Incontro Matteo Giuntini da Buzz Kill in occasione di "Dente perdente" la sua prima personale a Livorno, a cura di Francesco Perrotti. Lo spazio, in parte fabbrica creativa
in parte luogo espositivo, è stato inaugurato la scorsa estate in un’area della
città già ingaggiata da Egg. La direzione
creativa, la realizzazione dei progetti è nelle mani di Paolo Budassi Cameo, Dyami La Cha Young e Francesco Perrotti, un gruppo di musicisti e artisti visuali.
Matteo Giuntini illustratore,
scultore, pittore interessato al low tech, alla grafica, alle tecniche di
stampa rimescola tutto il reale, lo fruga e continuamente lo ripropone. L’illustrazione
e la pittura murale, nelle sue infinite varianti grafiche e pittoriche è la
realtà di artisti orientati alla costruzione di un mondo di valori simbolici a
partire da motivi artistici preesistenti, spesso consumati dalla visione,
dall’uso di tecniche e dispositivi meccanici che ci hanno lasciato residui e una
grande quantità di materiali.
Foto di Giacomo Favilla |
A cappello di questa
conversazione, valida più che mai per altri artisti con i quali ho avuto il
piacere di chiacchierare in queste pagine, voglio riportare, a
distanza di vent’anni dalla loro stesura, alcune considerazioni di Marco Magnani [1]
a proposito del bisogno di “quadro” della gente, in un mondo da
un lato sempre più carico di immagini, di motivi artistici ripetitivi e
dall’altra liberato dalla presenza di oggetti materiali sostituiti da una
ricerca artistica sempre più invisibile nella forma e visibile solo attraverso
un atto ermeneutico.
<<L’esperienza di questo secolo ci ha dimostrato che,
malgrado gli anatemi dell’avanguardia, non si è estinto nella gente – le cui
esigenze non sono mai prive di significato- il bisogno di “quadro”: solo che
ora non è più l’arte a darvi risposta” (…) Il lavoro di certi illustratori ci
fa intravedere la possibilità della creazione di quadri contemporanei: la
possibilità cioè che certi bisogni, certe funzioni siano rispettati, senza per
questo tornare al passato. (…) Tutto il campo dell’illustrazione può essere ora
– come lo è stato nei suoi grandi momenti – un fertilissimo laboratorio di
sperimentazione visiva>>.
ARC Visitando il tuo sito ho constatato il tuo interesse verso l'illustrazione e le tecniche di riproduzione dell'immagine meccaniche. Ultimamente i giovani creativi hanno riscoperto l’illustrazione e le tecniche grafiche tradizionali, un recupero di tutto ciò che ruota attorno l’immaginario predigitale. Raccontami di te, come hai sviluppato questo percorso?
MG Lavoravo in azienda con i miei genitori, facevo tutt’altra cosa, producevo conserve alimentari per la grande distribuzione. Dopo gli studi d’arte, sono arrivato al punto di sentire l’esigenza di avere maggior tempo da dedicargli, perché mi rendevo conto che per far bene una cosa, anche la più semplice, c’è bisogno di tempo, di concentrazione. Ho preso il mio primo studio e ho iniziato con alcune mostre a Pietrasanta, in spazi autogestiti, da lì ho avuto i primi contatti. Per prima una galleria Svedese, anche se in contemporanea mi era stata proposta una mostra a Firenze, in una vera e propria galleria, che mi ha dato un attimo di fiducia. A Firenze le cose andavano abbastanza bene, mi venivano richiesti lavori su lavori.
La
mia fortuna è stata quella di lavorare in famiglia e gestire le due cose.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Mi
sono trovato al posto giusto al momento giusto. Anni fa, Pietrasanta era
un’ottima piazza. Ti parlo del 2004, 2005. Pietrasanta è un paese piccolo e
c’erano dalle 30 alle 35 gallerie.
MG Soprattutto
nel periodo estivo, gallerie importanti avevano la residenza estiva. Un posto
un po’ figo, Pietrasanta, Forte dei Marmi, per cui l’utenza era alta.
ARC Con quali lavori hai
iniziato? Utilizzavi sempre un misto di disegno, illustrazione, pittura?
MG Sicuramente
acerbi, buttavo dentro le cose del momento. Poi mi sono stati chiesti per il
mercato svedese lavori di un determinato tipo, non che scegliessero i soggetti,
però tra i tanti proposti sceglievano opere che mi hanno permesso di proseguire
il mio percorso.
ARC Che tipo di lavori
richiedevano?
Foto di Giacomo Favilla |
MG La
Svezia è un paese molto strano. Come puoi immaginare freddo, la durata del
giorno è breve. Hanno delle grandissime case dove amano ricevere: feste, cene
happening all’interno della casa. Quindi hanno questo bisogno di colore,
bisogno di gioia. Mi richiedevano lavori più pop, colori forti. Naturalmente,
da sempre nei miei lavori ho cercato due vie. La galleria aveva l’esigenza di
proporre lavori gioiosi, all’interno nascondevo le mie storie, camuffavo la
vera essenza. A volte venivano venduti lavori a mio parere molto tristi. Ho
sempre giocato con le parole, con i doppi sensi. Ho voluto sempre dare questa
doppia chiave di lettura, come l’installazione “Naufragio”, qui in mostra, dove
si parte da una stanza con delle candele accese e una figura statica, poi al
momento che si spegne tutto, parte il giradischi, con l’ombra proiettata sul
soffitto, si trasforma tutto in un ambiente più austero. Questa cosa mi piace
molto. Oppure mi interessa distogliere proprio lo sguardo da quello che faccio.
ARC Torniamo a questa mostra
Dente perdente, utilizzi immagini che hanno un forte legame con l’immaginario
visivo del secolo scorso riproposto come oggetto del nostro “inconscio ottico”.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Oramai
digerito. Non parto quasi mai da un’idea di progetto nel momento in cui mi approccio alla tela, al legno, alla parete o
all’installazione. Ho un’idea di base, so da dove parto, non so poi alla fine
dove finisco. C’è un’evoluzione in corso. Spesso parto da frasi sentite o da un
testo di una canzone che sto ascoltando e da lì inizio a costruire sopra,
sfruttando quelle cose che posso aver sentito, mischiandole.
ARC Utilizzi frasi, filmati e immagini già esistenti. Qual è la causa che ti muove?
MG Sì, il meccanismo è renderli miei e dargli un’altra chiave di lettura. Vedo, mangio, mastico e poi sputo. Sputo quello di cui non ho bisogno, trattengo quello che mi interessa e gli do una forma in base a quello che voglio comunicare. Come se mi dessero quattro tasselli e mi dicessero rappresenta una macchina: in qualche modo ci devo riuscire.
ARC Nella collaborazione con
Buzz Kill si fa riferimento al caso, alla casualità. Quanto questo elemento
condiziona il progetto, quanto invece c’è di scelta.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Di casualità
nel mio lavoro ce n’è molta. E’ una casualità controllata, ma faccio molto caso
al caso.
Ad
esempio, l’installazione delle mani, nel momento in cui abbiamo installato
tutte le mani abbiamo deciso di posizionarle a diverse profondità, staccandole dal
muro e una volta messa una luce per illuminare la stanza ci siamo resi conto
che era stupendo vedere le ombre. Premetto che a me piace l’utilizzo
dell’analogico. L’idea di far girare un piatto costruire una maschera, più che
casuale è stato un’intuizione.
ARC La camera mi ha fatto
pensare al teatro delle ombre cinesi, le tecniche arcaiche di proiezione e gli spettacoli pre-cinema.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Sono
molto affascinato dai sistemi arcaici di proiezione, al circo dei primi del
Novecento. Tecniche un po’ grottesche, la lanterna magica. Mi sento molto
vicino a questo mondo. E se vogliamo la gradevolezza estetica mi serve come
veicolo per arrivare a tutti, perché in realtà i temi sono molto meno leggeri.
ARC Nel tuo
lavoro l’aspetto estetico non è un aspetto marginale o sbaglio?
MG Ho un
approccio al mio lavoro molto semplice. Abbiamo costruito questa mostra addosso
ad una città che comunque è un po’ difficile, a volte dura nei commenti. E’ la
prima mostra che faccio a Livorno e tra noi ci siamo detti, bisogna spaccare.
Grazie a Buzz Kill mi è stata data l’occasione di avere uno spazio bellissimo, così
ho buttato dentro tutto quello che mi piaceva venisse visto.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Molti
giovani, ha colpito anche me. Come capirai è stato facile incontrare un
pubblico così in Svezia, a Berlino, Londra e in altre città dove l’utenza era
molto giovane e soprattutto era la maggior parte di quelli che compravano. Uno
dei complimenti più belli che c’hanno fatto l’altra sera è stato “E’ una cosa
che non abbiamo mai visto a Livorno”, poi si è creata una sorta di
comunicazione con Egg. Con loro che mandavano le persone su e dicevano “andate
a vedere”. Qua sopra che si era creato un salotto, un posto dove era piacevole
stare.
ARC Ho saputo della tua mostra
in questo modo, ero da Egg, mi hanno detto che avevano aperto letteralmente una
finestra di comunicazione attraverso il cortile in modo da passare da uno
spazio all’altro. Mi è sembrata una cosa molto bella, un’occasione per nuovi
incontri.
MG Mi è
sembrato una cosa interessante perché di solito quando vado a vedere una mostra
poi ho voglia di lavorare. Questa è una presentazione del mio lavoro alla
città, tanti mi chiedevano, quando fai una cosa anche qui. I giorni scorsi
abbiamo lavorato tantissimo. Lo spazio è stato assolutamente trasformato. La
mostra precedente, quella di Michael Rotondi, era tutta sul muro.
ARC A questo proposito come
nasce il tuo interesse verso il disegno e la grafica? Mi pare che hai
utilizzato spesso l’incisione.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Sono
interessato a tutto ciò che può lasciare un segno. Queste sono xilografie… in
realtà ho iniziato a farle per un progetto delle fanzine che hai visto giù, ne
ho fatte venti, stampa a mano, per un festival di micro editoria, si chiamava
Italianism, alla Ex caserma a Roma, di fronte al MAXXI. Avevo installato una
scrivania con tutti i ritagli di fogli, per un mese ho fatto solo quello. Come
puoi capire avevo tanto materiale di scarto che ho buttato in un sacco,
arrivato qui l’ho svuotato e ho ricostruito la situazione.
Per
quel che riguarda l’illustrazione mi ritengo in parte autodidatta. Ho fatto
l’istituto d’arte ma indirizzo interior designer, quindi tutto quello che posso
buttar dentro lo butto, è tutto ricerca. Il mio negozio di riferimento può
essere una ferramenta o un negozio per l’edilizia.
ARC Il recupero della
xilografia è una necessità tecnica?
Foto di Giacomo Favilla |
MG E’ una
necessità mia di ricreare dei multipli. In questo caso erano dei multipli che
sono divenuti pezzi unici, perché ci sono intervenuto a mano annullando
l’effetto multiplo. L’illustrazione vera e propria è arrivata dopo.
MG Un anno e mezzo fa, fui incaricato da Poste Italiane di fare il calendario, naturalmente fatto completamente a mano. Avevo dietro Mccann, una agenzia pubblicitaria di Milano che aveva scelto il mio lavoro per questo evento. Erano vent’anni che Poste non faceva un calendario.
Da subito non mi dissero chi era il cliente finale, mi dissero fai una prova. Feci dei bozzetti, anche un po’ rudi… poi mi dissero che avevano accettato ed era Poste Italiane.
Feci tutto a mano: dal layout ai disegni…
ARC Hai
lavorato come si faceva prima del computer: disegno, composizione, letterig …
MG Io
facevo la bozza, poi Poste approvava. Eravamo rimasti che dalla bozza in bianco
e nero poi i colori li avrei scelti io, anche se poi a volte non era proprio
così e quando le tavole tornavano indietro per un cambio colore era un
problema, io dicevo, va beh c’è Photoshop … no, volevano tutto fatto a mano,
assolutamente dovevo rifare la tavola. Quindi tutto ciò che posso riprodurre o
meccanicamente o a mano mi affascina.
ARC Sul tuo sito ho visto le
valigie, non una idea nuova, se facciamo riferimento alla storia dell’arte
ci viene in mente Duchamp. Si capisce che sono altro rispetto a Duchamp, ma il
video che presenta la valigia Adolfo Adolfino evidenzia molto bene l’idea
della “macchina”, di qualcosa che va al di là di una scatola contenitore di
cose. Come nasce l’idea?
Foto di Giacomo Favilla |
MG Ne ho
fatte una serie di sei, le altre le ho vendute e quella mi è rimasta. Il
riferimento a Duchamp me lo fece notare un amico, dopo anni, quella è del 2011.
L’idea della valigia nacque nel 2010. Un’idea per rendere una bella cosa
itinerante: la chiudo e me la porto via, la apro quando voglio, la faccio
funzionare quando voglio. Ero affascinato dai meccanismi, da queste reazioni a
catena, dei giochi degli anni Ottanta. La prossima valigia sarà l’allegro
chirurgo. Il gioco sarà lo stesso, prendere dei pezzi dentro, ma i pezzi non
saranno quelli, saranno altri, il significato sarà altro, poi è un gioco. Il
gioco è una costante che rimane nel mio lavoro. Dell’unica rimasta, delle sei
che ho già realizzato, mi venne d’idea di farne un video, ho contattato Giacomo
Favilla, un fotografo bravissimo e con lui ho creato il video in stop motion.
Il mio approccio al video è questo.
ARC Nonostante l’aspetto
drammatico che ne viene fuori, dal significato simbolico alle distorsioni, l’elemento
gioco è molto chiaro anche nelle due installazioni: le ombre, il giradischi, il
movimento.
Foto di Giacomo Favilla |
MG Una
persona che segue il mio lavoro da tempo mi ha detto che si aspettava di venire
qua e trovare un circo felice, ha trovato una situazione un po’ austera. In
realtà il circo è il solito, i personaggi possono essere cambiati, c’è stata
una maturazione, avevo bisogno di focalizzare alcune cose. Da un punto di vista
simbolico è un livido. Ad esempio nella prima installazione “Naufragio”.
Naufragio è una definizione che utilizzo spesso, ha più significati, dal
letterale naufragio in mare, al simbolico naufragio della vita. La cosa che mi
affascina di più dell’ombra è che l’oggetto non è mai fedele all’ombra che
viene prodotta, mi piace questa distorsione, mi piace che possa sparire e non
riuscire a capire la reale forma dell’oggetto.
VIDEO
[1] Marco Magnani, Tre scritti sull’illustrazione, a cura
di Paola Pallottino, Pagine d’Arte, Lugano, 2005, pp.56-57
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