Questa seconda parte della nostra conversazione riguarda alcuni progetti di residenza in Cina e Sud Est Asiatico.
Il primo incontro con la Cina risale al 1992 in occasione di una delle prime mostre di artisti occidentali dopo l'apertura di Deng Xiao Ping.
Nel 2007 segue l'invito ad un programma internazionale di residenza “IASK-Changdong Art Studio” del Museo d’Arte Contemporanea di Seoul, nel 2010 una residenza al “943 Studio Residency Program” a Kunming, Yunnan, Cina e nel 2013 è stata scelta per la Fellowship Taipei Art Residency, a Taiwan.
Gli aspetti di sacro e profano, le allusioni a simbologie più proprie dell’Occidente, la vita sociale, le cerimonie si mescolano in progetti la cui lettura si fa sempre più complessa e stratificata.
Nel 2007 segue l'invito ad un programma internazionale di residenza “IASK-Changdong Art Studio” del Museo d’Arte Contemporanea di Seoul, nel 2010 una residenza al “943 Studio Residency Program” a Kunming, Yunnan, Cina e nel 2013 è stata scelta per la Fellowship Taipei Art Residency, a Taiwan.
Gli aspetti di sacro e profano, le allusioni a simbologie più proprie dell’Occidente, la vita sociale, le cerimonie si mescolano in progetti la cui lettura si fa sempre più complessa e stratificata.
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Ceremony, installazione, funghi Mu -Err, 2013 |
S.M. Sono state sempre belle esperienze, di vita oltre che per la mia
ricerca. Si conoscono artisti di altre parti del mondo, e vedi anche un po’
come funzionano le cose. Per esempio gli
artisti stranieri si muovono molto più di noi, che invece siamo più stanziali. Il
fatto è che spesso riescono a ricevere finanziamenti per viaggiare, mentre qui
non c’è questa possibilità, se non in rarissime eccezioni, questo rende tutto
più problematico perché si hanno poche possibilità di confrontarsi con il resto
del mondo. Ti racconto dell’ultima
residenza a Taipei. Taiwan è molto particolare, anche rispetto alla Cina. Una
parte della popolazione vorrebbe tornare con la Cina, che è una grande potenza
economica e a loro conviene, però hanno molto della cultura occidentale. Questo
l’ho trovato molto interessante, ti sentivi in Oriente ma anche un po’ a casa
tua. La cosa che mi ha affascinato, che affascina gli stranieri in generale,
delle città orientali sono i mercati, alcuni aperti fino ad ore molto tarde.
Percepisci la globalizzazione del mercato, ma puoi trovare anche tutto ciò che
è locale.
A.R.C. Mi pare di capire che questa a Taiwan, tra le esperienze in Oriente, è quella che ti ha intrigato di più. Come è nata?
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Ceremony, installazione, noodles, 2013 |
S.M. Ho fatto un’ application e si doveva mandare un progetto.
Avevo da un
po’ l’idea di fare un lavoro sui mercati, dove trovi di tutto. Taiwan è una
piccola isola, quella che conosciamo come Formosa, ma ha una storia passata
densa di occupazioni, occidentali e orientali, portoghesi, olandesi, cinesi,
giapponesi.
La
cultura principale è cinese, ma c’è anche quella originale taiwanese, in alcune
parti dell’isola ci sono gli aborigeni, poi c’è l’influenza giapponese, e anche
americana.
Quindi una cultura composita che rende Taipei, la capitale, una
città moderna e molto viva. Qui ci sono molti mercati chiamati Night & Day Market,
quindi diurni e notturni, e sono sparsi in varie zone della città.
Pieni di
gente, sempre. Tu hai la piantina con tutti questi mercati, una sera vai da una
parte, una sera vai dall’altra. Me li sono girati un po’ tutti. C’è di tutto,
dal cibo locale ai vestiti, ai giochini elettronici, alle musiche buddiste. La
cosa interessante e che in ogni mercato c’è un tempio buddista, fisso perché
già c’era o allestito per l’occasione. Senti le voci dei venditori mischiate
alle musiche dei giochini elettronici, alle suonerie dei cellulari ai canti
provenienti dal tempio, un vero caos. E non è solo uditivo ma anche visivo. A
fianco ai pezzi di carne appesa e ai fumi dei cibi, magari ci trovi i vestiti
appesi, oppure le cose che vendono come offerta al tempio, e così via. Ho
quindi fatto questo progetto che si chiama Ceremony.
A.R.C. Un progetto sul mercato. Raccontami.
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Ceremony, installazione, castagne d'acqua, 2013 |
S.M. Ceremony ha a che fare con
questa mescolanza orientale, del sacro e profano insieme. La gente che mangia,
il tempio, le musiche sacre registrate, i videogiochi.
Ho messo
insieme vari materiali provenienti dal mercato. L’idea di tutta la mostra era
quella di rendere qualcosa di festoso, la cerimonia e la festa del mercato,
l’aspetto pagano unito all’ idea di cerimonia religiosa. Ho realizzato cinque
installazioni, una grande e le altre più piccole. L’installazione principale era
alta quattro metri, realizzata con noodles, chiamiamoli spaghetti
cinesi/taiwanesi, che mi sono fatta fare appositamente di quella lunghezza. A
parte, di questi ho poi fatto dei nodi, quelli tipici cinesi, che sono molti
belli, hanno significati scaramantici e spirituali. Il risultato una pioggia di
spaghetti. Poi ho realizzato una collana con le castagne d’acqua, che hanno una
forma incredibile simile alla testa di un toro, un immagine simbolica molto
forte. La collana era appesa al muro, mentre a terra c’erano due isolette di
funghi, “orecchie di Giuda” in lingua cinese funghi Mu-Err. Erano installazioni
sonore. Sotto questi tappeti di funghi ho messo dei mini altoparlanti, che
diffondevano un montaggio mixato e alternato di voci e suoni del mercato e
altri che ho registrato alle quattro del mattino durante una cerimonia
buddista. Infine in alto un’installazione appesa realizzata con vestiti
annodati tra loro. Più che oggetti inanimati come gli abiti ricordavano forme
organiche, un po’ come le carni del mercato. L’ultima installazione è una
catena realizzata con semi di fiori di loto.
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Ceremony, installazione, abiti, 2013 |
S.M.
Sì, il rapporto con l’altro in questi luoghi è moltiplicato e si confonde in un
tutt’uno. Ma ho concentrato anche l’attenzione sulla simbologia. Ad esempio i
funghi Mu-Err hanno questa strana forma che ricorda delle orecchie, le castagne
d’acqua una protome taurina e infine i fiori di loto una esplicita simbologia
buddista. Tutti questi elementi sono comunque commestibili, anche il fiore di
loto, lo usano da mettere nelle zuppe.
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Let me dance, foto, 32x23 cm, 2010 |
S.M.
Ho realizzato delle fotografie, una serie di tronchi d’albero legati con corda
di bambù, che sembrano muoversi a ritmo di danza. Il titolo è Let me dance. A Kunming si vedevano
spesso strade con queste file di alberi e anche nel viale dove svolgevo la
residenza, alberi che ad una certa altezza avevano avvolta nel tronco una corda
di bambù. Ho chiesto di che cosa si trattava, mi hanno detto che è una
manutenzione che fa il comune per proteggere la pianta dagli animali, o per
indirizzare la crescita. Visivamente mi piacevano molto perché ricordavano dei
corpi.
A.R.C.
Questo aspetto della protezione è un concetto che si ritrova spesso nel tuo
lavoro.
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Let me dance, serie 13 foto, 32x23 cm, 2010 |
S.M.
Sì, è vero e infatti mi ha colpito e così li ho fotografati. Alcuni avevano
anche del cellofan, sembravano delle vestizioni tribali. Da quel lavoro ne è
poi nato un altro, il video Inward in
cui una forma abbastanza grande, tonda e morbida muovendosi in uno spazio si
modifica come fosse viva. Ho realizzato una struttura resa morbida all’interno
con del cotone e rivestita con gli elementi che avevo visto negli alberi,
cellofan e corda di bambù. Durante il video ad un certo punto dall’ interno
escono dei vegetali, come una germinazione. Una specie di bozzolo, una forma
organica che poi cresce. Nei tronchi avevo letto un’idea di protezione e
costrizione che ho riportato anche nel video, ma aggiungendo un elemento
liberatorio.
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