“Death Of A Disco Dancer” [1]
Death of a Working Hero |
Considerare solo i propri bisogni e quelli di una ristretta comunità è un limite. C'è chi prova a guardare oltre, proprio a partire da ciò che gli è più vicino.Tra le proposte di un’estate londinese ho messo insieme alcune delle cose viste che hanno in comune argomenti profondamente connessi. Prima di tutto il mito della comunità e a seguire, a cascata, la dialettica della separazione, gli archivi, la sorveglianza, l'uso strumentale della tecnologia. Tento di andare oltre gli stereotipi e
l’ovvio, mostro ciò che mi è parso interessante.
Grayson
Perry
artista seducente e ironico in The
Most Popular Art Exhibition Ever! affronta gli stereotipi di genere e la dialettica
della separazione. In due progetti architettonici nati con intenti differenti, invece ritrovo il mito della comunità: da una parte, il
padiglione temporaneo di Francis Kéré, l'architetto a cui è stato affidato quest'anno il diciassettesimo progetto
per la Serpentine Gallery, dall'altra
la Fontana di Diana a Kensington Park, un progetto il design idraulico in memoria di Diana
Spencer. Poi un enorme salto in un’altra realtà: un duro reportage sulla
situazione dei migranti in Libia del fotografo messicano Narciso Contreras, alla Saatchi Gallery e alcune fotografie dell’archivio
dei galeotti russi di Sergei Vasiliev tratto
dalla mostra From Selfie a
Self-Expression, sempre alla Saatchi Gallery. Infine, una splendida mostra Da qui ho visto cosa è
successo e ho pianto dell'artista
americana Carrie Mae Weems, alla
Tate Modern, commovente lavoro sull’uso della fotografia a scopo colonialista e
giustificatorio della schiavitù.
Kensinton Garden. Serpentine Gallery. Grayson Perry, The Most Popular Art Exhibition Ever!
Matching Pair |
Our Mother |
Ad
un anno dal referendum dell'UE, il nuovo lavoro realizzato per la mostra, si
pone l’obbiettivo di catturare i pensieri di un paese diviso. Sfruttando i
social media, Perry ha invitato il pubblico britannico a contribuire a idee,
immagini e frasi per coprire la superficie di due enormi nuovi vasi: uno per i Brexiteer e uno per i Remainers. Ad accogliere i visitatori
all’ingresso è, in oltre, un enorme salvadanaio, (come uno dei tanti box delle
offerte dei musei londinesi) dalla tradizionale forma a maialino, in questo
caso a due teste, una sorridente e l’altra arrabbiata e undici fessure
riconducibili a categorie sociali considerate perdenti o vincenti.
Red Carpet , Arazzo |
Kensinton
Garden non è solo quello che appare. FrancisKéré Serpentine Pavilion 2017
Fuori
dalla galleria c’è il diciassettesimo progetto Serpentine Pavilion, quest’anno
affidato all’architetto del Burkina Faso Francis Kéré, una struttura temporanea
che verrà rimossa alla fine dell’estate. In Burkina Faso l'albero è un luogo
dove le persone si riuniscono, dove le attività quotidiane si svolgono sotto
l'ombra dei suoi rami. Ispirato all'albero che funge da punto di incontro
centrale, concepito come un microcosmo, il padiglione cerca di collegare i suoi
visitatori alla natura: il tetto estensivo è sostenuto da un quadro centrale in
acciaio, imitando quello di un albero, permettendo all'aria di circolare
liberamente mentre offre un rifugio contro la pioggia di Londra e il caldo estivo.
Poco distante, al contrario si può godere dello spazio della Fontana di Diana progettata da
Kathryn
Gustafson e Neil Porter. Una grande architettura ad anello in granito della
Cornovaglia dove scorre acqua limpidissima, circondata da una riva non di
sabbia ma di granito duro, sopra la quale le famiglie si rinfrescano e i
bambini giocano seguendo i differenti andamenti determinati dall'acqua che
scorre dal punto più alto in due direzioni a cascata, trovando turbine e bolle
prima di incontrarsi in un laghetto calmo in basso. Tre ponti permettono di
attraversare l'acqua e andare direttamente nel cuore della fontana, dove
potersi distendere.
Quali
affinità? Più di quanto appaia. Entrambe le strutture architettoniche sono
aperte, inserite nella natura e hanno come missione quella di essere riferimento
della comunità che frequenta il parco.
Saatchi
Gallery, Chelsea. Narciso Contreras Libya: A Human Marketplace
Lontani
dalle utopie di comunità felice di Kensington Garden picchiamo il muso sul reportage
di Narciso Contreras. Realizzato da febbraio a giugno 2016, narra la brutale
realtà del traffico di esseri umani, in un viaggio nella complessa società
tribale della Libia post Gaddafi. Contreras presenta una crisi umanitaria in
atto, in cui i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo sono alla mercé
delle milizie che li sfruttano per guadagno. Trattati in centri di detenzione
per i migranti clandestini, sono sottoposti a condizioni disumane. Contreras
mostra, in una convincente narrazione, come invece di essere un luogo di
transito per i migranti sulla strada verso l'Europa, la Libia sia diventata
effettivamente un mercato di traffico dove le persone vengono acquistate e
vendute quotidianamente. Questa mostra è il 7° Premio del Carmignac
Photojournalism Award, istituito dalla Fondation Carmignac con l'obiettivo di
finanziare e promuovere ogni anno una reportage fotografico investigativo sulla
violazione dei diritti umani.
E poi? Giochiamo nella sala
degli specchi, cerchiamo l’eternità di un momento tra le infinite possibilità
che ci offre la tecnologia. From Selfie a Self-Expression, autorappresentazione
in tutte le sue varianti, dagli autoritratti d’artista in versione digitale in
light box allo stupore infantile della camera degli specchi, alle telecamere di
sorveglianza.
Raphael Lozano - Hemmer e Krzystof Wodiczo, Zoom Pavilion, 2017 |
Raphael Lozano, The Year's Midnigth, 2011 |
Daniel Rozin, Mirror n 12, 2013 |
Come evitare lo "specchio" di Raphael Lozano- Hemmer? E ancora giocare grazie a un software che ti trasforma in un dipinto, di Daniel Rozin. Come non rimanere affascianti dal muro di facce di Christopher Baker, migliaia volti scaricati dalle
bacheche dei social, pubblicate da noi utenti internettiani.
Raphael Lozano Hemmer e Krzystof Wodiczo creano la simulazione di un grande fratello. Giochiamo spiati
da telecamere di sorveglianza che controllano l'intera stanza. Le telecamere catturano la nostra immagine in loop e la proiettano sulle pareti ed il soffitto. Il sistema utilizza algoritmi di riconoscimento facciale per i volti dei visitatori e li ingrandisce di 35 volte.
Vado oltre. Ritrovo altri archivi. Sergei Vasiliev e l’uso
strumentale della fotografia a fini politici e di controllo, e mi appassiono alla
selezione dell’enciclopedia russa del tatuaggio criminale.
Sergei
Vasiliev è nato nel 1937 a Chelyabinsk, in Russia. E’ stato fotografo del giornale
“Vecherny Chelyabinsk”, dove ha lavorato negli ultimi trent'anni. Le foto in mostra sono pubblicate in Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, l’enciclopedia
dei tatuaggi dei galeotti russi, stampata in tre volumi dalla casa editrice
inglese Fuel Design & Publishing,
rispettivamente nel 2003, nel 2006 e nel 2008. I libri, che fanno parte della
collezione permanente del Design Museum di Londra, propongono la collezione di più
di 3000 tatuaggi riprodotti nei disegni di Danzig Baldaev realizzati durante il suo lavoro
come guardia carceraria tra il 1948 e il 1986. Sebbene questo tipo di tatuaggio
fosse illegale - a Baldaev fu inizialmente proibito di continuare- in seguito,
il KGB ha capito che la cosa poteva risultare una risorsa per gli archivi
criminali e ha sostenuto questo progetto documentario.
Le
fotografie di Sergei Vasiliev,
realizzate tra il 1989 e il 1993, rappresentano quindi un importante supporto
ai disegni di Baldaev, che oltre al valore archivistico confermano con evidenza
fotografica la loro autenticità. Lontano dall'essere illustrazioni isolate da
un catalogo di tatuaggi, nelle foto di Vasiliev prevale l’aspetto umano che
pone i volti e i corpi dei proprietari al centro del progetto.
Sergei Vasiliev, Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, stampa no.15, 2010
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Sergei Vasiliev, Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, stampa no.12, 2010 |
E
tra chilometri di mostre ritrovo altri archivi e altre storie come quella di Carrie Mae Weems alla Tate Modern. Da qui
ho visto ciò che è successo e ho pianto. Il lavoro di Carrie Mae Weems è
sia un’accusa dell’uso della fotografia a scopo coloniale, giustificazionista
della schiavitù, sia un omaggio alle persone ritratte. Lo sviluppo più completo
dell’indagine sul razzismo dell’artista americana e sulle sue conseguenze si
compie proprio nel classico Da qui ho
visto ciò che è successo e ho pianto, che fa un'impressione potente ancora
oggi come nel 1995 quando è nato.
La
mostra, all’interno della sezione della Tate Artist and Society, è composta di
33 stampe, tratte da diversi archivi statunitensi creati in un arco di tempo
che va dal 1850 agli anni cinquanta del novecento, gli anni dei diritti civili.
L’archivio principale da cui sono state tratte le immagini risale al 1850 ed è composto
da numerosi dagherrotipi di schiavi africani in South Carolina. I ritratti
furono commissionati dal ricercatore di Harvard Louis Agassiz per dimostrare la
sua teoria secondo cui i neri costituivano una razza separata e inferiore.
La
sequenza inizia e termina con un'immagine della moglie di un capo Mangbetu, nel
Congo belga, catturata negli anni venti dell’ottocento. Il ruolo è quella di testimone
di questa tragica storia.
Sulle
immagini colorate di rosso l’artista ha sovrastampato frasi riferite alle
persone ritratte: alcune sono descrittive tipo “Tipo negroide”, altre si
rivolgono direttamente al soggetto “Sei diventato un profilo scientifico”,
altre sono tenere “Tu sei diventato un sussurro, un simbolo di un viaggio
immenso e dal sudore della tua fronte hai lavorato per te, famiglia e altro”. Affrontando
singolarmente i soggetti delle fotografie, ogni testo incoraggia lo spettatore
a riconoscere in ogni volto un individuo piuttosto che un tipo etnografico o
storico.
(Le mie foto sono piuttosto scadenti. Per avere un'idea della bellezza di quest'opera sarebbe meglio visitare la pagina http://carriemaeweems.net/galleries/from-here.html )
ARC
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