sabato 7 settembre 2024

Conversazione con Raffaele Di Vaia

 

Disegni, 2011,
grafite su carta Canson, 80x50 cm
 

Prato. Torrida domenica di luglio, solo un venticello caldo ci consola. Ci vediamo in studio.

Questa conversazione con Raffaele Di Vaia è in realtà uno degli incontri preliminari alla mostra che faremo a settembre. Rivediamo lavori, abbozziamo scelte.
Per Raffaele le mostre da preparare saranno due, differenti eppure connesse. A distanza di una settimana dalla mostra di Livorno, in coppia con Marco Acquafredda, presenterà a Casole d’Elsa Timeless, progetto il cui primo segmento si è svolto nel marzo scorso, proprio in coincidenza con La casa del custode, restituzione della residenza al Cassero della fortezza di Poggio Imperiale, a Poggibonsi.
Stiamo ancora elaborando, benché il concept è chiaro. Io non sono qui, potrebbe essere il titolo. Il tempo, lo spazio; l’assenza di tempo, l’assenza di spazio.
Nonostante il carattere per niente tetro, anzi accogliente e disponibile, Raffaele è capace di condurci in angoli bui, dove generalmente saremo riluttanti a entrare. Il mondo bidimensionale del disegno è per lui la pratica per comprendere il mondo: costruire doppi ingannevoli, labirinti, mappa cieche, indicazioni paradossali, appropriazione di frammenti mondo che provocano inquietudine. Opere come Usci e Disegni generano spazi liminali verso un altrove immaginario e inconscio. In questo mondo flat realizzato a grafite su carta e niente più, oggetti banali del nostro quotidiano lasciano il posto ad un loro simulacro cieco. Utilizzando una tecnica semplicissima come il frottage sin appropria di oggetti soglia come porte e specchi, annulla la rappresentazione grafica di un’area delimitata dello spazio, aggrega in un unico punto spaziale tutto il tempo della memoria negando la chiarezza del suo svolgimento secondo la sua convenzione passato-presente-futuro. Un mondo bidimensionale, claustrofobico da cui la fuga è difficile, spesso è solo immaginata. Guardare dall’interno verso l’esterno, stare sulle soglie, sollevare lo sguardo verso le stelle. Assenza di tempo e spazio o un punto di grafite che addensa tutti i tempi e tutti gli spazi.

 

ARC – Ti dispiace se registro? Vorrei pubblicare questo incontro sul blog. Una sorta di testimonianza del lavoro in progress.

RDV – Sì certamente.

Prima volevo dirti una cosa, che forse potrebbe essere utile. In realtà, in contemporanea con la mostra di Livorno, farò una mostra con Marco Acquafredda, a Casole d’Elsa. Sarà la settimana successiva, il 21 settembre. Il progetto si chiama Timeless, ha come idea di fondo la mancanza di tempo. Il progetto ha varie tappe, questa sarebbe la seconda.

Sul concetto di tempo io ci lavoro in qualche maniera da tanto. Pensavo ad una connessione tra i due progetti.
Per lo Studio Elisi pensavo di portare un lavoro sulle mappe, che hai visto alla Fortezza di Poggibonsi per “La casa del custode”. Un tarlo che ho fisso è una frase, un titolo “Io non sono qui”. Che poi non so se potrebbe essere il titolo della mostra, il titolo del lavoro. Non so, sono ancora in una situazione aperta.

ARC – Interessante. Mi piace “Io non sono qui”. Teniamolo presente.

RDV – Gioca un po’ sull’idea di <<tu sei qui>> delle mappe. Dal momento che dico <<io non sono qui>> si crea un paradosso. Di solito qui è dove ti trovi. L’essere in un posto è legato comunque al tempo. Io sono qui in questo momento, nel presente, nel momento in cui parlo, un momento prima e un momento dopo, non necessariamente ci sono. E’ un gioco a bloccare il tempo. Per quanto dico sono qui, lo sono in quel momento e già non ci sono subito dopo. Mi piaceva giocare su quest’aspetto e lavorare su una sequenza di mappe.


Passaggi, 2024,disegno a grate acquerellabile, 
 su carta cotone Fabriano piegata,
assemblaggio di mine di grate HB e
manina sinistra in legno dipinta
ad acquarello 50x40x10 cm


ARC – Il lavoro delle mappe è molto interessante, a “La Casa del custode” creavi un tunnel spazio-temporale, una connessione con una storia del luogo, le stelle, la tua infanzia.

RDV - Sull’idea di mappa ci lavoro da tanto tempo. Pensavo di riprendere un lavoro che ho portato avanti per il Drowing Center di Parigi (N.d.R. una residenza artistica dedicata al disegno) un concorso, che non andò in porto. In quel caso era legato alle mappe di Parigi. Il lavoro in qualche modo è rimasto sospeso e l’ho tirato fuori con “La casa del custode”.

ARC – A Poggibonsi le mappe erano state piegate, bucate con una mina di grafite che fungeva da tunnel spazio-temporale e univa due punti diversi nello spazio-tempo, il tunnel veniva indicato da una manina, (N.d.R. la manina mi ricorda tanto quella di Duchamp, in Tu m’ 1918). Un tunnel tra fantasia e realtà, gioco e memoria. Uno Wormhole.

RDV – In questo caso, vorrei usare però delle mappe esistenti. Invece che andare ad indicare, coprirei completamente con la grafite eccetto un unico punto. Ogni volta un punto diverso. Tante mappe, ognuna con un punto diverso: <<Io non sono qui>>. Coprire la mappa è come dire che io copro tutti i punti nei quali mi muovo, copro completamente tutti i punti in cui passo eccetto uno, dove non sono.


La casa del custode, costrutto, stanza 1


ARC – Indichi l’unico punto nel quale non sei. Non è neppure più riconoscibile la mappa. Mi pare un bel legame con Timeless. Lo spazio che hai occupato è stato completamente cancellato; cancellato anche il tempo che hai impiegato per percorrere le strade. La mappa non definisce più alcun luogo.

RDV – Esatto. Rimane questa carta di cui non percepisci più niente. Questo dovrebbe essere in qualche modo la base su cui vorrei lavorare.

ARC – Negazione di spazio e tempo. L’idea mi piace.

RDV – Le mappe che ho fatto a Poggibonsi, erano piegate, non le potevi vedere. Qui è la stessa cosa. Non le piego ma copro con la grafite.

ARC – Riunisci quelli che sono i paradigmi di tutto il tuo lavoro, il disegno, la grafite, l’occultamento, la dissimulazione …

RDV – Coprire completamente come in questi lavori (N.d.R. alla parete mi indica alcune opere su carta), da cui nasce il lavoro delle mine di grafite su muro. In certi casi c’è soltanto un punto, poi c’è un’ombra, poi se c’è una luce diretta si crea una seconda ombra.

ARC - Continua a venirmi in mente “Tu m’” di Duchamp e “Man” di Man Ray, l’ombra prende la funzione dell’oggetto, si sostituisce ad esso. L’apoteosi del simulacro. Ma non complichiamoci le cose.

RDV – No, non complichiamo. Questi sono degli specchi, (N.d.R. mi indica un opera appesa alla parete di fronte: “Disegni” 2011) sono dei frottage di specchi. Il frottage riprende la forma, l’oggetto. In questo caso c’è un ulteriore passaggio, oltre a riprendere la forma dello specchio, dato dalla tridimensionalità, c’è la grafite che sulla carta nera riflette la luce. Sulla rappresentazione dello specchio, torna l’effetto specchio. E’ una rappresentazione in scala 1:1 perché c’è questa tridimensionalità e questo copiare. E’ un disegno, ma in quanto riflettente tende a prendere la funzione dell’oggetto che sta rappresentando.

ARC – Ritorniamo al ribaltamento di ruoli e di senso. A guardarla sembrerebbe una vernice argentea, non è facile riconoscere la grafite. L’hai usata tantissimo in molti lavori. E’ quasi un materiale feticcio.


La casa del custode, Stanza 1, veduta,
foto Maurizio Sorvillo


RDV – Con la grafite ho lavorato tantissimo. Questo che vedi qui, sembra una Galassia in realtà è un punto di grafite su carta, scansionato e ingrandito tantissime volte. Sono dei punti sulla carta nera. La domanda è <<Qual è il limite del disegno? Quand’è che il disegno non è più disegno? Quando comincia ad essere disegno?>> A questo si sovrappone un altro gioco: nella volta celeste ci sono miliardi di stelle, pensando alle costellazioni, posso immaginare qualsiasi disegno già disegnato tra le stelle. E’ una sorta di sconfitta. Posso disegnare qualsiasi cosa, ma lì è già disegnata. Cosa faccio allora? Disegno le stelle, faccio un punto su un foglio e segno l’indicazione reale di una stella attraverso il suo codice Bayer. E’ un punto casuale, ma nel momento che io gli dò un nome lo identifico. Inizio a fare lavori di questo tipo. Disegno le stelle, ma in realtà è un’operazione altrettanto impossibile, perché sono talmente tante che in tutta la mia vita, anche se continuassi a fare punti non riuscirei a fare tutte le stelle. Infatti il lavoro si chiama “Corpi”. Propone una sorta di sconfitta, di fallimento.


Da plaza Costituciòn verso calle Garay, 2016,
 grafite, carta Favini, legno, vetro,
acrilico, numero di elementi variabili,
21x21x5 cm cad.

ARC – Qual è il passaggio tra questi disegni è la foto che mi hai mostrato prima?

RDV – Le scansionavo per documentarle. Casualmente ho provato ad ingrandirle e sono venuti fuori queste quantità di punti. Quel gesto che è un gesto limite, in realtà dentro di sé è una sorta di inizio. Quello che sembra la fine, in realtà è un inizio. Questi lavori si chiamano “Zero”.

ARC – Di che anni stiamo parlando?

RDV – 2016. Sono più o meno contemporanei.

ARC – Non hai iniziato con il disegno. I tuoi primi lavori sono video o sbaglio?

RDV – Sono uscito dall’Accademia e ho iniziato con installazioni e video. Però il disegno era la base del mio lavoro. Sono sempre stato un disegnatore, facevo fumetti. Ad un certo punto ho deciso che dovevo tirare fuori di nuovo il disegno. Io adoro la grafite. Negli anni 2007 ho cominciato a fare i primi frottage.


Usci, 2007,Frottage, grafite su carta Fabriano,
210x80cm


ARC – Le porte, gli “Usci” …

RDV – I primi lavori sono proprio quelli.

ARC – Sono molto belli esteticamente, allo stesso tempo inquietanti. RDV – Sì. Oltretutto è un lavoro proprio fisico. Immagina fare una porta intera con il frottage. Che poi, per fare quella porta dovevo chiudermi nello studio, perché l’unica porta che andava bene era all’interno. La prima volta che ho fatto la porta, ho alzato il foglio prima di aver terminato il disegno, con l’idea di proseguire in un secondo momento, ma quando l’ho rimesso sulla porta, non tornava più niente. Così sono stato costretto a finire il frottage in giornata. Mi chiudevo nello studio, portavo da mangiare e tutto il resto, mi sequestravo da solo. Ne ho fatto solo cinque perché fortunatamente ci hanno sfrattato.

ARC – Si percepisce il realismo della porta, allo stesso tempo qualcosa di più pesante, metallico, sembra piombo.

RDV – In quel periodo il mio lavoro era un po’ cupo.


Usci, 2007, frottage, grafite
su carta Fabriano, 5 elementi,
210x80 cm cad.


ARC – Mi hanno fatto pensare alle “false porte”, alle soglie verso l’altrove.

RDV – La porta era legata ad un altro video ed aveva come significato il passaggio. Molti miei lavori sono legati fisicamente l’uno all’altro: un elemento video lo riporto in un disegno, un altro elemento di quel disegno lo riporto su un video ecc., a volte faccio proprio un collegamento fisico. Ora non più tanto, ma allora lo facevo. In quel caso era una porta che faceva parte del video.

Ti faccio vedere un lavoro sempre legato alla porta. E’ una video installazione. Va in loop, non succede mai nulla. C’è questa maniglia, non si capisce se quello che muove la maniglia vuole entrare o sta cercando di uscire. Il titolo del lavoro è La trappola. C’è un legame con il cinema, con il cinema muto. Il mio film preferito rimane il Nosferatu di Murnau. In quel caso Dracula che in qualche modo è il predatore diventa la preda. Viene aggredito da quelle che dovevano essere le sue prede. Torna questo rovesciamento.

ARC – Guardavo lo specchio di fronte a me. Lo specchio è sempre varco in un'altra dimensione, rappresentazione del doppio, magia. Ma questi tuoi specchi sono trappole. Torna ancora il ribaltamento di senso e di ruoli.

RDV – Ora che mi ci fai pensare, potrei farne uno per Livorno, dato che non ne faccio da diverso tempo.


Disegni 2011, frottage,
grafite su carta Canson
80x80cm



ARC – Sì, potrebbe funzionare. Sono specchi antichi, sono forme che ricordano gli anni Quaranta, Cinquanta.

RDV- In realtà sono specchi casalinghi. Ne ho alcuni. Erano specchi che avevo in casa.

ARC – Gli oggetti sono sempre dei doppi, lo specchio ne rappresenta il paradigma assoluto. La tecnica usata è interessante perché in fondo è semplice, è una delle prime che si insegna ai bambini per appropriarsi della realtà, per scoprire la testure dei materiali. Infondo anche tu usi il disegno come comprensione del mondo.

RDV – Tutto nasce da un video che avevo fatto che si intitolava “Venere” 2011, con soggetto quello specchio che vedi lì. Questo avanzare e sprofondare in questo specchio, dove non percepisci completamente l’immagine finché l’immagine non si scompone. Lo specchio mi ha incuriosito e ho iniziato a fare dei frottage di quello specchio lì. La prima cosa che ho fatto è questo disegno che riproponeva la stessa cosa. E’ molto grande 1,50 per 2 metri circa e in realtà questo movimento verso lo specchio lo faceva lo spettatore. Mi ero reso conto che in questo disegno, lo specchio rifletteva, allora ho deciso di fare i frottage solo dello specchio. L’idea era che ogni volta che facevo il frottage lo specchio si sarebbe distrutto. Utilizzavo scarti di carta, sempre diverse, ognuno con la sua caratteristica. I disegni sembravano tutti uguali, in realtà ogni volta c’era un pezzetto di cornice saltata, lo specchio si rompeva da una parte, alla fine mi sono dovuto fermare perché lo specchio era di mia moglie, sennò divorziavo.

Ne ho fatto una quarantina, poi basta.


Venere, 2008, video, colore, 3'10"
https://vimeo.com/17852349




ARC –Anche se non è mai dichiarata, la componente letteraria, narrativa nei tuoi lavori è molto importante. Qui c’è un po’ di Dorian Gray.

RDV – E’ proprio così. Il video si chiama “Venere”. Venere è la prima stella del mattino ed è chiamata anche Lucifero, portatore di luce. C’è questa ambiguità, perché Venere è la dea della bellezza e allo stesso tempo l’angelo che per la sua vanità sprofonda. Il lavoro nasce da una cosa che mi aveva raccontato mia mamma. Quando era bambina si specchiava come fanno tutti i bambini, trovata dalla nonna <<Non ti specchiare che viene fuori il diavolo!>> si spaventò. Mia madre mi confessò che lei si è vista nuda davanti allo specchio che era già sposata. Questa cosa mi aveva colpito. Così nasce il video “Venere”.

ARC – Anche per il “Diciannovesimo scalino” 2019, parti da un lavoro letterario, da un racconto di Borges: “L’Aleph”.

RDV – E’ il mio tarlo, ce l’ho sempre appresso, mi ero stampato questo testo sul tempo. (N.d.R. J.L.Borges Nuova confutazione del tempo in Altre inquisizioni, 1952 ed. italiana 1963)

ARC – Ci stai lavorando.

RDV – Sì. E’ più legato a “Timeless”.

ARC – Anche qui torniamo a “Zero”. Un punto nel quale si aggregano tempo e spazio. Un momento di fulminea chiarezza che improvvisamente scompare, nella quale hai l’ambizione di capire tutto e in realtà non resta niente.


Da Plaza Costituciòn verso calle Garay,2016
 grafite, carta Favini, legno, acrilico,
21x21x5 cm


RDV – Ho fatto due lavori su “L’Aleph”. Il “Diciannovesimo scalino”, sono queste grandi carte nere dove è disegnato solo un piccolo punto, di circa tre centimetri di diametro, nel quale ho rappresentato delle immagini prese in maniera casuale da un mio archivio fotografico. La storie è quella di questo personaggio che disteso sul pavimento di una cantina, sul diciannovesimo scalino che conduce all’uscita, vede questo punto che è l’Aleph, dove tutto è presente nello stesso momento.

ARC – Che è la follia.

RDV – Sì. Tant’è che ho fatto un secondo lavoro sul “L’Aleph” che si intitola “Da Plaza Costitutión verso Calle Garay” 2016. E’ inizio del “L’Aleph”. Lui racconta di questo appartamento dove va a trovare la sua amica, parte da Plaza Costitutión per calle Garay. Ci dà delle indicazioni dove effettivamente questo appartamento si trova.

Allora, ho iniziato un lavoro di mappatura, di Buenos Aires alla ricerca di questo appartamento. Ovviamente non dando un numero civico io non lo trovo. A quel punto comincio a percorrere all’infinito la terra alla ricerca di questo posto.

ARC – Nel tuo lavoro c’è questo aspetto liminare. Infondo affronti attraverso medium differenti l’incommensurabile: disegnare tutte le stelle, mappare tutta la terra, racchiudere tutto il tempo in unico punto ecc. Ritorna il disegno come comprensione del mondo da prigioniero: il tuo guardare dall’interno verso l’esterno, stare sulle soglie, appropriarti degli specchi, muoverti nel mondo bidimensionale delle mappe, sollevare lo sguardo verso le stelle e tornare ragno.

Mi pare che ne “La casa del custode” tu abbia riunito tutti questi aspetti o sbaglio?

RDV – E’ possibile, un occhio esterno forse può cogliere meglio. Non avevo colto questo aspetto, però quello che ho colto è che ognuno va a ripescare nel suo bagaglio. Il ragno su cui non lavoravo da tempo lì aveva il suo ruolo ideale. Come in questo caso ti trovi a fare una residenza e sulla base di input esterni costruire una mostra e quindi inevitabilmente vai a ripescare nel tuo bagaglio.


La casa del custode, stanza 03, veduta 1
 foto Maurizio Sorvillo


ARC – Va bene, per la nostra conversazione mi sembra possiamo chiudere qui.

ARC

Per approfondire:

Sito ufficiale: https://www.raffaeledivaia.com/