Silvia
Serenari ha esordito nel 2003 con “Anima Urbis”, un progetto che aveva l'obiettivo di dare un ordine e
una connotazione di ricerca spirituale al caos metropolitano. A partire da uno scatto fotografico, la sua elaborazione digitale, ottiene una nuova visione che assume l'aspetto plastico di una decorazione bidimensionale. Attraverso l'intreccio prima e la rotazione poi, l'obiettivo e trovare nell'ambiente in cui viviamo, anche se il luogo si presenta come anti contemplativo, aggressivo, esteticamente brutto, una dimensione mistica o contemplativa. Questa ricerca spirituale si arricchisce negli anni di nessi simbolici tra le culture, così la cristallizzazione dell'effimero, le contaminazioni divengono in maniera stabile materia della sua indagine. La manifestazione più evidente di questa contaminazione è presente nelle forme e nei simboli universali come la ruota, i labirinti, gli intrecci e nella scelta di un materiale come la ceramica.
Anima Urbis I, 2003 |
A.R.C
Raccontami dei tuoi inizi in campo artistico.
S.S
I
miei primi lavori consistevano nell’avvicinamento ad una ricerca spirituale in
un contesto che spirituale non era: la grande città.
La ricerca è nata proprio con “Anima
Urbis”. In quel lavoro c’era una mia modalità di relazione con la grande città,
dove tutto è caotico e non certo contemplativo. L’obiettivo era dare un ordine
e una connotazione di ricerca spirituale al caos.
Se una persona vuol fare un cammino
spirituale ha alcune opzioni: può richiudersi in sé, oppure rivolgersi alla
natura. In realtà io volevo trovare una mia dimensione spirituale nel contesto
urbano, perché quello era il mio contesto.James Hillman compara la natura -lui usa la parola Dio, ma non credo lo intenda in maniera religiosa- fatta da Dio, alla città fatta dall’uomo. La città è il nostro ambiente, nel quale ogni giorno viviamo. Se dobbiamo trovare una dimensione spirituale o contemplativa è lì che ci dobbiamo muovere. Sulla scia di Hillman ho iniziato questo progetto.
S.S La mia ricerca spirituale è nata a vent’anni. Poi, mi sono iscritta a filosofia, in seguito sono andata ovunque potessi cogliere qualcosa. Sono andata dagli Hare Krishna, ho seguito il Buddismo tibetano ecc., mai con l’intenzione di praticare, ma con un intento intellettuale, emotivo e la curiosità personale. Contemporaneamente lavoravo a miei progetti artistici, ma erano ancora della cose primordiali, delle sperimentazioni.
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Anima Arboris 1, 2006 cm 100x100, stampa lambda su tela |
A.R.C
Quando il personale e l'artistico si uniscono?
S.S Nel
2003, a Roma hanno chiuso la tangenziale est, la sopraelevata.Di solito ci passavo in auto, nel traffico, in quel momento l’ho percorsa a piedi, ed è nato qualcosa. C’era questa strada a metà: non eri per terra, ma neppure sopra ogni cosa, eri a metà strada tra la terra e il cielo. La Tangenziale passa tra la Prenestina e il quartiere San Lorenzo, molto stretta, in mezzo alle case, quasi riuscivi a vedere dentro. Ho scattato una serie di fotografie, che poi unite ad una serie di letture che facevo in quel periodo è nato “Anima Urbis”, cioè la ricerca dell’anima della città. Le due situazioni si sono combinate sulla tangenziale.
A.R.C
Com’è che a partire da foto realistiche il lavoro ha preso forma aniconica?
S.S Avevo
letto Hillman e avevo letto testi sulla rappresentazione del divino nell’arte
islamica, attraverso la complessità dell’intreccio, che di solito è fatto di
elementi floreali, vegetali come manifestazione di perfezione e grandezza del
divino.Nella progettazione di “Anima Urbis” ho fatto questa associazione: natura-intreccio-divino. Per me la natura, quella che stavo cercando di esaminare era la città. Il passaggio è stato lì: cercare quell’intreccio, quel legame divino negli edifici, le strade. Il mio lavoro è partito dalla Tangenziale Est, quindi da quei quartieri che sono un po’ dimenticati, non certo quelli per cui i turisti vengono a vedere Roma. Quei quartieri che diciamo hanno delle ferite, sono caotici, esteticamente brutti.
Il lavoro “Anima Urbis” è partito così, dalla mia vita giornaliera. Del resto la mia vita si svolgeva lì, era quello che vivevo e vedevo ogni giorno, alcuni erano i palazzi che semplicemente vedevo aprendo la finestra e tramite i quali mi sono creata questi intrecci divini, meditativi e sacri.
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Anima Urbis, Iter Perfectionis 2008, still dal video |
A.R.C
Qual è stato il passo successivo?
S.S Il passo
successivo, nel 2004, è stato il video, dove sono riuscita veramente ad unire
la ricerca spirituale alla ricerca estetica, attraverso il movimento, la
dissolvenza e il suono.Ho registrato personalmente il suono del tram che passava sulla Prenestina, l’ho combinato alla musica Sufi, e alla musica sacra in generale, creando così un tappeto sonoro che manifestasse appieno il concetto che in quel momento volevo esprimere.
In questo video l’aspetto emotivo prevale sulla ricerca iniziatica, sullo studio dei simboli, che caratterizzerà i lavori successivi.
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Anima Urbis II, 2005 |
A.R.C
La tua ricerca del sacro nel caos della metropoli si conclude sulla Prenestina
o hai lavorato in altre aree della città?
S.S No, non
si è concluso lì, perché il passo successivo è stato Parigi. L’occasione è nata
nel 2005 con il progetto “Download.Fr/It” una mostra collettiva, a cura
di Blackout, Phlegmatics e il periodico DROME magazine, allestita simultaneamente
a Roma e Parigi, inserita nell’intervallo temporale tra le notti bianche delle
due città. Dopo “Anima Urbis I” Roma nasce “Anima Urbis II” Parigi.Vado a Parigi per realizzare qualche scatto, per ritrovare lo spirito urbano da cui partire. Mi sono trovata in un posto completamente diverso. Mentre a Roma il mio quartiere era molto colorato, mi sono trovata cieli nuvolosi. Sul momento ho fatto una serie di scatti, in seguito ho realizzato questo video, che in realtà mi ha permesso di cogliere la differenza tra le due città. In questo video il cielo di Parigi è molto presente, è tutto molto etereo. Mentre Roma era il mio habitat, lì ero passeggera.
A.R.C
Com’è che hai deciso di passare dalla struttura urbana della città, all’architettura
di un singolo edificio come il Duomo di Firenze, un edificio sacro. Come è nato
“Anima Urbis Iter, Perfectionis I”?
S.S Ho
voluto fare un discorso di comparazione tra Oriente e Occidente: partire da un
luogo di culto occidentale e trovare delle vie di comunione con i simboli, con
qualcosa che non era occidentale. In quel periodo la mia ricerca filosofica
seguiva i percorsi da cui emergevano gli stessi simboli, le contaminazioni da
una cultura ad un'altra.![]() |
Anima Urbis 22, 2005, cm45x45 fotoceramica allestimento |
A.R.C
Come hai scelto Santa Maria del Fiore? E’ stata una scelta legata al fatto che
sei toscana o ci sono altri motivi?
S.S
Mi
piaceva. Son partita da Santa Maria del Fiore perché è la rappresentazione
concreta della manifestazione. Santa Maria del Fiore è stata chiamata così
perché il giglio è il simbolo di Firenze e comunque il giglio, come il loto, è
considerato uno dei fiori centrati, in cui è presente “lo sviluppo della
manifestazione”, cioè parte da un centro e si irradia.“Anima Urbis, Iter Perfectionis” è un cammino di perfezione che dalla manifestazione volge alla ricerca del principio creatore. Attraverso i simboli che sono associati a questo fiore si apre un sentiero di ricerca del divino comune a culture apparentemente diverse. Il giglio, il suo sbocciare rappresenta “lo sviluppo della manifestazione” per questo motivo viene associato alla ruota; la rotazione è la figura del continuo mutamento, movimento nel quale c’è solo un punto fisso e immutabile. Con le fotoceramiche e, soprattutto, con il video ho realizzato l’incarnazione di questo principio.
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Anima Urbis 19 - 24- 26. 2006. fotoceramica 24,5x24,5 cad |
A.R.C
E’ soprattutto nel video che riesci a creare una immagine sintetica come un mandala
che alla fine si manifesta come un rosone.
S.S
C’è
un legame. Come scrisse Valentina Corrier per Exitbart, queste rotazioni
ricordano anche i rosoni delle cattedrali. La ruota è il continuo mutamento,
l’immagine dell’eternità.![]() |
Anima Urbis, Iter Perfectionis II, 2012 cm 20x20 fotoceramica |
A.R.C
Sono simbolicamente il punto d’arrivo, a conclusione del viaggio iniziatico,
come il labirinti sono il percorso…
S.S Hai
fatto bene a ricordarlo perché è il percorso che volevo rendere concreto. Questo
lavoro si chiama “Anima Urbis” perché c’è sempre l’anima della città, ma è
anche “Iter Perfectionis” che è legato al concetto di cammino di perfezione che
appartiene anche al labirinto. Iter
perfectionis era il percorso per raggiungere il sacro. Il percorso che dalla
manifestazione volge al principio creatore, sia a livello simbolico, sia come
fonte di ispirazione. E’ l’uomo che ha costruito tutto.
A.R.C
Nei video la scelta musicale è ben precisa, in “Anima Urbis” hai unito la
musica Sufi con i rumori del traffico, in “Anima Urbis Iter Perfectionis I” su
cosa ricade la tua scelta musicale?
S.S Nelle
rotazioni sempre la musica Sufi, poi ci sono dei riferimenti a Hildegard von
Bingen che per me è stata di ispirazione. Lei è vissuta in Germania agli inizi
del XII secolo. Ho avuto occasione di scoprirla a vent’anni. Allora non era
facile trovare materiale, oggi se ne parla un po’ di più.![]() |
Anima Arboris 1, 2006 cm 20x20, cad. fotoceramica |
A.R.C Nel 2008, ritornando a Roma, ha realizzato “Anima Urbis Iter perfectionis II”.
S.S Sì, ma c’è stata una parentesi nel 2006 con “Anima Arboris”.
Un’amica aveva nel suo giardino un albero destinato a morire, aveva una malattia alle foglie. Mi ha chiesto se potevo fare un lavoro. In quel momento ho aperto questa parentesi.
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Anima Maris. Mater Universi, allestimento |
A.R.C
Quando hai usato per la prima volta la fotoceramica?
S.S
Per
il lavoro sul Duomo di Firenze. Mi interessava il rapporto di vicinanza ai
materiali usati per la decorazione sacra anche in Oriente e Medioriente. Poi mi sono
innamorata del materiale e ho proseguito ad usarlo. E’ una tecnica che mi
permette l’unione di antico, artigianale e digitale. Le ceramiche hanno una
fisicità molto interessante. Nella serie degli errori li ho già fatti diventare
dei reperti archeologici.![]() |
Anima Urbis, Iter Perfectionis II 2008 23,8 x 23, 8 cm cad. fotoceramica, allestimento |
A.R.C
Dopo il Duomo di Firenze è stato il turno di San Pietro. Raccontami.
S.S Inizialmente
è nato perché durante la mostra del Duomo di Firenze una persona che faceva da
tramite tra collezionisti e artisti mi contattò. Dei collezionisti volevano un
lavoro site specific legato a Roma, nello specifico la Cupola di San Pietro. Il
progetto iniziò così. Poi, non è andato in porto, ma il lavoro nel frattempo
prese forma “Anima Urbis Iter Perfectionis II”. In realtà dopo Firenze, il passo successivo sarebbe comunque stato
Roma. Lei mi ha semplicemente anticipato. Le cose poi presero un’altra
direzione, venne selezionato per il Premio Terna.Andai con Dora Diamanti, la mia gallerista di allora, alla ricerca di un buon punto di vista per le foto, facemmo il giro dei terrazzi alla ricerca di un’angolazione giusta, poi in realtà, la foto che usai è la più classica. Qui cercai il minimale già in partenza, partii subito con il bianco e nero, lo ripulii da ogni eccesso cromatico che al contrario nel Duomo di Firenze è dominante.
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Iter Mysticum 37, 2015, 55 x 55 cm stampa digitale su pvc su forex + stampa digitale su pvc su plexiglass trasparente |
A.R.C
Nel 2010 sei tornata a vivere a Livorno. Hai trovato una “Anima Urbis” a
Livorno?
S.S
Nel
2011 feci una mostra, qui a Livorno, nella Cripta della chiesa di Santa
Caterina. Vennero a vederla i coniugi Peccolo. Io non li conoscevo di persona. Chiacchierammo,
gli chiesi se erano interessati d’arte, insomma venne fuori che erano quelli
della galleria Peccolo. E lui mi disse: <<E adesso che sei a Livorno,
cosa farai?>> Non so se me lo disse come battuta oppure seriamente. Però,
dopo quell’incontro, dopo aver fatto i lavori sulla luce, sui capelli, la mia
Anima Urbis di Livorno è stata il mare. L’ho visto un po’ come il ritorno alle
origini. Nell’estate del 2012 ho fatto 5.000 scatti sul mare nel tentativo di
fermare lo scintillio che si forma tra la superficie dell’onda e i raggi del
sole. Due anni dopo ho usato questi scatti per creare “Anima Maris. Mater Universi”
in occasione dell’uscita di “OR NOT 8”, una rivista monografica a me dedicata edita
da Arsprima e presentata, insieme alla mostra, in occasione del MIA fair Milano
del 2014. E’ stata una coincidenza piacevole che il numero a me dedicato, il
numero 8 (rovesciato), è simbolo dell’infinito.
A.R.C
Con Peccolo hai avuto occasione di collaborare professionalmente?
S.S
Nel
2013 sono stata coinvolta nel progetto dedicato alle donne “Donne sull’orlo…”
che prevedeva cinque eventi in una settimana, uno al giorno, nel quale ho
esposto “Anima Urbis, Iter Perfectionis” a cui ha fatto seguito una grande
collettiva, “Puri segni”, nel 2014.![]() |
Iter Mysticum, 26- 34, 2015, 55 x 55 cm stampa digitale su pvc su forex + stampa digitale su pvc su plexiglass trasparente, allestimento. |
A.R.C
Ultimamente, per “Iter Mysticum” stai utilizzando il
plexiglass al fine di ottenere un effetto tridimensionale. Come è nata questa
esigenza?
S.S
Rispetto
agli altri lavori, in questi analizzo l’iter mysticum che si manifesta
attraverso una rivelazione esterna. Di solito il mistico sente la voce,
interpreta un richiamo dall’esterno, a differenza di un altro percorso
spirituale dove c’è l’io che parte e fa un cammino –come nei lavori precedenti-
volevo che si percepisse la tridimensionalità della cosa.L’oggetto non è più uno spazio urbano, un’architettura. Sono partita da uno scatto sbagliato, uno scatto fatto a Parigi, alla Défense, quando cercavo l’Anima Urbis parigina: una folata di vento aveva portato davanti all’obiettivo una ciocca dei miei capelli. In questo lavoro uso quella ciocca. E’ rimasta custodita per diversi anni. Nel 2010 ripresi il lavoro e lo esposi per la prima volta nella mostra “L’artista come Rishi” 2011, ovvero l’artista come veggente, a cura di Lory Adragna e Mary Angela Schroth.
A.R.C
Qual è il progetto a cui stai lavorando ora?
S.S
Sto
lavorando ad una serie nuova di “Iter Mysticum”, realizzati sempre su
plexiglas, in formato più grande. A ottobre sono stati esposti ad Art Verona, con
la Galleria E3 Arte Contemporanea di Brescia, con la quale da un anno collaboro
stabilmente.
A.R.C
In sintesi come puoi definire il tuo lavoro?
S.S
L’obiettivo
finale del mio lavoro è cristallizzare l’effimero. Realizzo su materiale come
la ceramica, la più durevole dei manufatti umani. Fin ora ho cercato di fissare
l’evanescente, il volatile. “Coagula ciò che è volatile e dissolvi ciò che è
stabile”, sono ancora in questa fase qua. Ultimamente ho cercato di fissare il
vento, che neanche si vede.
A.R.C
Lavori per il futuro?
S.S. Il
prossimo lavoro è ancora sfumato nella nebbia del futuro.
A.R.C
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