi tec, di natura mirabolante, accerchiante.
Le bottiglie
di vetro da 66 cl o da un litro capienti seguendo un itinerario meno recondito
ma altrettanto fantastico, si frantumano in migliaia di frammenti come
poliedrici pixel di cristallo per diventare la pelle di oggetti alcuni noti
altri meno.
L’operazione
è delle più semplici, ha luogo dall’azione del braccio che incontra poi un
pestello poi un mortaio in pietra.
Antichissima.
Metri cubi
di contenitori ridotti in pochi chili di briciole di vetro (passano da un
setaccio dai fori di 3 mm) diventano e lapislazzuli e smeraldi compattati in
superfici scintillanti indossate da oggetti di una mitologia anche quotidiana o
meno, o più, di fiaba.
La patina
scintillante accende ad ogni movimento dello sguardo luci veloci e minuscole
come cieli punti di stelle luminose nelle grandi campiture, sorprendenti nelle
piccole superfici e restituisce alle forme qualcosa che la modernità ha
sottratto all’occhio, al magnifico dei giorni.>>
![]() |
L'abito della sposa, specchio, foglia oro, frammento |
Qualcosa si
è franto ma è rimasto prezioso e bello. Un delicato prato dorato composto di
schegge di specchi: “L’abito della sposa”,
opera composta da frammenti di specchio raschiati per dare forma a fiorellini
successivamente ricoperti di foglia d’oro. Come non pensare al broccato
fiorentino o alle sculture in Estofado de
oro?
Con gli
specchi ritorna l’elemento scaramantico della corda annodata di “Magia” (1997).
L’oggetto specchio è da sempre considerato portatore di potere magico, lo
specchio rotto da una parte è portatore di sfortuna (superstizione, magia)
dall’altra è moltiplicatore d’immagine. Ogni frammento è differente dall’altro
tuttavia come una cellula conserva la proprietà dell’intero, la proprietà
riflessiva e magica della realtà.
Dal sito:
<<Mirrors,
Mixed media, 2020
Descrizione in mille e cento caratteri
Accadde in
quel giorno l’elettricista e il telefono con il led acceso e era buio nel retro
dello studio non notte. Di là l’angolo delle cose strane, per lui doveva
compiersi un errore per capire dov’era, e io cosa fossero i miei quadri.
Prima mi
chiede cos’è ‘sta roba di vetro. Sono specchi… il retro intarsiato. Sì
lavorarli non è facile è un lavoro artigianale, preciso e monotono.
Cominci a
scavare con lo scalpello nel disegno fatto a matita gratti via la vernice
azzurra, poi l’ossido di piombo rosso, poi il nitrato d’argento specchiante con
l’acetone.
Girai lo
specchio, il prototipo degli elettricisti sguainò la sua spada di internet e
raggi bianchi per vedere la forma di luce proiettarsi riflessa fuori dal
quadro: a ghiere, linee spezzate, ghimberghe, pinnacoli, schizzarono sulle
pareti circostanti del retro piccolo dello studio buio là dove è il contatore.
Angeli del
cielo! La parete bianca e nera sembrava tappezzata di pelle di zebra, alcune
figure di umani si umanizzarono uscendo dallo spazio di specchio vetro specchio
vetro specchio e scrivevano sul muro grazie, siamo gli evasi.>>
![]() |
Mirrors, Open studio 2019 |
Lo specchio
come verità e come inganno. Lo specchio simbolo dei simboli nel quale vedere e
vedersi. Scrive nel flyer dell’Open
studio 2019:
<<Lo specchio viene
alleggerito della sua materia riflettente dal retro della lastra (vernice,
antiossidante, nitrato d’argento) e inscritto con scalpelli di diverse
dimensioni, in un ordito ritmico, di linee spezzate, in un alternarsi di pieni
e di vuoti, di specchio e vetro. Emergono forme leggibili, vive di un’autentica
passione decorativa, soggetti dalla doppia natura, trasparenti e riflettenti:
stelle, pianeti, figure umane e altri pretesti. Lo spettatore può osservarsi in
queste forme intermittenti, può scegliere altresì di esplorare l’ambiente
circostante da uno degli interstizi specchianti del quadro, altrimenti vedere
sull’intonaco del muro, dietro il rettangolo della cornice, le ombre proiettate
dall’incidenza della luce sullo specchio. L’opera nel suo insieme contempla una
pluralità di sguardi, quando l’opera, lo sappiamo bene, è nello spettatore che
la guarda.>>
La fiaba,
il gioco, la musica e la storia. Allora, soldati, donzelle, cavalli, principi e
principesse, torri e castelli entrano nei frammenti di specchio infranto dei “Lacrimari” o nel “L’abito della sposa”,
nelle “Prospettive”.
<<Eccomi
in questo frangente, in quei tempi aurei e commossi, direi balcanici, nelle
vesti di un mio avo, o, in questo presente, di un mio antenato “investito” di
contemporaneo.>>
![]() |
Stelle, specchio, 100x150cm |
Gli specchi
sono disegnati secondo schemi precisi. Nicola disegna moltissimo. Ha disegnato
per metri e metri Tam Tam, fasce di
tela grezza, incollata e cucita per dare forma di volta in volta ad arazzi
narrativi di differenti dimensioni secondo uno schema da pentagramma musicale.
Musica e colore. Personaggi fiabeschi per un racconto gioioso, dinamico e
musicale. Ancora richiami al medioevo, ho immaginato La tappezzeria della contessa Matilde o Ricamo di Bayeux opera
anglosassone anteriore il 1080, costituito dalla giustapposizione di nove pezze
di lino ricamato con fili di lana, della lunghezza di circa 70 metri. Raffigura
la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore.
![]() |
Tam Tam n°1, cotone, grafite, pastelli, 130x115cm |
Dal sito:
<< Tam Tam, Matita e olio su tela, 2021
Descrizione in mille e cento caratteri
Il segno si
scrive a lapis velocissimo per metri e metri su fasce di stoffa lunghe una
stanza, alte una spanna. Poi è una metrica ritmata da colore che non è quasi
mai luce, riempie figure sorte da ritmo canta le solite note animate da
immagini risorte da un profondo fiabesco che non sai.
Spazi
pausa, anche, tela muta.
Grafia e
colore si fondono in una fiaba.
Dopo un
tempo svolto a trovare figure e colorarle, scatta di nuovo la mano veloce, altro
segno altro ritmo altra voce, alcune immagini ricorrono uguali, come timbri,
anche se la base è uno scarabocchio, tornano, di diverso colore sempre dello
stesso tono primario.
Cavallo è
vicino a principessa.
Altra
striscia, passo settimane a scavare figurine e riempire tarsie di colore.
Ora cavallo
è vicino a tre piccoli gnomi.
Alla fine
scopri malgrado la mano sia sempre più sicura nel danzare il lapis, che il
campionario dei segni è ridotto, ancora un cavallo, uno era verde, uno bianco,
ora rosso.
Cavallo
rosso è vicino a pulcino giallo. Poi, tagliare questi rotoli, incollare questi
tempi diversi, farli quadrare per il piacere dei bambini.>>
ARC
Ringrazio Fiorella
Clemen, la madre di Nicola, l'amico Paolo Santoboni per aver condiviso con me
racconti, ricordi e foto. Sandro Bottari per aver condiviso alcuni cataloghi. Mattias
Reyes, Web Designer del sito, per la disponibilità. Federico Cavallini, Delio
Gennai, Fabio Leonardi, Irene Strati per avermi dato conferma di alcune
esposizioni.
Sitografia:
https://www.produzionidalbasso.com/project/the-end-of-happiness-party/
Post correlati:
Cataloghi:
IV Biennale dei Giovani, Radici/Contaminazioni a cura di Silvia Bottinelli e
Sergio Risaliti, Pisa, 2005
Province d’arte:” Livorno” a cura di Cristina Olivieri,
Giovanna Carli, Raffaela Maria Sarteriale, Firenze, 2004
Un giorno, collettiva, a cura Emma Gravagnuolo e Paola Magni, Itinera s.r.l., Livorno, 2002
Networking Giovani artisti in Toscana, a cura
di Bruno Corà, Sergio Risaliti, Pier Luigi Tazzi, Edizioni Polistampa,
Firenze, 2002
25+8 caratteri: arte visiva e musica a Livorno
1985/2000, a cura di Emma Gravagnuolo, coop Itinera, Livorno, 2001
I Biennale dei giovani Artisti, a cura di Ilaria Mariotti e Nicola
Micieli, Pisa, 1998
Macchie in volo, Effetto Venezia, a cura di Irene Amadei e Mattia
Patti, Livorno, 1997
Catalogo:
Nicola Vukich Collettiva di un artista, 2024, estratto testi: Relitti-Reliquie di Nicola Vukich e Le mostre. Una selezione
Anna Rita il tuo raccontare così onesto e preciso aggiunge sempre un qualcosa in più al racconto stesso
RispondiEliminaComplimenti
Grazie Antonio, un tuo apprezzamento è sempre ben accetto. Ci sentiamo presto
EliminaSei sempre brava Anna Rita, precisa e competente.Complimenti
RispondiElimina