sabato 12 dicembre 2015

Azuni batte Eton. Pizzinni Pizoni battono Vescovo. L’Istituto d’Arte compie 80anni.

BUONE FESTE. L'arte inizia qui.

Regia Scuola, poi Statale, oggi Liceo Artistico "F. Figari". A Sassari si Festeggiano gli 80 anni dell’Istituto d’Arte. Molti artisti sardi si sono formati sui suoi banchi, altrettanti ne sono divenuti insegnanti. Per festeggiare l’anniversario si è pensato di allestire una mostra storica negli spazi di quella che oggi è la "Galleria", un piano rialzato sopra gli antichi laboratori di ceramica e architettura e, in quella che per tutti è stata “la cantina”, recentemente restaurata e ri-battezzata "Centro Sperimentale Mauro Manca", una serie di personali e doppie personali “Non rientrate tardi” a cui faranno seguito altri progetti, conferenze, annulli postali.
Piccola nota personale. Dopo i restauri, nel 2013, lo spazio, che ancora non aveva un nome, ha ospitato la sua prima mostra curata dalla sottoscritta. Un progetto articolato sull'impossibilità di ritrarsi dal fare arte, sull'incontro e la corruzione, intitolato “Le Fondamenta degli Incurabili”.
Poi,
mentre in tv il Liceo Azuni batte Eton College,
naaaaaa?! "Sassari è mondiale!" per citare Eduardo...
ancora, in tv e sui giornali, si parla di visite pastorali, vescovi e feste natalizie. E, a San Donato, la scuola dello scandalo, si va avanti con l’insegnamento e si festeggiano i risultati della buona didattica con la presentazione di “Global Pubblic Space Toolkit” e la narrazione di progetti educativi.
Il 2 dicembre, infatti, nella Sala conferenza di Ex Infermeria San Pietro, palazzina dell’Assessorato alle Culture, si parla di buone pratiche e di uso corretto degli spazi pubblici con la conferenza stampa di presentazione del tavolo di lavoro di Urban Thinkers Campus “The City We Need: Open for Art” che si svolgerà presso il Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica dell’Università di Sassari sede di Alghero, dal 18 al 20 febbraio 2016, che avrà il suo culmine nella conferenza delle Nazioni Unite Habitat III del 18-20 ottobre 2016 a Quito, in Ecuador. Nello stesso pomeriggio, professor Pietro Garau presenta il libro “Global Pubblic Space Toolkit”. Scaricabile su http://www.urbangateway.org/publicspace/global-public-space-toolkit
Perché questa connessione?
La casualità, non casuale, vuole che protagonista di uno dei sessanta progetti menzionati da Professor Garau sia proprio quello del quartiere di San Donato e della scuola omonima. Nel bla bla mediatico non c’è traccia della San Donato raccontata in “Global Pubblic Space Toolkit”, delle riattivazioni e l’uso corretto degli spazi pubblici, dei progetti didattici, delle giornate di attivazione dei cittadini su tematiche sociali e culturali.
La polemica vuota, il narcisismo ha preso il posto della buona narrazione. La Porpora ha rubato la scena ai Pizzinni Pizoni.
Nel testo, un vero vademecum di buone pratiche per le amministrazioni locali sulla riattivazione e l’uso corretto degli spazi pubblici, fra i sessanta casi studio scelti in tutto il mondo, l’unico progetto italiano selezionato è il “Fronte di Liberazione dei Pizzinni Pizzoni” curato per il Comune di Sassari da TaMaLaCà Francesca Arras, Paola Idini, Elisa Ghisu e Valentina Tulu, gruppo ricerAzione del Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica,vincitore del prestigioso premio biennale del Consiglio degli Urbanisti Europei, Urban Award per la comunicazione ”Cascais Urban Award 2013”, per vedere immagini e saperne di più pagina facebook.
Per i diversamente sardofoni “Pizzinni Pizoni” (con una z) è il termine strettamente sassarese per definire <<i bambini liberi di giocare per strada>> <<monelli di strada>>, letteralmente “bambini uccello”.
San Donato è la scuola di base più antica della città, menzionata fra le prime 15 d’Europa nel campo dell’integrazione. Il “Fronte di Liberazione dei Pizzinni Pizzoni” si è sviluppato, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo a partire dal 2011, nel quartiere di San Donato caratterizzato dalla residenza di famiglie immigrate di diverse etnie. E’ un processo partecipato di trasformazione urbana che vede i bambini della scuola primaria del rione, gli insegnanti, i genitori e gli abitanti del quartiere impegnati in azioni di riconquista degli spazi pubblici negati, e a quanto pare bisogna sgomitare anche per quelli mediatici.

ARC

martedì 3 novembre 2015

Il caso Giovanni da Monreale



Pietrasanta (Lu)
Dopo aver lavorato in vari studi e collaborato con numerosi scultori, dal 2013, muovendosi lungo la Penisola, Giovanni da Monreale porta avanti un progetto autonomo d’arte plastica urbana. Sceglie le città e le zone in cui operare,- esclusivamente in spazi pubblici- e, colloca, con la collaborazione della sua squadra, sculture iperrealiste raffiguranti bambini. Sceglie luoghi come giardini, scuole, fermate degli autobus.

Le figure, in vetroresina dipinta con colori alla glicerina, realizzate a grandezza naturale, rappresentano esclusivamente bambini intenti a giocare con i videogiochi. Sono montate su strutture in acciaio, di solito fissate ai muri, sedute su panchine o muretti. Il titolo è “Games”. Più di recente ha progettato una serie dal titolo “8” a cui si sono aggiunti, ragazzi e ragazze di varie età “15” “17”.
 
Torino (distrutta)
 Il suo metodo di lavoro è in tutto e per tutto tradizionale: bozzetti, calchi, colate, rifiniture, pittura. L’opera non appartiene alla categoria dell’effimero, è fatta per durare, a prescindere da ciò che accadrà dopo. Di solito, non è stata commissionata da nessuno. La scelta del luogo in cui inserirla è il frutto di un’indagine attenta e dei numerosi sopraluoghi.
L’aspetto singolare dell’operazione risiede nell’anarchia della collocazione. Il suo agire non è differente da quello di uno street artist muralista, anche se, la pittura murale ha già fatto passi in avanti in fatto di accettazione da parte della comunità e regolamentazione dello spazio pubblico.

Lucca (rimossa)
L’iperrealismo delle sculture è funzionale all’effetto di incertezza, anche se, escluso un primo momento di straniamento, i cittadini riconoscono in quella figura un’opera. Il rapporto conflittuale con il soggetto invece dipende da città a città e dai luoghi specifici in cui la scultura è inserita. Non è il realismo a sconcertare, neppure la provocazione -risolta al minimo della dabbenaggine di chi guarda-, a mio parere, lo straniamento è attivato dall’anarchia del “dono”.
Giovanni da Monreale colloca sul suolo pubblico, senza che nessuno ne richieda la presenza, opere scultoree finite. La sua è un’imposizione dal basso, senza invito. E’ una forma di arte pubblica che passa dal bidimensionale dei poster, gli stiker, la pittura murale, alla scultura. Il nodo è qui. Il passaggio dalla pittura autogestita, alla scultura autogestita. Da artista a cittadino. Forse un passo ulteriore potrebbe risiedere nel coinvolgimento in prima persona degli abitanti delle comunità.

Il doppio
 
Pietrasanta (Lu) (distrutta)

L’iperrealismo che contraddistingue queste sculture è necessario. Il gioco della veridicità e dell’inganno ottico, che comporta una sottesa componente di straniamento, è indispensabile per instaurare un rapporto empatico con il pubblico.
L’enfasi ipperrealista o superrealista si manifesta, con particolare evidenza nelle opere scultoree, mediate un verismo nitido ed impersonale, dando vita a ambigui rapporti percettivi. Negli anni Settanta artisti come George Segal e Duan Henson tradussero in forme plastiche questo straniamento: un inquietatante doppio rappresentativo dell’essere umano moderno e dei suoi riti di comportamento e consumo. Ma è con Mark Jenkins che da Monreale ha maggiormente affinità. Entrambi operano in strada. L’artista americano però, a differenza di Giovanni, realizza manichini che indossano abiti veri, ricreando, negli spazi concreti del quotidiano, una messa in scena. La situazione teatralizzata è temporanea. Jenkins fotografa la scena al fine di evidenziare gli effetti dell’ambiente sulle emozioni e suoi comportamenti individuali.
Le operazioni di da Monreale vengono percepite in maniera differente rispetto a quelle effimere o temporanee, perché è proprio il fattore tempo a determinare la loro accettazione. Il limite temporale di esposizione pare rappresentare sempre un vantaggio a favore dell’accettazione e riduce al minimo il vandalismo.

Pietrasanta (Lu) (distrutta)
 
Nelle varie città dove da Monreale ha collocato le sculture Pietrasanta, Livorno, Torino, Bologna e Lucca –quasi sempre vicino a scuole, giardini pubblici, fermate dell’autobus- il rapporto simpatia o avversione si è manifestato in vario modo. Le prime sculture realizzate nel 2013, senza nessuna anima metallica, ma in semplice vetroresina, sono state vandalizzate immediatamente, penso a Torino e alla prima di Pietrasanta, vissuta pochi giorni. A Lucca e Livorno sembravano essere state accolte con interesse e curiosità, almeno fino ad oggi. “8”, di Via Bini a Livorno, sta ancora bene. “8” e “Games” sistemate in Piazzale della Concordia e lungo le mura nei pressi dell’ex ospedale di Campo di Marte, a Lucca, sono state rimosse dall’artista stesso, dopo una sorta di “diffida” avviso ricevuta dall’Opera delle Mura e dalla Polizia Municipale, per possibili denunce che sarebbero potute scattare come deturpamento del patrimonio culturale, appropriazione indebita di suolo pubblico municipale. In questo momento, credo si stiano valutando ipotesi di collocazioni in zone differenti, sempre a Lucca.


Bologna
In altri casi le amministrazioni si sono comportate con gradi diversi di accettazione: dalla proposta di un contratto, al pagamento di una multa, all’indifferenza. Nel caso specifico di Lucca le azioni ventilate si preannunciavano penali. La decisione di valutare altre ipotesi, e di collocarle, quindi, in altri luoghi, mi pare saggia.
L'aspetto più interessante del rapporto con la comunità rimane quello relativo ai comportamenti emotivi individuali, la percezione ansiogena dei passanti nei confronti del doppio. Infatti, l’istallazione delle opere risale a 15 mesi fa per “Games” e 10 mesi fa per “8”. Nessuno sembra essersi preoccupato in questo ultimo anno,  ma di recente, l’inquietudine di qualcuno ha mosso le istituzioni ad agire, presumo per questioni di ordine pubblico. Chissà se i telefonisti hanno tentato di soccorrere il bimbo abbandonato!
“Games” riproduce un ragazzino -la statua è collocata su una panchina- intento a giocare con il suo videogame.
A parte una scritta a pennarello sulla parte alta della fronte, le opere non sono state danneggiate, ciò significa che tutti i cittadini ne hanno percepito il valore. Comunque, delle due, è quella che ha suscitato maggiore emotività da parte della comunità, nel bene e nel male. Era già avvenuto per “Games” collocato ad una fermata dell’autobus di Pietrasanta, quello che poi venne distrutto.
Effettivamente aveva bisogno di essere protetto.

Non sono un kawaii puppet, non sono un monumento

Livorno

Il soggetto scelto da Giovanni è trasposto dalla realtà, non si tratta di un personaggio tratto dai fumetti, come spesso accade nella cultura Neo Pop.
Di solito usa fotografare persone reali, solo in una seconda fase trasfigura il soggetto al fine di ottenere l’archetipo del giovane, bambino o adolescente, rappresentativo della società urbana tecnologicamente avanzata. Sono figure giovanili del terzo millennio, spogliati di una qualsiasi valenza  monumentale, collocati lì dove bambini e ragazzi passano il loro tempo, cristallizzati in una delle azioni più comuni a quell’età: il gioco con un oggetto tecnologico, isolamento in se stessi.Tema che torna come narcisismo e chiusura.

Lucca (rimossa)
L’iperrealismo, dovuto alla trasposizione precisa delle caratteristiche formali del soggetto: la correttezza anatomica, la posa naturale, ma soprattutto le dimensioni reali, impediscono che venga scambiato per un giocattolo o un monumento (in entrambi i casi l’oggetto verrebbe modificato nella sua percezione attraverso la riduzione o la maggiorazione delle dimensioni). E’ un anti monumento e soprattutto un anti kawaii puppet (pupazzo grazioso).
L’esposizione in un contesto non protetto, -come accadrebbe in una galleria o  un museo-, la sua inclusione nella vita di tutti i giorni, negli spazi del quotidiano crea disorientamento. Non possiamo giocarci, non è un ammonimento dall’alto, possiamo solo starci accanto, specchiarci in questo doppio rappresentativo dell’essere umano moderno e dei suoi riti di comportamento e consumo, magari proteggerlo dall’azione dei vandali, dalle persone caritatevoli e dagli amanti della giustizia.

ARC

www.giovannidamonreale.com

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giovedì 8 ottobre 2015

Conversazione con Maurizio Coccia/ direttore di Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (PG).


Palazzo Lucarini Contemporary
La linea di Palazzo Lucarini Contemporary è orientata sul versante sperimentale e di ricerca, una attività per certi versi affine a quella dei centri di produzione artistica, delle kunsthaus: nessuna collezione permanente, nessuna sede prestigiosa ma una attività istituzionale di carattere informale strutturata in differenti progetti. Le mostre principali, in gran parte personali di artisti più maturi, si affiancano, dal 2004, al progetto per la formazione didattica dei ragazzi “Officine dell’Umbria”, articolato in residenze e pedagogia condivisa e, dal 2013, alla “Galleria Cinica” orientata alla ricerca degli artisti under 35.
Nonostante l’edificio sia impegnato in un lavoro di ristrutturazione che da due anni produce parecchio disagio, i progetti espositivi di Palazzo Lucarini Contemporary si sono avvicendati con regolarità ospitando artisti, esposizioni e progetti didattici. Nell’attesa del ripristino completo degli spazi, che permetteranno una sistemazione adeguata al programma permanente di residenze e al progetto di museo come luogo polifunzionale di formazione, mi faccio raccontare da Maurizio Coccia di questo spazio espositivo e del fare arte contemporanea oggi.
Mentre parliamo (in Skype) sento in sottofondo i rumori di preparazione dell’ultimo allestimento. Alla pubblicazione di questa intervista le mostre "Contemplazioni" del Collettivo Illimine e "Foreste" di Alessio Santoni, per la Galleria Cinica, saranno già state inaugurata.
 
A R C - Da due anni Palazzo Lucarini è un cantiere aperto. Il palazzo è impegnato in un lavoro di restauro che ha creato notevole disagio, ma questo non ha impedito la prosecuzione del lavoro espositivo che lo rende comunque un posto particolare. Raccontami del progetto Palazzo Lucarini Contemporary, come è nato?
M C – Io sono qui dal 2003 e ho assistito al passaggio -anzi l’ho facilitato – dal vecchio Flash Art Museum alla situazione attuale. Negli anni abbiamo affinato la nostra ricerca più sul versante sperimentale e di ricerca, perciò la nostra è una attività che per certi versi è affine a quella delle kunsthaus, dei centri di produzione artistica. Non abbiamo una collezione, non abbiamo una sede prestigiosa. Abbiamo una attività istituzionale di carattere informale.
Al termine di questi lavori non cambierà molto, ma dovremmo strutturare meglio gli aspetti legati soprattutto all’ospitalità. Avremo un appartamento apposta per questo, e vorrei dare vita a un programma permanente di residenze, perché la parte principale delle esposizioni dovrebbe riguardare quello, cioè un artista che si confronta con Palazzo Lucarini, come spazio e come collettore di memoria, di suggestioni, anche storiche. Non un contenitore vuoto ma un incubatore.

Adalberto Abbate e Mario Consiglio,
Manifesto, 2015
A R C – Come funzioneranno gli spazi?
M C – Se tu hai presente com’è la hall, di fianco c’è uno spazio - che probabilmente quando sei venuta tu l’ultima volta era chiuso - dove c’è una cappella gentilizia che noi trasformeremo, come dire, in un centro studi. Forse come definizione è un po’ troppo paludata e pomposa, ma penso a un luogo polifunzionale, dove faremo incontri, dibattiti, presentazioni di libri, workshop, soprattutto relativi ad una formazione per adulti, perché abbiamo già un progetto per la formazione dei ragazzini: lavoriamo con le scuole dal 2004, il progetto si chiama “Officine dell’Umbria” ed è il più longevo dei progetti didattici, azzarderei dire, a livello nazionale.

A R C – Effettivamente sono più di dieci anni. Di solito dopo qualche anno questi progetti iniziano a zoppicare, diventa difficile mantenere alto lo standard e il rapporto con il territorio. Senza parlare dei finanziamenti…
M C – Parte della mia formazione è di pedagogista. Noi abbiamo cominciato con la didattica prima di tanti altri luoghi di richiamo, penso a Palazzo delle Esposizioni, o il Museo di Rivoli. Parte di questo progetto lo abbiamo messo in piedi mutuandolo da altre cose di questo tipo che si facevano in Abruzzo, presso il Museolaboratorio EX Manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo (Pe). Noi lo abbiamo adattato al nostro territorio; poi, nel frattempo, loro hanno finito e noi stiamo proseguendo, nonostante la diminuzione dei finanziamenti, che adesso sono ridotti al 20% di quello che avevamo fino al 2010.
 
Adalberto Abbate e Mario Consiglio,
Manifesto, 2015
A R C – “Officine dell’Umbria” prevede la presenza collaborativa degli artisti nel progetto di didattica, i laboratori didattici non sono affidati ad operatori di didattica museale o sbaglio?
M C – Ci sono due step: uno quello di sensibilizzazione - noi lo chiamiamo alfabetizzazione - per i bambini, che viene effettuato da operatori, che abbiamo formato noi, poi c’è la settimana full immersion con gli artisti qui a Palazzo Lucarini. Infatti, anche Andrea d’Ascanio, che hai intervistato di recente, ha partecipato assieme al gruppo Aliment(e)azione a una di queste esperienze e, quindi, se vogliamo dirla in termini tecnici, il paradigma pedagogico che proponiamo prevede la condivisione del progetto e non l’imposizione dall’alto di uno stile da replicare, di una poetica da mandare a memoria, ma lo sviluppo concertato di un progetto specifico. Quindi i ragazzini sono sollecitati a fornire un punto di vista costruttivo e non soltanto a essere i terminali operativi di un progetto nato altrove. Noi crediamo in una teoria della pedagogia condivisa e la mettiamo in pratica.

Galleria Cinica-
Alisia Cruciani, Reture(s) gli
"spazi possibili" 2015
A R C – “Officine dell’Umbria” si relaziona con l’esterno. In quale altro modo si attiva questa relazione? Ho visto che l’articolazione degli spazi di Palazzo Lucarini è duplice, ci sono due diversi progetti espositivi da una parte “Galleria Cinica” dall’altra le mostre nelle sale principali. Che tipologie di progetti sono?
M C – Nel 2013 nell’occasione del ventesimo anniversario della nascita di Palazzo Lucarini ho pensato bene di passare il testimone, per quel che riguarda la ricerca degli artisti più giovani. Sono convinto che seguire artisti giovani significa anche avere un’età idonea. In pratica, io non ho più la sensibilità, né la cultura, né l’immaginario adatto per relazionarmi con artisti della fascia sotto i 35 anni.


A R C – Mi piace questa tua considerazione. E’ una cosa su cui mi è capitato di riflettere, non è possibile avere il controllo e soprattutto la conoscenza di tutto, riuscire a seguire tutte le nuove dinamiche mantenendo la freschezza.
M C – E come se tu mettessi Félix Fénéon a lavorare con l’Arte Povera!
Sono cose che bisogna riconoscere. Non ho manie di protagonismo, non sono un tuttologo.
Credo nel lavoro che faccio, che è costituito anche da processi di delega.
Ho trovato una curatrice più giovane a cui ho affidato la gestione del progetto. È chiaro che una supervisone da parte mia c’è sempre. In alcuni casi posso fare delle segnalazioni. Però sostanzialmente il discorso è semplice: gli artisti giovani sono seguiti da curatori giovani. E questo è “Galleria Cinica”. Poi le main exhibitions seguono un filone che è quello, quando è possibile, di rapporto con lo spazio di Palazzo Lucarini e, possibilmente, con mostre personali. Dico “possibilmente” perché di questa tipologia ne abbiamo fatte diverse, e per l’anno prossimo ne stiamo preparando altre, alcune molto potenti, molto forti per l’indirizzo che si dà a questo tipo di legame osmotico con lo spazio. Nel 2016 ci sarà una serie di iniziative molto intensa, non ti posso ancora anticipare niente, ma dovrebbe diventare più incisiva e confortevole, grazie anche alla nuova possibilità di ospitare idoneamente gli artisti - perché fino ad ora li ospito a casa mia- e di estendere nel tempo questa cosa.

Andrea Casciu e Andrea d'Ascanio,
 “Go Through, Get Through”, 2014
A R C –Palazzo Lucarini con i suoi progetti è aperto al territorio, ma il territorio come entra in Palazzo Lucarini, come si relaziona? C’è un interesse, un consenso? Com’è questo rapporto?
M C – La risposta è piuttosto articolata, ma in sintesi diciamo questo: mi posso permettere il lusso di non cercare il consenso. Ti spiego. Non è per snobismo che lo dico. Lo dico perché il programma che mi sono posto con Palazzo Lucarini è quello di presentare cose che non trovi da altre parti e questo entra in rotta di collisione con i gusti di un pubblico popolare. Ci sono molte occasioni di vedere queste mostre - che io non faccio-, in giro per l’Umbria, in giro per l’Italia, in giro per l’Europa. Io voglio fare altro, perché mi sembra utile trovare un’intercapedine, un interstizio dove altri non arrivano, cose che possono anche urtare la media di un gusto istituzionalizzato. Non mi interessano i grandi numeri perché non li possiamo fare; le infrastrutture, ma anche le strutture, non me lo permettono. Preferisco il dibattito al riconoscimento passivo del pubblico.

Angelo Colangelo, Tagliente, 2014
A R C – Più che il consenso, forse ho sbagliato termine, qual è l’interesse del territorio nei vostri confronti. Come viene recepito, come viene vissuto, anche come risposte emotive. Che tipo di scambio c’è?
M C – Ti posso rispondere che siamo nella media italiana, cioè un passo oltre la tolleranza e un passo prima dell’insofferenza. Cioè l’arte contemporanea in Italia non interessa, chi dice il contrario mente sapendo di mentire. E’ un discorso di nicchia, è un’estetica, uso questo termine improprio, che dà fastidio, perché chiaramente i paesaggisti che trovi nei vicoli medievali non fanno arte contemporanea, le mostre Blockbuster non fanno arte contemporanea. L’arte contemporanea offre conoscenza, e la conoscenza non sempre è piacevole, è un tipo di consapevolezza che può dare fastidio, che qualcuno può anche scegliere - e per questo lo rispetto - di evitare. Tu hai parlato di risposte emotive, io parlo di rispetto: siamo rispettati. Abbiamo un grado di reputazione internazionale, ma credo che quelli che ci abitano al piano di sopra non sappiano in minima misura quello che accade qui - perché di sopra è abitato-. Ma credo che se tu faccia questa domanda a qualcuno che abita nei dintorni di Rivoli probabilmente otterresti la stessa risposta.

Galleria Cinica-
Alisia Cruciani, Reture(s) gli
"spazi possibili", 2015
A R C – Certo. Non mi aspettavo una risposta diversa, mi interessa comprendere il reale rapporto con il territorio.
M C – Poi possiamo entrare nello specifico del rapporto con gli altri operatori artistici della regione e lì ti posso dire che con una tolleranza del 10% è puro e semplice opportunismo. Non è vittimismo, è così. Se tu fai la mostra all’artista, l’artista viene. Se lo fai alla sua fidanzata, forse viene. Ma solo se sono in buoni rapporti, altrimenti non ci viene. Sto generalizzando, estremizzando la cosa, è ovvio. Ci sono persone che ci seguono, ma il dato macroscopico è questo.
La mia figura sociale, la deontologia che mi muove, la vedo molto lucidamente. E’ inutile nascondermi dietro la foglia di fico di un ecumenismo, che non esiste nell’arte contemporanea. Non posso e non voglio piacere a tutti. Preferisco essere coerente ed essere riconoscibile. Chi vuole mi può seguire, ma dare anche indicazioni sulla nostra rotta. Perché siamo aperti. Noi abbiamo offerto una serie innumerevole di collaborazione con artisti, luoghi espositivi del territorio, e non c’è stato di ritorno praticamente nulla. Ma continuiamo a investire anche sull’Umbria, pur senza cercare il localismo a tutti i costi, solo perché la nostra sede è qui..


Galleria Cinica-
(come) Achille, il modo peggiore sul
 terreno peggiore, 2014
A R C – Ti dicevo, riesco a visitare Trevi durante le vacanze, sono passata a ferragosto e come capita, sono passata a Foligno. Mi ha stupito la chiusura nella settimana di ferragosto del CIAC. Due realtà molto diverse da Palazzo Lucarini, come Palazzo Collicola Spoleto e il CIAC hanno non solo i vostri stessi orari di apertura (tre giorni la settimana!), pur avendo una struttura con progettualità e obiettivi differenti, una collezione permanente, mostre temporanee di richiamo… ma non si preoccupano del pubblico.
M C - …possiamo aggiungere l’aggravante dei costi per i contribuenti. Per noi, qui, le uniche spese sostenute dall’ente pubblico sono i mancati redditi del potenziale affitto che potrebbe riscuotere se mettesse sul mercato i locali, e le utenze: luce, acqua e riscaldamento.

 A R C – Chiudo con il discorso territorio. Ti faccio un’ultima domanda.
Di recente ho letto un intervento di Barilli sull’ipotesi di dare forma ad <<un recinto virtuale dirispetto>> verso il pubblico, ipotesi ragionata a seguito l’episodio svoltosi al Festival di Santarcangelo in cui Tino Seghal ha indotto un performer a orinare in pubblico. Cosa ne pensi di regolare la libertà degli interventi artistici negli spazi pubblici?
 Galleria Cinica-
 Alessio Santoni, Foreste, 2015
M C – Il discorso è molto complicato. Io sto facendo da diversi anni studi su questi temi. Il libro (Una rivoluzione non richiesta. Modelli di arte inclusiva dal Nord Sardegna, Aracne, 2014) che ho pubblicato su Aliment(e)azione e Az.Namusnart aveva come pretesto quello di parlare dei gruppi, ma l’interesse era relativo all’arte pubblica - o negli spazi pubblici - e implicitamente relativo al rapporto tra arte, artista e pubblico. Bisogna intenderci, io sono radicalmente contrario all’idealizzazione dell’arte, al crocianesimo che mette l’esperienza e l’oggetto artistico in una condizione di sacralità intangibile dal fango della quotidianità. Sono altresì scettico sulla vulgata che vuole le pratiche di arte partecipata e condivisa in grado di modificare virtuosamente le dinamiche sociali. Non ci credo. Io credo che l’arte abbia degli strumenti per una visione critica sulla realtà. L’intervento diretto spetta ad altre istituzioni che non sono quelle artistiche, sono il legislatore, la magistratura… Per tanto, spettatori e pubblico, alla luce di quello che è successo nell’arte contemporanea, non sono ontologicamente diversi. Il pubblico, un visitatore, può diventare in un determinato momento partecipe. Come diceva più o meno Goodman: <<devi chiederti non cos’è arte, ma quando quella cosa è arte>>, e lo stesso vale per la partecipazione del pubblico. Il pubblico può interagire, può scegliere di non interagire, può essere coinvolto in maniera coatta come faceva la scuola di Rosario negli anni sessanta in Argentina, e in Centro America, con quelle azioni al limite del sadismo sociale, come si diceva all’epoca. Può succedere. Credo che la cosa peggiore, e questo è tipico di Barilli, sia quell’atteggiamento apodittico, di dare una cosa come dogmatica, universale. Non c’è una legge, c’è fluidità, c’è ogni volta il mettere in discussione gli assunti precedenti. Questo è il modo in cui io affronto l’arte, l’arte contemporanea. Penso che ogni rigidità si ritorca contro chi parla di arte. Sono contrario a quello che ha detto Barilli, penso sia sempre un errore dare le cose per assodate.
Noi abbiamo recuperato alla fine del XIX secolo il Manierismo. E Botticelli. Senza parlare degli impressionisti, che ora valgono milioni e alle prime mostre generavano scandalo. Ci vorrebbe un po’ più di buon senso e sospendere il giudizio.

ARC

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Alimente(a)zione
Collettivo Illimine






 

martedì 15 settembre 2015

Conversazione con Andrea d’Ascanio/ Artista

Chiedo ad Andrea d’Ascanio di conversare del suo lavoro recente.
Siamo partiti dal nuovo studio Phango, diviso con Kiki Skipi, nel centro storico di Sassari. Mi ha raccontato dei nuovi progetti costruiti sulle dinamiche relazionali fra cittadino e spazio urbano, dei progetti di laboratorio cittadino innestati sul territorio e le collaborazioni con altri artisti in progetti collettivi: Breghedebrè a Sassari e Clorofilla a Belluno, al CSOA Pangea a Porto Torres. Le collaborazioni con Andrea Casciu, Elisa Desortes, Ericailcane e Bastardilla.


ARC Vorrei iniziare a parlare del presente. Hai uno spazio, Phango, con Kiki Skipi, partiamo da qui. Cos'è Phango?
Ad’A Phango è nato dal bisogno di avere uno spazio/laboratorio intimo, dove poter lavorare e studiare in maniera indipendente. Alcuni materiali ed alcune strumentazioni le avevamo già, aspettavano solo di essere utilizzate, altre sono il frutto di sacrifici e di passione che stiamo cercando di coltivare giorno dopo giorno. Tutti i creativi hanno bisogno del proprio spazio personale, possiamo chiamarlo in qualunque modo, uno spazio che pian piano si riempie delle esperienze, una casa.
Andrea d'Ascanio in progress
ARC Come è nato, quando? Si differenzia in qualcosa da un conforme studio d’artista?
Ad’A Phango è nato a Marzo/Aprile. Non so cosa differenzi Phango da altri studi, non so nemmeno se sia poi così diverso da altri studi, ma il fatto di trovarci lì dentro e sentirci liberi di poterci esprimere è una cosa fantastica.
Lo spazio non è in condivisione, per il momento non è un locale commerciale, non facciamo laboratori aperti al pubblico. Abbiamo recentemente collaborato con l'Associazione Culturale ACME, della quale sono socio fondatore, per l'Evento Breghedebrè a Sassari in occasione della Faradda. Praticamente è stata la prima occasione in cui abbiamo potuto aprire le porte del nostro studio. E' stata un'esperienza bellissima, abbiamo “apparecchiato” la via e stampato in diretta serigrafia e incisioni d'arte.

ARC Con Acme avete lavorato in città a dei progetti molto interessanti in vari quartieri, ma Vicolo Cetti è in pieno centro storico, collega Piazza Tola al Corso. Per tradizione è legato all'arte. Come è stato recepito dalle persone?
Ad’A Nei due giorni di stampe dal vivo, la via si è riempita di amici, di sconosciuti, di passanti e di bambini contenti che si facevano stampare la maglietta, abbiamo stampato anche body per neonati. La risposta è stata molto positiva.

Ericailcane, Breghedebrè, Sassari, 2015
ARC Raccontami dell'Evento Breghedebrè per la Faradda.
Ad’A Abbiamo avuto l'onore di conoscere dei veri amici con i quali abbiamo stretto un forte legame, alcuni maestri che lavorano nell'oscuro, che ci hanno ospitati più di una volta nei loro studi, forse ci hanno dato un input, per lo meno questo è ciò che penso io. Sono persone che rischiano tutto per la propria passione e cercano di difenderla e portarla avanti, di proteggerla e di far valere le proprie idee. Breghedebrè è nato da una collaborazione tra l'Associazione Culturale ACME e Phango, con il Patrocinio dell'Assessorato alla Cultura.
Siamo stati contattati fondamentalmente per la realizzazione di un murales celebrativo dei candelieri sulla facciata dell'ex Hotel Turritania.

ARC Mi sembra che a livello creativo abbia dato i suoi frutti, anche in termini di coinvolgimento delle persone comuni, in positivo e negativo.

Ad’A Sì. Abbiamo pensato, infatti, in quei giorni, di aprire le porte di Phango per stampare artigianalmente in diretta, sia su carta sia su magliette, borse e quant'altro. Tra gli artisti c'eravamo io, Kiki, Andrea Casciu, Elisa Desortes, Ericailcane e Bastardilla.
Appena partiti abbiamo avuto una grossa mano da parte di molti amici, ci tengo tantissimo a raccontarlo perché voglio ringraziarli. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di scrivere un testo su Phango in occasione dell'ultimo evento. Ci piaceva, al posto di scrivere noi di noi, che scrivesse di noi chi sa veramente scrivere, chi ci conosce e chi in qualche modo crede come noi nell'amore dell'arte. Se vuoi posso girarti i testi ...


Phango - Luca Cheri















Phango - Giancarlo Sechi







 



Phango - Riccardo Futta 












ARC A proposito di collaborazioni, ho visto il lavoro tuo e di Andrea Casciu a Palazzo Lucarini, a Trevi. E' nato durante una vostra residenza in Umbria o sbaglio?
Ad’A In quell'occasione io e Andrea siamo stati invitati a partecipare ad una mostra per Palazzo Lucarini. La mostra si intitolava “Fabbrica Lucarini. Il Palazzo si racconta, storie, memorie, identità” 2014, a cura di Maurizio Coccia e Mara Predicatori. Per l'occasione abbiamo dipinto sui pannelli perimetrali del museo.

ARC Com' è nata l'idea di dipingere sui pannelli della recinzione che protegge il ponteggio del cantiere? Perché non lavorare all'interno, quale è stata la motivazione?
Ad’A In quel periodo il museo era un cantiere, sia all'interno che all'esterno. L'idea era quella di portare l'arte al di fuori del museo, un murale che ripercorresse la storia del palazzo dall'origine ad oggi. Abbiamo progettato con Andrea un percorso e lo abbiamo reinterpretata a modo nostro. Abbiamo frugato la storia all'interno della città, informandoci tra le persone.

Andrea Casciu e Andrea d'Ascanio “Go Through, Get Through”, 2014, Trevi (PG)

ARC Mi ha colpito quanto in realtà si integri perfettamente con lo spazio del centro storico, con i palazzi vicini e il Duomo. Qual è la storia di Palazzo Lucarini?
Ad’A Il titolo che abbiamo dato all'opera con Andrea è “Go Through, Get Through”. La storia del Palazzo può riassumersi in 5 fasi: La fabbrica edilizia, la fabbrica educativa, la fabbrica sociale, la fabbrica culturale, la fabbrica di Lucia, da qui abbiamo dato interpretazioni personali e studiato e approfondito.

Andrea Casciu e Andrea d'Ascanio “Go Through, Get Through”, 2014,Trevi (PG)

ARC Le prime quattro posso intuire, l'ultima "la fabbrica di Lucia" cos'è?
Ad’A Lucia, che è scomparsa l'anno precedente alla mostra, è stata una persona molto importante della storia di Palazzo Lucarini. Lucia Genga era la presidente dell’Associazione Palazzo Lucarini Contemporary.

ARC Un omaggio molto commovente.
Ad’A Sì, molto fragile e difficile da interpretare.

ARC Certi argomenti possono svilupparsi solo sul terreno simbolico. A questo proposito, nel tuo linguaggio artistico i soggetti sono sempre animali...
Ad’A Sì.

Andrea Casciu e Andrea d'Ascanio “Go Through, Get Through”, 2014,Trevi (PG)
ARC Vidi, forse per la prima volta, un tuo lavoro realizzato per “Public” nel 2009, a cura di Giannella Demuro, al Museo Sanna, erano degli strani pesci… sbaglio, erano tuoi?
Ad’A Sì, erano i miei, un lavoro molto vecchio, sono cambiate molte cose.


ARC Sì, certo. Gli animali,  però, sono rimasti  una costante…
Ad’A Mi piace giocare sui comportamenti animali, e su quelli umani, mi incuriosisce l'evoluzione della specie, mi piace cercare quei comportamenti che l'uomo e gli animali hanno in comune, mi interessa dare voce e sottolineare situazioni che non mi piacciono, in chiave ironico/sarcastica.

ARC E' un argomento che riguarda il nostro tempo, ha a che fare il nostro ruolo di sapiens e il modo in cui ci comportiamo con gli altri animali?
Ad’A Soprattutto. Perché è proprio quello che alimenta la mia ricerca nell’ ”umanizzare” gli animali. Mi piace pensare che la natura sappia rispondere e dominare l'uomo: dall'insetto che si evolve e si arma, alla balena che cerca di volare per scappare dall'uomo. E’ un discorso un po’ troppo vasto per il mio lavoro, perché cambio intento da un progetto all'altro. Il mondo animale può avere un infinità di interpretazioni, ci sono tantissimi artisti che utilizzano il linguaggio della natura, degli animali, ma soprattutto dell'aspetto socio-politico che ci circonda.

Andrea d'Ascanio, per CLOROFILLA, Belluno, 2015

ARC Oltre all’impegno per Breghedebrè, hai realizzato dei nuovi lavori di recente?
Ad’A Ti mando le foto di Alice Bettolo. Una megattera di 40 metri. E’ un lavoro realizzato per CLOROFILLA, nato da un’idea di Ericailcane in collaborazione con la Casa dei Beni Comuni, un laboratorio cittadino aperto che lavora sul territorio per i beni comuni e per costruire spazi sociali di condivisione. Dal 27 giugno al 5 luglio 2015 alcuni muri della Casa dei Beni Comuni (ex Caserme Piave), della città di Belluno e della sua Provincia, sono stati dipinti per raccontare delle storie, secondo un'idea di arte pubblica fatta dalla gente, per la gente. Ci tenevo a sottolineare questo lavoro recente. Queste persone sono favolose e lavorano costantemente per difendere le proprie idee e portarle avanti.

Andrea d'Ascanio, per CLOROFILLA, Belluno, 2015
Durante la settimana di CLOROFILLA , gli artisti hanno dato nuova vita a superfici e luoghi dimenticati, che ormai non ci stupiscono più, con i loro colori in murales, workshop ed eventi, laboratori di stampa aperti a tutti i cittadini nel cuore della città di Belluno. Nel Nord est d'Italia, più o meno distanti dai confini geografici dello stato, Belluno è un'isola nello splendido deserto delle montagne. Le Dolomiti, patrimonio dell'umanità fanno da cornice a questa iniziativa che coinvolge gli artisti e i cittadini. L'arte contemporanea esce dai musei e penetra nelle strade, entra in contatto con il territorio e stimola lo spettatore, perché si addentra nel "suo" ambiente.

ARC Questo scambio di ospitalità e condivisione moltiplica il senso delle cose.
Ad’A Sì, sono d'accordo. Un altro lavoro recente è questo realizzato a Porto Torres. Il VIDEO  realizzato da Bastardilla di un murale che ho dipinto al CSOA Pangea, di Porto Torres.

Andrea d'Ascanio, "Sordomuto e onesto", 2015, CSOA Pangea,  Porto Torres

ARC Hai dei progetti nell'immediato? A cosa stai lavorando?
Ad’A Nell'immediato parteciperò alla mostra “Un dessin est beau si la ligne est vivante”, alla Winterlong Galerie, a Le Pilori, Niort, in Francia dal 23 settembre al 17 ottobre. 
In progetto c'è molto da fare, con Phango parteciperemo con uno stand a Girovagando, che si terrà questa settimana a Sassari. Ma abbiamo anche altre cose che bollono in pentola. Poi, la prossima settimana ci sarà un'altra occasione di vedere stampe e artisti all'opera su un muro, l'evento si chiama PHANGO SUL MURO, dalle 10 di giovedì 24 Settembre Live Painting con me, Andrea Casciu, Kiki Skipi, La Fille Bertha, UFOE. E, dalle 18 DJ SET con DJ Gamberone e J.D. Tiki, Apollo Beat.

 ARC

sito dell'artista:
Andrea d'Ascanio

siti che potrebbero interessare:
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Ericailcane
Bastardilla
Kiki Skipi

link correlati:
http://www.winterlong-gallerie.com/
http://casadeibenicomuni.wix.com/clorofilla

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