Prato. Torrida domenica di luglio, solo un
venticello caldo ci consola. Ci vediamo in studio.
ARC – Ti
dispiace se registro? Vorrei pubblicare questo incontro sul blog. Una sorta di
testimonianza del lavoro in progress.
RDV – Sì
certamente.
Prima volevo dirti una cosa, che forse potrebbe
essere utile. In realtà, in contemporanea con la mostra di Livorno, farò una
mostra con Marco Acquafredda, a Casole d’Elsa. Sarà la settimana successiva, il
21 settembre. Il progetto si chiama Timeless,
ha come idea di fondo la mancanza di tempo. Il progetto ha varie tappe, questa
sarebbe la seconda.
ARC – Interessante.
Mi piace “Io non sono qui”. Teniamolo presente.
RDV – Gioca un
po’ sull’idea di <<tu sei qui>> delle mappe. Dal momento che dico <<io
non sono qui>> si crea un paradosso. Di solito qui è dove ti trovi.
L’essere in un posto è legato comunque al tempo. Io sono qui in questo momento,
nel presente, nel momento in cui parlo, un momento prima e un momento dopo, non
necessariamente ci sono. E’ un gioco a bloccare il tempo. Per quanto dico sono
qui, lo sono in quel momento e già non ci sono subito dopo. Mi piaceva giocare
su quest’aspetto e lavorare su una sequenza di mappe.
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Passaggi, 2024,disegno a grate acquerellabile, su carta cotone Fabriano piegata, assemblaggio di mine di grate HB e manina sinistra in legno dipinta ad acquarello 50x40x10 cm |
ARC – Il
lavoro delle mappe è molto interessante, a “La Casa del custode” creavi un
tunnel spazio-temporale, una connessione con una storia del luogo, le stelle,
la tua infanzia.
RDV - Sull’idea di mappa ci lavoro da tanto tempo.
Pensavo di riprendere un lavoro che ho portato avanti per il Drowing Center di Parigi (N.d.R. una
residenza artistica dedicata al disegno) un concorso, che non andò in porto. In
quel caso era legato alle mappe di Parigi. Il lavoro in qualche modo è rimasto
sospeso e l’ho tirato fuori con “La casa del custode”.
ARC – A
Poggibonsi le mappe erano state piegate, bucate con una mina di grafite che
fungeva da tunnel spazio-temporale e univa due punti diversi nello
spazio-tempo, il tunnel veniva indicato da una manina, (N.d.R. la manina mi
ricorda tanto quella di Duchamp, in Tu m’
1918). Un tunnel tra fantasia e realtà, gioco e memoria. Uno Wormhole.
RDV – In questo
caso, vorrei usare però delle mappe esistenti. Invece che andare ad indicare,
coprirei completamente con la grafite eccetto un unico punto. Ogni volta un
punto diverso. Tante mappe, ognuna con un punto diverso: <<Io non sono
qui>>. Coprire la mappa è come dire che io copro tutti i punti nei quali
mi muovo, copro completamente tutti i punti in cui passo eccetto uno, dove non
sono.
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La casa del custode, costrutto, stanza 1 |
ARC – Indichi
l’unico punto nel quale non sei. Non è neppure più riconoscibile la mappa. Mi
pare un bel legame con Timeless. Lo
spazio che hai occupato è stato completamente cancellato; cancellato anche il
tempo che hai impiegato per percorrere le strade. La mappa non definisce più
alcun luogo.
RDV – Esatto. Rimane
questa carta di cui non percepisci più niente. Questo dovrebbe essere in
qualche modo la base su cui vorrei lavorare.
ARC –
Negazione di spazio e tempo. L’idea mi piace.
RDV – Le mappe
che ho fatto a Poggibonsi, erano piegate, non le potevi vedere. Qui è la stessa
cosa. Non le piego ma copro con la grafite.
ARC –
Riunisci quelli che sono i paradigmi di tutto il tuo lavoro, il disegno, la grafite,
l’occultamento, la dissimulazione …
RDV – Coprire
completamente come in questi lavori (N.d.R. alla parete mi indica alcune opere
su carta), da cui nasce il lavoro delle mine di grafite su muro. In certi casi
c’è soltanto un punto, poi c’è un’ombra, poi se c’è una luce diretta si crea
una seconda ombra.
ARC - Continua
a venirmi in mente “Tu m’” di Duchamp e “Man” di Man Ray, l’ombra prende la
funzione dell’oggetto, si sostituisce ad esso. L’apoteosi del simulacro. Ma non
complichiamoci le cose.
RDV – No, non
complichiamo. Questi sono degli specchi, (N.d.R. mi indica un opera appesa alla
parete di fronte: “Disegni” 2011) sono dei frottage di specchi. Il frottage riprende
la forma, l’oggetto. In questo caso c’è un ulteriore passaggio, oltre a
riprendere la forma dello specchio, dato dalla tridimensionalità, c’è la grafite
che sulla carta nera riflette la luce. Sulla rappresentazione dello specchio, torna
l’effetto specchio. E’ una rappresentazione in scala 1:1 perché c’è questa tridimensionalità
e questo copiare. E’ un disegno, ma in quanto riflettente tende a prendere la
funzione dell’oggetto che sta rappresentando.
ARC –
Ritorniamo al ribaltamento di ruoli e di senso. A guardarla sembrerebbe una
vernice argentea, non è facile riconoscere la grafite. L’hai usata tantissimo
in molti lavori. E’ quasi un materiale feticcio.
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La casa del custode, Stanza 1, veduta, foto Maurizio Sorvillo |
RDV – Con la
grafite ho lavorato tantissimo. Questo che vedi qui, sembra una Galassia in
realtà è un punto di grafite su carta, scansionato e ingrandito tantissime
volte. Sono dei punti sulla carta nera. La domanda è <<Qual è il limite
del disegno? Quand’è che il disegno non è più disegno? Quando comincia ad
essere disegno?>> A questo si sovrappone un altro gioco: nella volta
celeste ci sono miliardi di stelle, pensando alle costellazioni, posso
immaginare qualsiasi disegno già disegnato tra le stelle. E’ una sorta di
sconfitta. Posso disegnare qualsiasi cosa, ma lì è già disegnata. Cosa faccio
allora? Disegno le stelle, faccio un punto su un foglio e segno l’indicazione
reale di una stella attraverso il suo codice Bayer. E’ un punto casuale, ma nel
momento che io gli dò un nome lo identifico. Inizio a fare lavori di questo
tipo. Disegno le stelle, ma in realtà è un’operazione altrettanto impossibile,
perché sono talmente tante che in tutta la mia vita, anche se continuassi a
fare punti non riuscirei a fare tutte le stelle. Infatti il lavoro si chiama
“Corpi”. Propone una sorta di sconfitta, di fallimento.
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Da plaza Costituciòn verso calle Garay, 2016, grafite, carta Favini, legno, vetro, acrilico, numero di elementi variabili, 21x21x5 cm cad. |
ARC – Qual è il passaggio tra questi disegni è la foto che mi hai mostrato prima?
RDV – Le
scansionavo per documentarle.
Casualmente ho provato ad ingrandirle e sono venuti fuori queste quantità di
punti. Quel gesto che è un gesto limite, in realtà dentro di sé è una sorta di
inizio. Quello che sembra la fine, in realtà è un inizio. Questi lavori si
chiamano “Zero”.
ARC – Di che
anni stiamo parlando?
RDV – 2016.
Sono più o meno contemporanei.
ARC – Non
hai iniziato con il disegno. I tuoi primi lavori sono video o sbaglio?
RDV – Sono
uscito dall’Accademia e ho iniziato con installazioni e video. Però il disegno
era la base del mio lavoro. Sono sempre stato un disegnatore, facevo fumetti. Ad
un certo punto ho deciso che dovevo tirare fuori di nuovo il disegno. Io adoro la
grafite. Negli anni 2007 ho cominciato a fare i primi frottage.
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Usci, 2007,Frottage, grafite su carta Fabriano, 210x80cm |
ARC – Le
porte, gli “Usci” …
RDV – I primi
lavori sono proprio quelli.
ARC – Sono molto
belli esteticamente, allo stesso tempo inquietanti. RDV – Sì.
Oltretutto è un lavoro proprio fisico. Immagina fare una porta intera con il
frottage. Che poi, per fare quella porta dovevo chiudermi nello studio, perché
l’unica porta che andava bene era all’interno. La prima volta che ho fatto la porta,
ho alzato il foglio prima di aver terminato il disegno, con l’idea di
proseguire in un secondo momento, ma quando l’ho rimesso sulla porta, non
tornava più niente. Così sono stato costretto a finire il frottage in giornata.
Mi chiudevo nello studio, portavo da mangiare e tutto il resto, mi sequestravo
da solo. Ne ho fatto solo cinque perché fortunatamente ci hanno sfrattato.
ARC – Si percepisce il realismo della porta, allo
stesso tempo qualcosa di più pesante, metallico, sembra piombo.
RDV – In quel
periodo il mio lavoro era un po’ cupo.
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Usci, 2007, frottage, grafite su carta Fabriano, 5 elementi, 210x80 cm cad. |
ARC – Mi
hanno fatto pensare alle “false porte”, alle soglie verso l’altrove.
RDV – La porta
era legata ad un altro video ed aveva come significato il passaggio. Molti miei
lavori sono legati fisicamente l’uno all’altro: un elemento video lo riporto in
un disegno, un altro elemento di quel disegno lo riporto su un video ecc., a
volte faccio proprio un collegamento fisico. Ora non più tanto, ma allora lo
facevo. In quel caso era una porta che faceva parte del video.
ARC – Guardavo
lo specchio di fronte a me. Lo specchio è sempre varco in un'altra dimensione,
rappresentazione del doppio, magia. Ma questi tuoi specchi sono trappole. Torna
ancora il ribaltamento di senso e di ruoli.
RDV – Ora che mi
ci fai pensare, potrei farne uno per Livorno, dato che non ne faccio da diverso
tempo.
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Disegni 2011, frottage, grafite su carta Canson 80x80cm |
ARC – Sì,
potrebbe funzionare. Sono specchi antichi, sono forme che ricordano gli anni Quaranta,
Cinquanta.
RDV- In realtà
sono specchi casalinghi. Ne ho alcuni. Erano specchi che avevo in casa.
ARC – Gli
oggetti sono sempre dei doppi, lo specchio ne rappresenta il paradigma
assoluto. La tecnica usata è interessante perché in fondo è semplice, è una
delle prime che si insegna ai bambini per appropriarsi della realtà, per
scoprire la testure dei materiali. Infondo anche tu usi il disegno come
comprensione del mondo.
RDV – Tutto nasce
da un video che avevo fatto che si intitolava “Venere” 2011, con soggetto
quello specchio che vedi lì. Questo avanzare e sprofondare in questo specchio,
dove non percepisci completamente l’immagine finché l’immagine non si scompone.
Lo specchio mi ha incuriosito e ho iniziato a fare dei frottage di quello
specchio lì. La prima cosa che ho fatto è questo disegno che riproponeva la
stessa cosa. E’ molto grande 1,50 per 2 metri circa e in realtà questo
movimento verso lo specchio lo faceva lo spettatore. Mi ero reso conto che in
questo disegno, lo specchio rifletteva, allora ho deciso di fare i frottage
solo dello specchio. L’idea era che ogni volta che facevo il frottage lo
specchio si sarebbe distrutto. Utilizzavo scarti di carta, sempre diverse,
ognuno con la sua caratteristica. I disegni sembravano tutti uguali, in realtà
ogni volta c’era un pezzetto di cornice saltata, lo specchio si rompeva da una
parte, alla fine mi sono dovuto fermare perché lo specchio era di mia moglie,
sennò divorziavo.
ARC –Anche
se non è mai dichiarata, la componente letteraria, narrativa nei tuoi lavori è
molto importante. Qui c’è un po’ di Dorian Gray.
RDV – E’ proprio
così. Il video si chiama “Venere”. Venere è la prima stella del mattino ed è
chiamata anche Lucifero, portatore di luce. C’è questa ambiguità, perché Venere
è la dea della bellezza e allo stesso tempo l’angelo che per la sua vanità
sprofonda. Il lavoro nasce da una cosa che mi aveva raccontato mia mamma.
Quando era bambina si specchiava come fanno tutti i bambini, trovata dalla
nonna <<Non ti specchiare che viene fuori il diavolo!>> si
spaventò. Mia madre mi confessò che lei si è vista nuda davanti allo specchio
che era già sposata. Questa cosa mi aveva colpito. Così nasce il video
“Venere”.
ARC – Anche
per il “Diciannovesimo scalino” 2019, parti da un lavoro letterario, da un
racconto di Borges: “L’Aleph”.
RDV – E’ il mio
tarlo, ce l’ho sempre appresso, mi ero stampato questo testo sul tempo. (N.d.R.
J.L.Borges Nuova confutazione del tempo
in Altre inquisizioni, 1952 ed.
italiana 1963)
ARC – Ci
stai lavorando.
RDV – Sì. E’ più legato a “Timeless”.
ARC – Anche
qui torniamo a “Zero”. Un punto nel quale si aggregano tempo e spazio. Un
momento di fulminea chiarezza che improvvisamente scompare, nella quale hai l’ambizione
di capire tutto e in realtà non resta niente.
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Da Plaza Costituciòn verso calle Garay,2016 grafite, carta Favini, legno, acrilico, 21x21x5 cm |
RDV – Ho fatto
due lavori su “L’Aleph”. Il “Diciannovesimo scalino”, sono queste grandi carte
nere dove è disegnato solo un piccolo punto, di circa tre centimetri di
diametro, nel quale ho rappresentato delle immagini prese in maniera casuale da
un mio archivio fotografico. La storie è quella di questo personaggio che
disteso sul pavimento di una cantina, sul diciannovesimo scalino che conduce
all’uscita, vede questo punto che è l’Aleph, dove tutto è presente nello stesso
momento.
ARC – Che è la follia.
RDV – Sì. Tant’è
che ho fatto un secondo lavoro sul “L’Aleph” che si intitola “Da Plaza
Costitutión verso Calle Garay” 2016. E’ inizio del “L’Aleph”. Lui racconta di
questo appartamento dove va a trovare la sua amica, parte da Plaza Costitutión
per calle Garay. Ci dà delle indicazioni dove effettivamente questo
appartamento si trova.
ARC – Nel
tuo lavoro c’è questo aspetto liminare. Infondo affronti attraverso medium
differenti l’incommensurabile: disegnare tutte le stelle, mappare tutta la
terra, racchiudere tutto il tempo in unico punto ecc. Ritorna il disegno come
comprensione del mondo da prigioniero: il tuo guardare dall’interno verso
l’esterno, stare sulle soglie, appropriarti degli specchi, muoverti nel mondo
bidimensionale delle mappe, sollevare lo sguardo verso le stelle e tornare
ragno.
RDV – E’
possibile, un occhio esterno forse può cogliere meglio. Non avevo colto questo
aspetto, però quello che ho colto è che ognuno va a ripescare nel suo bagaglio.
Il ragno su cui non lavoravo da tempo lì aveva il suo ruolo ideale. Come in
questo caso ti trovi a fare una residenza e sulla base di input esterni
costruire una mostra e quindi inevitabilmente vai a ripescare nel tuo bagaglio.
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La casa del custode, stanza 03, veduta 1 foto Maurizio Sorvillo |
ARC – Va bene,
per la nostra conversazione mi sembra possiamo chiudere qui.
ARC
Per approfondire:
Sito ufficiale: https://www.raffaeledivaia.com/
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