giovedì 14 maggio 2015

Conversazione con Sabrina Muzi/ Artista. Oriente e Occidente, sacro e profano

Seconda parte



Questa seconda parte della nostra conversazione riguarda alcuni progetti di residenza in Cina e Sud Est Asiatico. 
Il primo incontro con la Cina  risale al 1992 in occasione di una delle prime mostre di artisti occidentali dopo l'apertura di Deng Xiao Ping. 
Nel 2007 segue l'invito ad un  programma internazionale di residenza “IASK-Changdong Art Studio” del Museo d’Arte Contemporanea di Seoul, nel 2010 una residenza al “943 Studio Residency Program” a Kunming, Yunnan, Cina e nel 2013 è stata scelta per la Fellowship Taipei Art Residency, a Taiwan. 
Gli aspetti di sacro e profano, le allusioni a simbologie più proprie dell’Occidente, la vita sociale, le cerimonie si mescolano in progetti la cui lettura si fa sempre più complessa e stratificata.





Ceremony, installazione, funghi Mu -Err, 2013
A.R.C. Hai avuto la possibilità di cogliere aspetti molto diversi dell’Oriente. Raccontami un po’ di queste residenze.
S.M. Sono state sempre belle esperienze, di vita oltre che per la mia ricerca. Si conoscono artisti di altre parti del mondo, e vedi anche un po’ come funzionano le cose. Per esempio gli artisti stranieri si muovono molto più di noi, che invece siamo più stanziali. Il fatto è che spesso riescono a ricevere finanziamenti per viaggiare, mentre qui non c’è questa possibilità, se non in rarissime eccezioni, questo rende tutto più problematico perché si hanno poche possibilità di confrontarsi con il resto del mondo. Ti racconto dell’ultima residenza a Taipei. Taiwan è molto particolare, anche rispetto alla Cina. Una parte della popolazione vorrebbe tornare con la Cina, che è una grande potenza economica e a loro conviene, però hanno molto della cultura occidentale. Questo l’ho trovato molto interessante, ti sentivi in Oriente ma anche un po’ a casa tua. La cosa che mi ha affascinato, che affascina gli stranieri in generale, delle città orientali sono i mercati, alcuni aperti fino ad ore molto tarde. Percepisci la globalizzazione del mercato, ma puoi trovare anche tutto ciò che è locale.

A.R.C. Mi pare di capire che questa a Taiwan, tra le esperienze in Oriente, è quella che ti ha intrigato di più. Come è nata?
Ceremony, installazione, noodles, 2013
S.M. Ho fatto un’ application e si doveva mandare un progetto.
Avevo da un po’ l’idea di fare un lavoro sui mercati, dove trovi di tutto. Taiwan è una piccola isola, quella che conosciamo come Formosa, ma ha una storia passata densa di occupazioni, occidentali e orientali, portoghesi, olandesi, cinesi, giapponesi.
La cultura principale è cinese, ma c’è anche quella originale taiwanese, in alcune parti dell’isola ci sono gli aborigeni, poi c’è l’influenza giapponese, e anche americana. 
Quindi una cultura composita che rende Taipei, la capitale, una città moderna e molto viva. Qui ci sono molti mercati chiamati Night & Day Market, quindi diurni e notturni, e sono sparsi in varie zone della città. 
Pieni di gente, sempre. Tu hai la piantina con tutti questi mercati, una sera vai da una parte, una sera vai dall’altra. Me li sono girati un po’ tutti. C’è di tutto, dal cibo locale ai vestiti, ai giochini elettronici, alle musiche buddiste. La cosa interessante e che in ogni mercato c’è un tempio buddista, fisso perché già c’era o allestito per l’occasione. Senti le voci dei venditori mischiate alle musiche dei giochini elettronici, alle suonerie dei cellulari ai canti provenienti dal tempio, un vero caos. E non è solo uditivo ma anche visivo. A fianco ai pezzi di carne appesa e ai fumi dei cibi, magari ci trovi i vestiti appesi, oppure le cose che vendono come offerta al tempio, e così via. Ho quindi fatto questo progetto che si chiama Ceremony.

A.R.C. Un progetto sul mercato. Raccontami.

Ceremony, installazione, castagne d'acqua, 2013
S.M. Ceremony ha a che fare con questa mescolanza orientale, del sacro e profano insieme. La gente che mangia, il tempio, le musiche sacre registrate, i videogiochi.
Ho messo insieme vari materiali provenienti dal mercato. L’idea di tutta la mostra era quella di rendere qualcosa di festoso, la cerimonia e la festa del mercato, l’aspetto pagano unito all’ idea di cerimonia religiosa. Ho realizzato cinque installazioni, una grande e le altre più piccole. L’installazione principale era alta quattro metri, realizzata con noodles, chiamiamoli spaghetti cinesi/taiwanesi, che mi sono fatta fare appositamente di quella lunghezza. A parte, di questi ho poi fatto dei nodi, quelli tipici cinesi, che sono molti belli, hanno significati scaramantici e spirituali. Il risultato una pioggia di spaghetti. Poi ho realizzato una collana con le castagne d’acqua, che hanno una forma incredibile simile alla testa di un toro, un immagine simbolica molto forte. La collana era appesa al muro, mentre a terra c’erano due isolette di funghi, “orecchie di Giuda” in lingua cinese funghi Mu-Err. Erano installazioni sonore. Sotto questi tappeti di funghi ho messo dei mini altoparlanti, che diffondevano un montaggio mixato e alternato di voci e suoni del mercato e altri che ho registrato alle quattro del mattino durante una cerimonia buddista. Infine in alto un’installazione appesa realizzata con vestiti annodati tra loro. Più che oggetti inanimati come gli abiti ricordavano forme organiche, un po’ come le carni del mercato. L’ultima installazione è una catena realizzata con semi di fiori di loto.

Ceremony, installazione, abiti, 2013
A.R.C. Hai  portato avanti quelle che sono le tue tematiche principali. Forse un aspetto nuovo, che è tipico del mercato, è il rapporto con l’altro, nella confusione dei luoghi densamente popolati.
S.M. Sì, il rapporto con l’altro in questi luoghi è moltiplicato e si confonde in un tutt’uno. Ma ho concentrato anche l’attenzione sulla simbologia. Ad esempio i funghi Mu-Err hanno questa strana forma che ricorda delle orecchie, le castagne d’acqua una protome taurina e infine i fiori di loto una esplicita simbologia buddista. Tutti questi elementi sono comunque commestibili, anche il fiore di loto, lo usano da mettere nelle zuppe.



Let me dance, foto, 32x23 cm, 2010
A.R.C. In cosa si è concretizzata la residenza nello Yunnan? E’ stata altrettanto coinvolgente?
S.M. Ho realizzato delle fotografie, una serie di tronchi d’albero legati con corda di bambù, che sembrano muoversi a ritmo di danza. Il titolo è Let me dance. A Kunming si vedevano spesso strade con queste file di alberi e anche nel viale dove svolgevo la residenza, alberi che ad una certa altezza avevano avvolta nel tronco una corda di bambù. Ho chiesto di che cosa si trattava, mi hanno detto che è una manutenzione che fa il comune per proteggere la pianta dagli animali, o per indirizzare la crescita. Visivamente mi piacevano molto perché ricordavano dei corpi.

A.R.C. Questo aspetto della protezione è un concetto che si ritrova spesso nel tuo lavoro.
Let me dance, serie 13 foto, 32x23 cm, 2010
S.M. Sì, è vero e infatti mi ha colpito e così li ho fotografati. Alcuni avevano anche del cellofan, sembravano delle vestizioni tribali. Da quel lavoro ne è poi nato un altro, il video Inward  in cui una forma abbastanza grande, tonda e morbida muovendosi in uno spazio si modifica come fosse viva. Ho realizzato una struttura resa morbida all’interno con del cotone e rivestita con gli elementi che avevo visto negli alberi, cellofan e corda di bambù. Durante il video ad un certo punto dall’ interno escono dei vegetali, come una germinazione. Una specie di bozzolo, una forma organica che poi cresce. Nei tronchi avevo letto un’idea di protezione e costrizione che ho riportato anche nel video, ma aggiungendo un elemento liberatorio. 

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