Lo scorso marzo incontro Angelo e Lavinia, l'occasione è la messa in opera dell'antologica Saluti dagli anni '20 recentemente inaugurata, (1 ottobre - 20 novembre 2022), con l'idea di completare un discorso sospeso nella Conversazione del 2017 e pubblicare entrambe le conversazioni in catalogo. L'obiettivo è verificare a distanza di cinque anni l'andamento del lavoro, chiarire una serie di punti toccati in superficie. E' un po' di tempo che parliamo di questa mostra, ma tra le tante faccende noiose che hanno attraversato le nostre vite -nel frattempo c'è stata una pandemia, un trasloco- siamo giunti ad oggi con l'ultimo dipinto, in senso cronologico, una riflessione ironica e amara sull'abitare, che apre il catalogo e idealmente chiude la mostra. Saluti dagli anni '20 ritrae Angelo e Lavinia seduti sul divano di casa -idea moderna di dimora minima- con indosso fantasiose maschere, protetti da invisibili pericoli. Ognuno di noi può comprendere l'origine di questo doppio autoritratto, capirne l'umorismo e identificarsi con esso, forse. Ma riprendiamo il filo, nel 2017 ci siamo lasciati che il lavoro stava prendendo una direzione nuova, sintetica dal punto di vista formale e metaforica per ciò che riguarda i contenuti: tele di piccole e medie dimensioni, dipinte a smalto, che affrontano l'idea dell'abitare proponendo visioni di alloggi temporanei, quasi astratti. Gli argomenti trattati in quel primo incontro, i ritratti degli amici, i palazzi popolari, le architetture razionaliste, gli interni intimi e a tratti erotici degli anni dieci, ad un certo punto lasciavano il passo ad oscuri alloggi di precaria stabilità da cui emergeva un profondo senso di fragilità. Questa instabilità emotiva e plastica è l'argomento della nostra nuova conversazione. Siamo ripartiti da qui.
Saluti dagli anni '20, smalti su tela, 150x160, 2022 |
Marzo 2022
ARC
–
Quando ci siamo incontrati la prima
volta abbiamo ripercorso la vostra carriera a partire dai primi dipinti
realizzati come Koroo fino al momento in cui avete deciso di chiamarvi con i vostri cognomi. Ci
siamo lasciati che operavate ad un progetto che è sostanzialmente la sintesi di
tutto il vostro lavoro: le relazioni, l’abitare, il bisogno di stabilità tutto
racchiuso nel concetto di dimora minima. Ripartiamo da qui.
F&I - Per noi
l’architettura è sempre stato un elemento presente e condizionante nel rapporto
con il contesto, con la figura umana. Ad un certo punto dagli edifici esterni
ci siamo spostati negli interni delle case e questi interni erano anch’essi
condizionati dall’essere solitamente un luogo domestico. E’ come se fossimo
entrati all’interno di quelle architetture di cui ci siamo sempre occupati. Ci
interessava l’abitare.
ARC
– Negli ultimi lavori, nati proprio
durante il nostro primo incontro, che costituiscono il nucleo della mostra del
2019 Neo Gotico Palladiano Sud Sahariano
Extra Factory, la figura umana è sparita, anche le case sono qualcosa di essenziale,
non c’è più l’edificio come luogo da abitare, la dimora è divenuta astratta. È
divenuta un’idea o sbaglio.
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Palafitta, - smalto su tela, 40x67 cm, 2016 |
F&I – Sì, tutto si è
spostato sull’idea. Cosa rimane all’essere umano arrivati alla sintesi della
dimora? Un posto sicuro, un posto dove stare, un posto da sistemare. Diventano
una cosa astratta in questo senso qui, cioè qualcosa che costruisci per stare,
per viverlo, che costruisci con le mani. Sono edifici che sembrano costruiti
con il fango, con la paglia, col minimo indispensabile, con quello che trovi.
F&I – Volevamo arrivare
rappresentare e comprendere quelli che sono
gli elementi essenziali che ricordano il concetto di dimora, che è insito
nell’essere umano come concetto di rifugio, di dimensione privata. Quali sono quei
pochi elementi che effettivamente servono e che rendono riconoscibile
all’essere umano l’idea di dimora? Ecco, ci siamo concentrati su questo.
F&I – Abbiamo guardato
alle capanne preistoriche, alle capanne etrusche, alle capanne di ogni tempo e
ogni luogo. Abbiamo cercato di appropriarci di quel minimo di elementi visivi,
da pittori. L’impatto visivo prevale. Cosa si vede di questi elementi? Cosa
serve per costruire? Un’immagine che dia l’dea della dimora, anche della
sicurezza, un luogo dove rifugiarti quando tutto attorno e nero e buio.
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S.t., 60x80 cm, smalto su tela, 2017 |
ARC
–la tavolozza si è ridotta al minimo:
nero, bianco e qualche giallo o ocra. Il fondo nero.
F&I – Sì, non sai mai
se la figura emerge o si nasconde, se c’è il bene o il male in tutto quel nero.
Questa doppia possibile visione riguarda l’esperienza di ognuno.
F&I – C’è una
riflessione su cosa è considerabile sicuro e solido. Danno un’idea di solidità,
però alla fine sono fatte senza fondamenta, senza quei criteri dello studio
architettonico o almeno non sembra essere così. E’ un pensiero immediato,
qualcosa che ti serve subito e costruisci con la solidità delle cose che hai
intorno, ma non molto altro. In qualche modo sono fragili e solide allo stesso
tempo.
ARC
– Quanto ha influito la condizione
perennemente diasporica di molta parte dell’umanità in continuo movimento, in
fuga, partenze precipitose per via di conflitti, migrazione nell’idea di dimora
fragile o solida a seconda dell’esperienza personale?
F&I –E’ un aspetto che
ci ha sempre interessato. Ci siamo sempre chiesti quali fossero gli elementi
indispensabili ad un essere umano per potersi rifugiare in un momento di
estrema necessità. Il concetto della dimora primitiva era quasi nel calarsi nei
panni di chi effettivamente è scappato, deve ripararsi dalle intemperie, deve
nascondersi avvolte perché non deve essere visto, deve dare un minimo senso di
sicurezza ai propri figli. Non lo fa solo con la sua persona ma anche con
quello che riesce a costruire con il minimo indispensabile: un semplice telo e
quattro legni.
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S.t., - smalto su tela, 60x80 cm, 2018 |
ARC
- Il tema della
fragilità ritorna sempre nel vostro modo di affrontare il rapporto dell’essere
umano con la società.
F&I – Fragilità e
insicurezza sono due concetti che vengono sempre fuori sia nel primi dipinti
che nei lavori a smalto, perché anche se si perde il rapporto con
l’architettura, molte delle immagini che abbiamo realizzato successivamente si
fondano su questo sensazione.
F&I – Nella mostra L’ossessione dello stupore, 2014 lo
stupore è sempre accompagnato dal concetto di fragilità, perché è qualcosa di
così impermanente, provato al momento, che passa, se ne va, e quando lo provi
per qualcosa di tangibile, ti accorgi che sei te che proietti su qualcosa di
tangibile lo stupore; l’oggetto o l’architettura ti aiutano a ricordare quella
sensazione, però è un momento tuo, è fragile, veloce, temporaneo. In queste
immagini a volte scattate da noi, spesso prelevate dal web, facciamo accadere
qualcosa di imprevisto.
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Palafitta #2 - smalto su tela, 40x50, 2020 |
ARC
– Ma già alla
seconda visione ti abitui agli elementi estranei, non stupiscono più.
F&I – E’ un altro
stupore, diventa qualcosa di familiare, vai a ricercare cos’è che ti ha stupito
la prima volta, con razionalità. Razionalizzando le cose si sintetizzano, ti
servono meno elementi, ti accorgi che basta anche meno per stupirsi.
F&I – Il discorso della
fragilità mi riporta alle relazioni, perché le relazioni stanno in piedi, sono
solide finché ci investiamo, quando sono continuamente richiamate e possono
dare un’idea di solidità, anche al mondo esterno ma questo non è mai dato
sapere in realtà. L’dea di dimora io la vedo più quasi come qualcosa che
richiama simbolicamente alla relazione, che si crea perché sia solida ma che va
continuamente aggiustata o comunque percepita solida perché lo sia, altrimenti
crolla sotto il suo stesso peso.
F&I – Rischia di
rimanere uno scheletro abbandonato a se stesso, testimonianza di un passaggio,
testimonianza di una relazione come diceva Lavinia, che però si regge sui fili.
ARC – Il vostro ultimo lavoro invece vede di nuovo voi
due protagonisti, siete invecchiati, su un divano e indossate delle maschere
protettive: antigas e a becco di uccello steampunk.
F&I – E’ come chiudere
il cerchio e aprirne un altro. E’ un quadro ironico, un po’ inquietante. Siamo
approdati in questo luogo qui: un divanetto per due. Non è molto diverso dalle
capanne, una struttura minima indispensabile, galleggiante in un vuoto.
Frontale, essenziale.
Link collegati:
Conversazione con Foschini e Iacomelli, 2017
http://www.foschiniiacomelli.it/
Brava articolo interessante e ben scritto e come al solito con empatie senza tralasciare il racconto
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