venerdì 15 settembre 2017

Taccuino di Londra. Parte seconda

“Death Of A Disco Dancer” [1]



Death of a Working Hero
 Considerare solo i propri bisogni e quelli di una ristretta comunità è un limite. C'è chi prova a guardare oltre, proprio a partire da ciò che gli è più vicino.Tra le proposte di un’estate londinese ho messo insieme alcune delle cose viste che hanno in comune argomenti profondamente connessi. Prima di tutto il mito della comunità e a seguire, a cascata, la dialettica della separazione, gli archivi, la sorveglianza, l'uso strumentale della tecnologia. Tento di andare oltre gli stereotipi e l’ovvio, mostro ciò che mi è parso interessante.
Grayson Perry artista seducente e ironico in The Most Popular Art Exhibition Ever! affronta gli stereotipi di genere e la dialettica della separazione. In due progetti architettonici nati con intenti differenti, invece ritrovo il mito della comunità: da una parte, il padiglione temporaneo di Francis Kéré, l'architetto a cui è stato affidato quest'anno il diciassettesimo progetto per la Serpentine Gallery, dall'altra la Fontana di Diana a Kensington Park, un progetto il design idraulico in memoria di Diana Spencer. Poi un enorme salto in un’altra realtà: un duro reportage sulla situazione dei migranti in Libia del fotografo messicano Narciso Contreras, alla Saatchi Gallery e alcune fotografie dell’archivio dei galeotti russi di Sergei Vasiliev tratto dalla mostra From Selfie a Self-Expression, sempre alla Saatchi Gallery. Infine, una splendida mostra Da qui ho visto cosa è successo e ho pianto dell'artista americana Carrie Mae Weems, alla Tate Modern, commovente lavoro sull’uso della fotografia a scopo colonialista e giustificatorio della schiavitù.
 
 
 

Long Pig

 
Kensinton Garden. Serpentine Gallery. Grayson Perry, The Most Popular Art Exhibition Ever!
Considerato uno dei più rilevanti artisti inglesi, noto soprattutto per le ceramiche, Grayson Perry ha vinto il prestigioso Turner Prize nel 2013. Interessato al concetto di civiltà, propone attraverso disegni complessi opere realizzate in ceramica, bronzo, stoffe tessute cioè quelli che considera gli elementi fondamentali di ogni cultura materiale, che sia quella contemporanea occidentale o quelle delle antiche civiltà preclassiche.
Matching Pair
Le opere selezionate per The Most Popular Art Exhibition Ever! toccano molti temi cari all'artista come la popolarità e l'arte, che con quelli più personali e biografici come la sua vita da trasvestito, incarnato nel suo alter-ego Claire, si sovrappongono a questioni sociali, gli stereotipi di genere e il contesto culturale attuale, le differenze di classe, la religione. Le tecniche e i materiali tradizionali adottate da Perry sono connesse a pratiche che più di altre si prestano a una collocazione ambigua tra artigianato e arte. Le qualità affascinanti della ceramica ad esempio sono poste al servizio di una critica sociale della società. Perry è interessato a come i materiali e gli oggetti possano acquisire nel tempo un certo peso intellettuale ed emotivo nel quale politica, consumismo, storia e storia dell'arte sono sia nel soggetto che nella materia intimamente connessi. I vasi si mostrano profondamente
Our Mother
seducenti nella loro apparente neutralità decorativa, così nelle ceramiche si stratificano immagini e testi, in maniera molto simile a quelle del muro di una città: molteplici strati di disegni graffitati, testi scritti a mano trasferiti con stencil e fotografie. Gli arazzi, prendendo in prestito una forma d'arte tradizionalmente associata a dimore sontuose per discutere i drammi comuni della vita britannica moderna.
Ad un anno dal referendum dell'UE, il nuovo lavoro realizzato per la mostra, si pone l’obbiettivo di catturare i pensieri di un paese diviso. Sfruttando i social media, Perry ha invitato il pubblico britannico a contribuire a idee, immagini e frasi per coprire la superficie di due enormi nuovi vasi: uno per i Brexiteer e uno per i Remainers. Ad accogliere i visitatori all’ingresso è, in oltre, un enorme salvadanaio, (come uno dei tanti box delle offerte dei musei londinesi) dalla tradizionale forma a maialino, in questo caso a due teste, una sorridente e l’altra arrabbiata e undici fessure riconducibili a categorie sociali considerate perdenti o vincenti.

Reclining Artist

 
Battle of Britain (Arazzo, dettaglio)
 
Red Carpet , Arazzo
 
Red Carpet  (Arazzo, dettaglio)

The Digmoor Tapestry (Arazzo, dettaglio)


Gay Black Cats
 
 
Kensinton Garden non è solo quello che appare. FrancisKéré Serpentine Pavilion 2017
Fuori dalla galleria c’è il diciassettesimo progetto Serpentine Pavilion, quest’anno affidato all’architetto del Burkina Faso Francis Kéré, una struttura temporanea che verrà rimossa alla fine dell’estate. In Burkina Faso l'albero è un luogo dove le persone si riuniscono, dove le attività quotidiane si svolgono sotto l'ombra dei suoi rami. Ispirato all'albero che funge da punto di incontro centrale, concepito come un microcosmo, il padiglione cerca di collegare i suoi visitatori alla natura: il tetto estensivo è sostenuto da un quadro centrale in acciaio, imitando quello di un albero, permettendo all'aria di circolare liberamente mentre offre un rifugio contro la pioggia di Londra e il caldo estivo. Poco distante, al contrario si può godere dello spazio della Fontana di Diana progettata da
Kathryn Gustafson e Neil Porter. Una grande architettura ad anello in granito della Cornovaglia dove scorre acqua limpidissima, circondata da una riva non di sabbia ma di granito duro, sopra la quale le famiglie si rinfrescano e i bambini giocano seguendo i differenti andamenti determinati dall'acqua che scorre dal punto più alto in due direzioni a cascata, trovando turbine e bolle prima di incontrarsi in un laghetto calmo in basso. Tre ponti permettono di attraversare l'acqua e andare direttamente nel cuore della fontana, dove potersi distendere.
Quali affinità? Più di quanto appaia. Entrambe le strutture architettoniche sono aperte, inserite nella natura e hanno come missione quella di essere riferimento della comunità che frequenta il parco.




Saatchi Gallery, Chelsea. Narciso Contreras Libya: A Human Marketplace
Lontani dalle utopie di comunità felice di Kensington Garden picchiamo il muso sul reportage di Narciso Contreras. Realizzato da febbraio a giugno 2016, narra la brutale realtà del traffico di esseri umani, in un viaggio nella complessa società tribale della Libia post Gaddafi. Contreras presenta una crisi umanitaria in atto, in cui i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo sono alla mercé delle milizie che li sfruttano per guadagno. Trattati in centri di detenzione per i migranti clandestini, sono sottoposti a condizioni disumane. Contreras mostra, in una convincente narrazione, come invece di essere un luogo di transito per i migranti sulla strada verso l'Europa, la Libia sia diventata effettivamente un mercato di traffico dove le persone vengono acquistate e vendute quotidianamente. Questa mostra è il 7° Premio del Carmignac Photojournalism Award, istituito dalla Fondation Carmignac con l'obiettivo di finanziare e promuovere ogni anno una reportage fotografico investigativo sulla violazione dei diritti umani.



 


 
E poi? Giochiamo nella sala degli specchi, cerchiamo l’eternità di un momento tra le infinite possibilità che ci offre la tecnologia. From Selfie a Self-Expression, autorappresentazione in tutte le sue varianti, dagli autoritratti d’artista in versione digitale in light box allo stupore infantile della camera degli specchi, alle telecamere di sorveglianza.
 


Raphael Lozano - Hemmer e Krzystof Wodiczo,
Zoom Pavilion, 2017


Raphael Lozano, The Year's Midnigth, 2011
Daniel Rozin, Mirror n 12, 2013
 
 
 
Come evitare lo "specchio" di Raphael Lozano- Hemmer? E ancora giocare grazie a un software che ti trasforma in un dipinto, di Daniel Rozin. Come non rimanere affascianti dal muro di facce di Christopher Baker, migliaia volti scaricati dalle bacheche dei social, pubblicate da noi utenti internettiani.
Raphael Lozano Hemmer e Krzystof Wodiczo creano la simulazione di un grande fratello. Giochiamo spiati da telecamere di sorveglianza che controllano l'intera stanza. Le telecamere catturano la nostra immagine in loop e la proiettano sulle pareti ed il soffitto. Il sistema utilizza algoritmi  di riconoscimento facciale per i volti dei visitatori e li ingrandisce di 35 volte.
Vado oltre. Ritrovo altri archivi. Sergei Vasiliev e l’uso strumentale della fotografia a fini politici e di controllo, e mi appassiono alla selezione dell’enciclopedia russa del tatuaggio criminale.
Sergei Vasiliev è nato nel 1937 a Chelyabinsk, in Russia. E’ stato fotografo del giornale “Vecherny Chelyabinsk”, dove ha lavorato negli ultimi trent'anni. Le foto in mostra sono pubblicate in Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, l’enciclopedia dei tatuaggi dei galeotti russi, stampata in tre volumi dalla casa editrice inglese Fuel Design & Publishing, rispettivamente nel 2003, nel 2006 e nel 2008. I libri, che fanno parte della collezione permanente del Design Museum di Londra, propongono la collezione di più di 3000 tatuaggi riprodotti nei disegni di Danzig Baldaev realizzati durante il suo lavoro come guardia carceraria tra il 1948 e il 1986. Sebbene questo tipo di tatuaggio fosse illegale - a Baldaev fu inizialmente proibito di continuare- in seguito, il KGB ha capito che la cosa poteva risultare una risorsa per gli archivi criminali e ha sostenuto questo progetto documentario.
Le fotografie di Sergei Vasiliev, realizzate tra il 1989 e il 1993, rappresentano quindi un importante supporto ai disegni di Baldaev, che oltre al valore archivistico confermano con evidenza fotografica la loro autenticità. Lontano dall'essere illustrazioni isolate da un catalogo di tatuaggi, nelle foto di Vasiliev prevale l’aspetto umano che pone i volti e i corpi dei proprietari al centro del progetto.


Sergei Vasiliev, Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, stampa no.15, 2010 

Sergei Vasiliev, Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, stampa no.12, 2010
 

E tra chilometri di mostre ritrovo altri archivi e altre storie come quella di Carrie Mae Weems alla Tate Modern. Da qui ho visto ciò che è successo e ho pianto. Il lavoro di Carrie Mae Weems è sia un’accusa dell’uso della fotografia a scopo coloniale, giustificazionista della schiavitù, sia un omaggio alle persone ritratte. Lo sviluppo più completo dell’indagine sul razzismo dell’artista americana e sulle sue conseguenze si compie proprio nel classico Da qui ho visto ciò che è successo e ho pianto, che fa un'impressione potente ancora oggi come nel 1995 quando è nato.
La mostra, all’interno della sezione della Tate Artist and Society, è composta di 33 stampe, tratte da diversi archivi statunitensi creati in un arco di tempo che va dal 1850 agli anni cinquanta del novecento, gli anni dei diritti civili. L’archivio principale da cui sono state tratte le immagini risale al 1850 ed è composto da numerosi dagherrotipi di schiavi africani in South Carolina. I ritratti furono commissionati dal ricercatore di Harvard Louis Agassiz per dimostrare la sua teoria secondo cui i neri costituivano una razza separata e inferiore.
La sequenza inizia e termina con un'immagine della moglie di un capo Mangbetu, nel Congo belga, catturata negli anni venti dell’ottocento. Il ruolo è quella di testimone di questa tragica storia.






Sulle immagini colorate di rosso l’artista ha sovrastampato frasi riferite alle persone ritratte: alcune sono descrittive tipo “Tipo negroide”, altre si rivolgono direttamente al soggetto “Sei diventato un profilo scientifico”, altre sono tenere “Tu sei diventato un sussurro, un simbolo di un viaggio immenso e dal sudore della tua fronte hai lavorato per te, famiglia e altro”. Affrontando singolarmente i soggetti delle fotografie, ogni testo incoraggia lo spettatore a riconoscere in ogni volto un individuo piuttosto che un tipo etnografico o storico.
 
(Le mie foto sono piuttosto scadenti. Per avere un'idea della bellezza di quest'opera sarebbe meglio visitare la pagina http://carriemaeweems.net/galleries/from-here.html )
ARC
Taccuino di Londra
  • "A dreaded sunny day..." Prima Parte


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    [1] The Smith, Stangeways, Here We Come, 1987.

     

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