mercoledì 14 maggio 2025

Conversazione con Barbara Fluvi

 



Passo a trovare Barbara Fluvi per un caffè. La sua casa è anche studio. Vediamo i suoi lavori, parliamo della fatica di fare arte, la frustrazione della sopravvivenza, i vecchi e nuovi progetti, l’importanza di lavorare e scambiare idee con altri artisti: il Collettivo superazione, le collaborazioni con Dada Boom, l’Imboscata.
Chi è Barbara Fluvi?
Diplomata negli anni Ottanta all’istituto d’Arte di Firenze in grafica pubblicitaria e fotografia, sin da subito si interessa di video arte e al rapporto fra azione e movimento che svilupperà più avanti in brevi Video pitture. Negli anni Novanta si interesserà anche a opere plastiche, installative e relazionali, l’interazione diverrà parte fondamentale del progetto. Nel 2016, insieme a Giacomo Verde, Katia Lari, Murat Önol, Paola Bonaiuti e Silvia Mordini fonda il Collettivo superazione
Un primo progetto è una tre giorni dedicata alla performance art, 3Days, per due anni consecutivi alla Fornace Pasquinucci, a Montelupo, in seguito al teatro Rossi occupato di Pisa. Nel 2017 il Collettivo si presenta con un opera artistica Il tempio dell’incerto, e Idea Fissa per ARCHI-TE’ incontri trasversali alla Biblioteca di Scienze, Tecnologiche-Architettura Università di Firenze nel quale presenta Ideafissa: Cruci.
Nel 2022, durante la mostra dedicata a Giacomo Verde, prematuramente scomparso, il collettivo realizza alla CaMEC di La Spezia la performance Ognuno è Troia a modo suo.
Il lavoro di Barbara ha il suo centro motore nella quotidianità e nella vita reale. La saldatura arte-vita è un’aspirazione faticosa da raggiungere, si scontra con il pregiudizio e un ambiente dell’arte sempre più superficiale e modaiolo. Soggetto privilegiato è da subito il corpo, materiale plastico da modellare, smontare e rimontare, spezzettare, allungare, annodare fino a diventare congegno meccanico, sessuale, apparato digerente, gioco sociale, bambolotto da manipolare.
Non rende artificiale alcun tema e non privilegia alcuna tecnica, sperimenta pratiche differenti finalizzando le scelte alla buona riuscita del progetto: disegni manuali per le Videopitture, macchina fotografica, grafica e poliuretano espanso per le differenti versioni del progetto Umanimale; argilla, alluminio, alabastro, marmo per le sculture, pittura e pennelli per i quadri, la macchina per cucire per l’abito scultura indossabile Adamitico, realizzato per BAU 13 “Dress Codex”, cotone e uncinetto per Billi o Solipso realizzati rispettivamente per lo Studio Elisi e per EGOZERO a Pontorme.
Le sue opere toccano tutte le questioni della vita: la condizione umana è rappresentata da un corpo che risponde a esigenze primarie come mangiare, fare sesso, relazionarsi in forme basiche, assumendo di volta in volta forme grottesche, meccaniche e ludiche, oppure è giocata nelle relazioni pubbliche, nei bisogni, nelle responsabilità sociali. Le Videopitture daranno vita e forma a personaggi che torneranno più volte in opere che si muovono e si compiono solo con l’intervento del fruitore, seppure con esito talvolta incerto, lasciando il completamento al caso e all’eventualità di un fallimento: Clessidre, Ruotami, Spin and win, Viaggio esperienziale, Oltre, Crollo in caduta libera, Strategie in periodi di crisi.



ARC – Iniziamo a parlare de l’Umanimale. Nella sua versione grafica è qui di fronte a noi. Di quand’è questo progetto?

BF – L’Umanimale è un progetto iniziato nel 2012 sotto forma di pittura, nel tempo è stato elaborato in diverse forme, si è poi concluso dopo cinque anni con una foto e un video. Questa pittura è uno dei primi lavori.




ARC – Poi è arrivata la versione plastica?

BF – Sì, esiste un lavoro in poliuretano, e in seguito è arrivato quello che rappresenta meglio a mio avviso tutto il progetto: l’essere umano in carne e ossa, fissato da una foto.

ARC – Ha fattezze umane ma sembra un bambolotto. Chi ha posato per la foto?

BF – Ho cercato fra vari amici un corpo che potesse rappresentare al meglio la mia idea, Murat Önol ha accettato come un cristo di “sacrificarsi”. E’ un artista performer turco, fa parte dei Superazione, la foto è stata scattata dall’occhio maestro di Alessandro Giannetti negli spazi dell’officina Dada Boom, a Viareggio nel 2017.




ARC – E’ un solo scatto?

BF – Esiste anche un video fatto da Katia Lari che riprende l’azione pittorica sul corpo. Un atto sacrificale, una domanda muta senza risposta tra il carnefice e la vittima, l’azione ha richiesto internamente una concentrazione quasi una preghiera, sono stati momenti intensi. Peccato non aver pensato di trasformare quel momento così carico di forza in una azione pubblica.

Lo trovi sul mio canale Youtube.



ARC – Questo cos’è? Ha il guinzaglio e le ruote. Me ne parli?

BF – E’ un lavoro dedicato a Giacomo Verde

Un caro amico che ci ha lasciato nel 2020. Giacomo ha fatto parte di Superazione fin dall’inizio, abbiamo vissuto insieme anni di grandi progetti e intesa.
Prima di lasciarci ha chiesto di lavorare sul pappagallo/orinatoio non so in quali altri modi si chiami.
Negli ultimi giorni, ormai malato in ospedale, con le restrizioni vigenti del periodo del Covid, non potendo incontrarci in presenza, ci incontravano su Skype, in riunioni galattiche e strampalate.

ARC – Un modo per portare avanti i progetti.

BF – Soprattutto era un modo per stare con lui, per essergli vicino in un momento così delicato, eravamo consapevoli che ci saremo salutati presto. In una delle ultime occasioni ci disse: <<Vi faccio una delle mie ultime performance>>, prese il pappagallo, ci orinò dentro e disse: <<Cari amici, quando sarò morto, per il mio funerale fate tutti un’opera sul pappagallo!>>

ARC – L’hai fatta in quell’occasione.

BF – Sì, ho messo le ruote di un vecchio giocattolo e il guinzaglio del gatto. Si intitola Per Giacomo, credo che gli sarebbe piaciuto molto. Il giorno del suo funerale molti artisti hanno partecipato a questa richiesta, tutti gli spazi erano pieni di “pappagalli”. Giacomo aveva lasciato disposizioni per il suo ultimo saluto, è stata una festa molto sentita.

ARC – Parlami degli inizi. Come hai iniziato?

BF – Fin da piccola sono stata una persona solitaria, passavo molto tempo a dipingere, il mio linguaggio comunicativo si è sviluppato intorno al mondo delle immagini e delle forme.

Ho proseguito gli studi frequentando l’istituto d’Arte di Porta romana a Firenze, diplomandomi in grafica e fotografia, erano gli anni ’80 in città c’era un bel fermento musicale e artistico.
Negli anni ’90 le prime sperimentazioni con la Video arte. Ci spostavamo nei centri sociali occupati tra Pisa, Milano, Bologna, Livorno, nelle città europee in cerca di confronti e contatti, dormivamo nelle case occupate del circuito Punk Hard core, il punto di riferimento artistico era Berlino. Ci sentivamo liberi di poter costruire, fare, sperimentare nuovi linguaggi, prenderci gli spazi. Non ho mai cercato situazioni istituzionali per presentare o lavorare con la mia arte.

ARC – L’avevo intuito. Poi cos’hai fatto?

BF – Terminata la scuola, ho lavorato in varie agenzie di pubblicità come grafico, in seguito mi sono formata nel restauro di pitture murali, per molti anni è stato il mio lavoro.

ARC – L’arte a questo punto rappresentava un secondo lavoro?

BF – Sì vero, è stato un secondo lavoro, ma per vivere ho sempre cercato di fare dei lavori collegati in qualche modo all’arte.

Un altro punto è che pur impegnandomi in modo serio non mi sono mai presa troppo sul serio, faccio arte ma non mi sento artista ma persona, sentirsi artista è cosa seria, poi non ho un carattere imprenditoriale, non mi so vendere.
Spesso ho avuto momenti di crisi nel mio percorso, ma ho sempre avvertito con chiarezza che non potevo fare a meno della mia arte, riesco ad esprimermi solamente in questo modo.

ARC – Molti artisti fanno un altro lavoro. E’ difficile vivere d’arte.

BF – Vero, molti artisti vivono facendo altro, è difficilissimo trasformarlo in un vero e proprio lavoro, per tanti motivi. Altri più fortunati non hanno bisogno di lavorare, trovandosi così a disposizione tempo per studiare, elaborare, arricchire e approfondire il loro percorso. La mancanza di tempo da poter dedicare alla cura dei lavori è sempre fonte di frustrazione, manca sempre il tempo per fare meglio.

ARC – Quando dicevo che trovavo molto interessanti i tuoi lavori, avevi un approccio un po’ stressato all’idea di parlarne con me. Realizzare questi progetti è sicuramente un modo per affrontare questo stress.

BF – Hai centrato il punto, l’idea di parlare dei miei lavori mi imbarazza per diversi motivi.

Sembra che oggi un artista debba occuparsi di tutto all’infuori del creare opere; dalle relazioni, ai social, allo scrivere, al dover spiegare in milleottocentonovantadue pagine filosofiche del perché e del come ha costruito un progetto. Credo che un’opera finita sia autonoma, possiede già un messaggio, il resto non è così fondamentale.
Ho un approccio molto istintivo nel fare un’opera, ma per quanto riguarda il risultato spesso non so neppure cosa viene fuori, e questo mi crea un certo straniamento, come se quello che ho fatto non fosse mio. Credo che la sola motivazione del mio fare sia una spinta emotiva, una urgenza, una necessità di raccontare quello che mi accade.
Ho un carattere schivo, sono l’opposto del mettersi in mostra, non ho un talento carismatico o di oratore. Pensa che per mesi, dei cari amici hanno omaggiato la mia timidezza sui vari social, facendo opere artistiche, tutti i giorni appariva un qualche “Barbara Fluvi non esiste”, con tanto di vignette e foto, è stata una cosa sublime.






ARC – Tutti i tuoi lavori trattano di questo: della condizione umana, dello sfruttamento del corpo, dello sfruttamento della forza lavoro, delle relazioni. L’ultimo, il dipinto della bambolina snodabile, mi pare si chiami Duncan, quello che hai presentato a settembre a Pontorme per EGOZERO, è un potenziale oggetto da animare, come del resto fai spesso con i tuoi lavori.

BF – Il titolo dell’opera Duncan, fa riferimento alla collezione delle paper dolls L&B di EK Duncan del periodo vittoriano, il lavoro si presenta con una di queste bambole smontabili, ho usato le parti del corpo originali, come il volto e gli arti, assemblandoli in modo differente. E’ un lavoro sulla trasformazione dei corpi, dalle possibilità e dall’uso che oggi ne facciamo, il poter diventare fisicamente e mentalmente altra cosa da quello che si è stati fino a quel momento, di rimontarsi e farsi a proprio piacimento. Fino a qualche decennio fa a parte qualche intervento di chirurgia estetica era impensabile poter vivere in un corpo differente da quello in cui nascevi, questa possibilità mi crea interesse di studio.

Sono contro gli stereotipi di genere, non mi sono mai sentita donna, bianca, mamma, italiana, europea ma semplicemente un essere umano.
E’ anche un lavoro sul comporsi come vogliono gli altri, miliardi spesi nel mondo in chirurgia plastica per conformarsi allo stereotipo del momento.





ARC – E’ un altro modo di declinare Umanimale, infondo.

BF – Sì, tutti e due sono fatti fisicamente a pezzi, uno per essere sacrificato, ucciso, l’altro per modificarsi e vivere in modo differente.

ARC – Parlami dei primi lavori?

BF- Ho avuto una prima fase pittorica nella quale ho usato colori ad olio, sono studi sul movimento e ritratti di amici, contemporaneamente lavoravo sul segno grafico cercando di arrivare alla massima essenzialità, poi la scultura, accompagnati sempre dal lavoro di fotografia e video.

Gli stratificati fanno parte dei primissimi lavori pittorici, rappresentano file o gruppi di umani, OMINI in fasi differenti della vita quotidiana, esistono stratificazioni verticali, orizzontali, ad angolo; una serie di omini compressi, pigiati, inconsapevoli, un po’ stupidi, non sanno perché sono lì, e cosa stanno facendo.




BF- Le prime sculture, sono in ceramica Uniti, Yoga, con la pietra La decollata, in alabastro Due forze opposte, Il bacio della suocera in marmo.







ARC – Materiali molto tradizionali.

BF – Sì, il primo approccio con la scultura è stato volutamente con materiali tradizionali, usare lo scalpello manualmente su pietra marmo alabastro è stata una scoperta emozionante, una sorta di innamoramento, il togliere da un blocco e sapere che dentro c’è tutto quello che serve per fare l’opera e che si svela da sola dopo giorni di paziente lavoro.

Dopo questa esperienza vedi le sculture in marmo dei grandi artisti con altri occhi, ne comprendi meglio il lavoro, la loro abilità. Nei segni lasciati sulla superficie ci riconosci gli attrezzi usati, la gradina, trapani a manovella.
Inutile dire che questi materiali sono estremamente pesanti, difficili da gestire e necessitano di un laboratorio appropriato.




BF – Ecco, questa è La decollata.

Poco più in là, ce n’è un’altra che attira la mia attenzione.

ARC – Questo è molto interessante. Fa parte delle prime sculture?

BF – E’ una delle prime cose che ho fatto in ceramica. Gioca sulla forma dell’urna etrusca, ha delle ruote e sopra come coperchio o tetto c’è disteso Mi faccio portare, che forse sono io. Nella parte frontale in verticale c’è una rappresentazione del gioco tra la vita e la morte, un tira e molla. Pur essendo un’urna cineraria non è un oggetto triste, sembra che l’omino con grande gioia sia pronto per lasciare questa vita perché lui si fa portare ovunque.




ARC – Mi faccio portare è una fase di passaggio tra Gli uniti, La decollata, Yoga e i successivi mostri?

BF – Sono stati fatti nel solito periodo. Questo è Mi faccio portare in altra versione, è una fusione a cera persa in alluminio fatta alla Fondazione Merighi di Bologna, ho potuto seguire tutto il processo di lavorazione, l’OMINO era tutto un tubo, canali di drenaggio, tubi di sfiato, tubo di entrata per la cera quello di fuoriuscita, incredibile. Al momento è l’unica fusione che ho fatto.




ARC – Non hai mai privilegiato materiali o tecniche specifiche. Hai sempre lavorato su tematiche che ti interessavano e sceglievi tecniche e materiali in funzione del progetto.

BF – E’ il progetto che sceglie il materiale, o meglio, il materiale si presenta autonomamente, bussa alla porta ed io apro. Prima di eseguire un’opera non faccio mai uno studio accurato con dei bozzetti preparatori, mi toglie ogni entusiasmo, lavoro così anche per le sculture complicate, mi affido alla materia, i personaggi o temi li lascio vagare nella testa, in qualche modo poi escono fuori collegati ai materiali da usare.

ARC – Cos’è questo. È molto bello, me ne parli?

BF - Questo è Me ne lavo le mani.




ARC – E’ sapone di Marsiglia. Parlami di questo lavoro.

BF – E’ un progetto sulla responsabilità, sono saponi da bucato incisi manualmente, mi piace usare materiali di uso comune e in questo caso specifico ha una valenza in più; essendo un materiale comune, tutti lo usano e tutti se ne lavano le mani... Al momento i lavori sono due: Me ne lavo le mani, l’altro Neutro, né l’uno né l’altro. La responsabilità inizia quando incontri l’altro, ti mette di fronte a dei limiti che non puoi superare, anche non prendere posizioni è mancanza di responsabilità, essere partigiani vuol dire scegliere, stare da una parte. Un tema che dovremmo approfondire perché è scomparso, lasciando posto all’individualità e all’indifferenza. Ho elaborato anche il packaging con le istruzioni d’uso.

ARC – Tutta la tua esperienza di grafica è espressa al massimo in queste scatole bellissime. E’ un lavoro che stimola tutti i sensi: l’olfatto, il tatto, la vista.

BF – Grazie, è un lavoro a cui tengo molto.




ARC – Hai realizzato molte opere che si muovono e si compiono solo con l’intervento del fruitore, seppure con esito talvolta incerto, lasciando il completamento al caso e all’eventualità di un fallimento.

BF – Questa è una delle opere che si muovono. Il tema si basa sulla fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo, sulla non possibilità di scelta; il libero arbitrio nelle “grandi leggi” è impossibile. E’ una ruota in legno montata su un perno, funziona solamente se la giri con una spinta, si chiama Spin and Win, gira e vinci! Lei ti dà immediatamente responso.

ARC – Tipo la ruota della fortuna?

BF – Sì proprio lei, però la devi provare!




ARC – Come devo girare? Ecco, così…SEI VUOTO DENTRO (ridiamo)

BF – No, l’ho girata io, riprova.

ARC – SEI VUOTO DENTRO (ridiamo ancora)

BF – Riprova ancora…

ARC – Riprovo… LAVORO IN MINIERA 7000 MORTI L’ANNO. Ancora… HO SPOSATO FELICEMENTE MIO MARITO A SEI ANNI. Il successivo STAI FERMO UN GIRO… riprovo…AFFOGA! Beh! Tutte molto consolatorie.

ARC - Dove lo hai esposto?

BF – Un lavoro pensato per una mostra organizzata da SKEDA a Prato sull’immigrazione. E’ stato curioso vedere con che timore le persone attendevano il risultato nefasto.

ARC – Sono tutte terribili… HO CINQUE ANNI E MI PROSTITUISCO PER SCELTA……ACIDO SOLFORICO SU MIA MOGLIE

BF – Di positivo c’è solamente un VINCI UN BOMBOLONE

ARC – Questi lavori si muovono e muovono, creano relazione attiva, sono sempre un gioco.

BF - Il gioco permette di sdrammatizzare temi tragici e di relazionarsi nella tragedia con più leggerezza.
Tra le opere che si muovono c’è anche il progetto Clessidre, Dentro/Fuori fa parte della collezione privata Frittelli.
Sul vetro è stampato da un lato l’interno, utero e ovaie, dall’altro l’esterno rappresentato da un triangolo che racchiude dei peli. All’interno della scatola c’è la sabbia del Sahara. Per vedere le immagini il contenitore deve essere ruotato, proprio come una clessidra scende la sabbia che forma disegni sempre diversi su cui appare la scritta o disegno. Sono sculture che si devono muovere per essere esplicate.



ARC – Questo cos’è?

BF – Questo è Strategia in periodi di crisi. E’ stata realizzata per il progetto OSO Opere Senza Opera al Dada Boom di Viareggio, infatti l’opera non è permanente ma viene continuamente modificata da chi vi partecipa. L’opera si forma muovendo una limatura di ferro che ho prodotto bruciando delle pagliette per pulire le pentole, con una calamita. La calamita andrà in cerca dei dispersi e ne farà gruppo. Per superare situazioni o periodi di crisi sociale ti devi raggruppare.




ARC – Mi ricordo una volta parlammo di Crollo in caduta libera.

BF – E’ un lavoro che ho esposto una sola volta nel 2019 a Contemporaneamente a cura di Factory Athena alla Limonaia di Villa Strozzi a Firenze.

ARC – Per me si può esporre ancora, è un gioco senza tempo, anche se non sembrerebbe.

BF – Eccolo qua, è un lavoro che non si è concluso, il progetto è di portarlo ancora in vari luoghi per poter registrare i pensieri e le frasi delle persone sul tema specifico per collegarle a questo preciso periodo storico.

ARC – E’ un puzzle, bisogna ricomporlo con tutte le sue tesserine. La scatola dice: IL COMUNISMO E’ A PEZZI DIVERTITI A RICOSTRUIRLO.

BF – Sì, Crollo in caduta libera ironia su quel poco che c’è rimasto di pseudo sinistra o come dice il professore Lorenzo Poggi <<Oggi sono rimaste solamente le icone…>>. Mi piacerebbe che questo lavoro aprisse delle discussioni, come si diceva una volta. Durante l’esposizione che è durata più giorni, molte persone hanno partecipato, si sono sedute cercando le tessere da comporre, ci siamo fatti delle grandi risate, peccato aver registrato solamente una parte dei pensieri che sono venuti fuori, spero di trovare uno spazio adatto per poterlo riproporre.




ARC – In quell’occasione parlammo anche dei lavori sull’assenza.

BF – Le prime due cartoline sulle assenze, sono state Lourdes e la Pietà di Michelangelo, un tema che poi ho sviluppato per l’expo allo Studio Elisi di Livorno.

ARC – Cartoline in cui ha ritagliato alcune figure.

BF – Affrontare ed elaborare l’assenza mi crea dolore e straniamento, è un tema che si apre su diversi livelli visivi o mancanze, ci mostra anche la precarietà della vita, di come siamo così velocemente transitori. In questo caso spariscono simboli, torte, bambini, madonne, poeti, è sparita anche tutta la basilica San Pietro a Roma, faccio sparire i volti di tiranni come Adolf Eichmann e Furio, e quel vuoto è pronto per essere sostituito da chiunque altro.

Mi piace l’idea di usare come materiale la vecchia corrispondenza, oggi quasi più nessuno scrive messaggi cartacei, usare un oggetto che qualcuno ha spedito, che altri hanno ricevuto, con tanto di saluti e frasi vacanziere oppure messaggi di militari. L’uso di qualcosa di usato trattiene il tempo, quel momento passato che comprende la scelta proprio di quella immagine precisa, impronte, timbri, nomi di città, calligrafie, foto di corpi e facce ormai lontane. Eccomi in versione romantica.





ARC – Queste ultime sculture invece come nascono?




BF - L’Aruspice è un progetto sulla relazione in solitudine.

ARC – Più che dei veri e propri corpi, sembrano delle forme anatomiche che si aggrovigliano.

BF – Per questo l’ho chiamato Aruspice, colui che legge il futuro tramite le viscere. Non è un vero atto sessuale, è una visione d’incontro, una possibilità che forse conferma la solitudine, l’impossibilità di condividere l’intero. Ma in fondo chi sa se qualcuno di noi, un noi singolo riesce in tutta la vita a formare un intero da poter condividere.




ARC – Questo dipinto non lo conoscevo. E’ l’Aruspice anche questo? Dipinto mi piace molto. C’è qualcosa di drammatico ma anche molto ironico, giocoso. La pittura è interessante.

BF – L’approccio è differente, quindi anche il risultato finale, è una pittura di getto, il colore è steso velocemente, la scultura ha un tempo e regole diverse, ma sono partita da questi dipinti per la scultura.

ARC – Nonostante i temi, nei tuoi lavori c’è molta ironia, gioco.

BF – Sì, mi piace scherzare, essere leggera su temi che sento pesanti.

Questo è un personaggio che si chiama Tegumento. E’ un assassino, taglia le mani a tutti. All’interno è pieno di tutto, cacca, trapani, cose belle, cose brutte. C’è stato un periodo che disegnavo sempre le mani tagliate, perché sento un forte impedimento nel poter fare quello che voglio. Dal Tegumento è nato in seguito l’Adamitico per il contenitore BAU Dress Code. Tegumento è aperto lascia vedere. L’Adamitico è chiuso da una cerniera per contenere l’interno che altrimenti uscirebbe, svuotandosi. Il dress code non dovrebbe esistere è un altro modo per schedarti, per esibire uno status o un gruppo di appartenenza, ma è anche un bisogno umano di identificarsi. Il mio dress code piace pensarlo senza abiti.






ARC – Due, con le musiche di Marco Lenzi, è uno dei tuoi video più recenti, esposto nel 2023 allo Studio Elisi. Parlami della sua genesi.

BF - Un lavoro piuttosto recente. Sicuramente è un video a cui tengo molto. Due amici mi hanno aiutato in questo lavoro, Marco Lenzi ha composto appositamente tre brani, Tre rapimenti estatici, le riprese sono state fatte da Michele Faliani.

Quando ho iniziato il progetto, volevo trattare il tema della giustizia, mi sono chiesta quanto si possa essere vincenti o giusti nello sconfiggere o condannare qualcuno. Nella vita non esiste qualcosa di completamente separato, a sé stante, tutto è strettamente collegato, così anche il vincitore e il perdente, sono in relazione.
In seguito il lavoro ha preso una strada autonoma, offrendo più possibilità di letture e metafore.
Questo lavoro è una sintesi di tre video dei moltissimi fatti, la scelta non è stata facile, benché il soggetto fosse lo stesso si raccontava sempre in modo diverso e imprevisto, formando storie diverse.
Ho scolpito le candele alla base ricopiando la parte della miccia, procurandomi così due cime o teste. La candela è attraversata al centro da un ago che appoggiato su due chiodi, come una bilancia bascula per il consumo della materia tramite le due fiammelle.
Si tratta di un unico corpo materico su cui interagiscono DUE forze, man mano che la candela si modifica in base ai milligrammi ed al calore, fra le due parti si instaura quasi un legame emotivo, ogni lato produce una impronta caratteriale che indirizza l’attimo successivo, ogni lato stiletta un colpo e lacrima cera, modificando i rapporti, i pensieri, i tempi, così i ruoli delle due parti, quasi una parodia della vita.




ARC – Assieme a Due, Io chiusi il mio cervello è uno dei video per te più significativi. Me ne vuoi parlare?

Io chiusiil mio cervello è un lavoro dedicato ad Arthur Rimbaud, eseguito in collaborazione con la scrittrice Katia Lari. Il video è stato pensato e costruito su un testo scritto da Katia, Epilogue. E’ ispirato alla potente rivoluzione compiuta dal poeta Arthur Rimbaud attraverso e dentro la parola, le cui immagini rafforzano il brano di un testo teatrale. Nel monologo Rimbaud si rivolge a Parola, che giace come morta, e per lei rievoca il proprio itinerario: dal metodico e capillare sregolamento di tutti i sensi fino alla mutezza.

Nel frammento scelto, il poeta racconta della battaglia intrapresa al culmine della propria maturità espressiva. Uno scontro con corpi vivi, che macella in una lucida disperazione e che in seguito ricompone febbrilmente alla ricerca della forma nuova.




ARC – Poi ad un certo punto arriva il Collettivo Superazione.

BF – Sono state due strade parallele, insieme al mio lavoro personale c’è il lavoro fatto con il Collettivo Superazione. Quel lavoro che vedi appeso alla parete è un po' la nostra sintesi: “Ognuno è Troia a modo suo”. Sì, forse è una frase estrema ma è un bel pensiero filosofico riguardo gli esseri umani.




ARC – E’ il titolo della performance del 25 giugno 2022 alla CaMEC di La Spezia, durante la mostra dedicata a Giacomo Verde.

BF – Sì, era il titolo della performance, un progetto pensato con Giacomo Verde, siamo riusciti a realizzarlo solo dopo la sua scomparsa, l’occasione della mostra a lui dedicata è stata perfetta per omaggiarlo, si sarebbe divertito molto.

ARC – Quando avete iniziato?

BF – Nel 2016.

ARC – Far parte di un collettivo, come ha cambiato il tuo modo di lavorare?

BF – Ha cambiato completamente il mio modo di lavorare. In un collettivo si ascolta, ci si confronta, un progetto si trasforma e cresce con il contributo di tutti, un arricchimento.

ARC – Come vi siete conosciuti, come è stato l’incontro?

BF – Sentivamo il bisogno di mettere in piedi un gruppo di lavoro che si occupasse di un’arte diretta, senza sconti, senza curatori, avevamo una visione artistica comune, così ci siamo buttati con entusiasmo e divertimento, eravamo orientati al lavoro delle performance. Per diversi anni abbiamo organizzato eventi di performance, invitando tanti artisti.

ARC – Oltre all’organizzazione c’è lo scambio umano, intellettuale, pratico.

BF – Abbiamo passato anni ad organizzare incontri o meglio veri e propri pranzi/cene in cui poter godere del cibo per il corpo e per la mente, piatti di risate e discussioni infinite, il lavoro serio è nato da un grande piacere di condivisione, anni di amicizia fraterna.

Da questi pranzi è poi nato il progetto dei Pranzi Reo Dada o Reo Desk.


Reo Dada Murat Önol


ARC – Parlami di questi pranzi?

BF - Il progetto parte dalla convivialità, i Superazione vengono ospitati in casa di qualcuno e preparano opere artistiche da mangiare, spesso non commestibili ma intriganti intellettualmente, sono state preparate gelatine con pezzetti di ferro all’interno, acqua calda fatta muovere dal suono di una chitarra, una minestra mangiata con cucchiai completamente bucati, pastina da minestra Kapitalista bruciata.


Reo Dada Katia Lari


ARC – Dove li avete fatti?

BF – I pranzi Reo Dada li abbiamo fatti su invito a casa di Cantini Mazzanti a Prato, di Carolina Roller a Lucca, di Lorena Sireno a Pisa. Attendiamo con piacere di essere invitati ancora.


Bucchiaio, Reo Dada, Barbara Fluvi


ARC - 3Days, evento dedicato alla performance, come nasce?

BF - La 3Days è il nome dato all’evento riguardante le performance, è stato organizzato per due anni consecutivi a Montelupo, alla Fornace Pasquinucci e un anno al teatro Rossi occupato a Pisa. [1]

Sono state giornate bellissime di scambi, siamo riusciti ad incontrare molti performer italiani ed europei, fare dibattiti, proiezioni video di artisti lontani, ci sono state partecipazioni e interviste in diretta Skype, abbiamo organizzato degli scambi/incontri con performer giovanissimi e con quelli “storici”.

ARC – In seguito sono nate collaborazioni.

BF – Superazione in collaborazione con Dada Boom, contemporaneamente ha portato avanti anche RES NULLIUS, il MPDP Museo Popolare della Pineta a Viareggio. Abbiamo partecipato ad eventi anche con dei progetti artistici propri come Canta Rabbia Gorizia/Siria, E’ una macchina curiosa. Nel 2017 su invito di Luca De Silva, alla facoltà di architettura di Firenze abbiamo portato Il tempio dell’incerto.




ARC – Anche in questo caso performance?

BF – Abbiamo preparato una installazione per Il tempio dell’incerto, una performance e un’azione per la biblioteca. C’è stata una performance iniziale Non so chi sono di Santiago Bruni e Tommaso Verde, che in qualche modo accompagnava le persone ad entrare in una stanza dove avevamo allestito Il tempio dell’incerto una stanza buia con un pavimento traballante e instabile, si camminava su delle tavole/mattoni in cotto collocate sopra dei sassi o piccoli legni, in modo che quando ci camminavi non riuscivi a stare in piedi. Infondo alla stanza c’era un tabernacolo in marmo con sopra un ologramma del DNA dell’essere umano, fatto da Giacomo Verde. Nella stanza quasi buia, si sentiva solo il rumore dei mattoni che basculanti picchiavano sul pavimento, il suono dei passi incerti delle persone che lo attraversavano somigliava ad uno xilofono. All’ingresso c’era una tela dipinta divisa a metà. Ecco questa era la porta. Una frase di Dylan Thomas <<La palla che lanciai giocando nel parco ancora non ha raggiunto il suolo>> una frase di sospensione.




ARC – Uno stato di incertezza totale: non sai cosa sarà di te, cosa accadrà domani. La vita in fondo.

BF – La palla non sappiamo se cadrà o se volerà per un tempo infinito.

Contemporaneamente per il progetto Idea Fissa nella biblioteca della facoltà abbiamo fatto l’azione di Risposte nascoste, opere fatte dal collettivo usando pagine dei cruciverba, messe poi a caso fra le pagine dei libri della biblioteca, può darsi che quel dato libro verrà aperto fra dieci anni e chi troverà l’opera ne diventerà proprietario, sul retro troverà una spiegazione del progetto. Sotto il mio contributo per Idea fissa “CRUCI”




ARC – Lavori tantissimo, tante idee, ma anche tanti progetti. Forse non sempre con i mezzi che vorresti.

BF – Ahimè, in realtà quando progetto sogno senza limiti, anche cose che non potrò mai fare con i mezzi che ho a disposizione, poi mi sveglio e mi ridimensiono. Molti dei miei progetti al momento sono irrealizzati, come la Carcozza una cozza di un metro con le ruote che dovrebbe autonomamente seguire le persone per strada tramite un sensore il calore umano; Due forze opposte trabant 601, vista per la prima volta dopo la caduta del muro di Berlino, sembrava un giocattolo, per eseguire questo lavoro mi servirebbero due macchine reali per poterle saldare insieme. Questo è un altro esempio di studio sulle Due forze opposte dell’impossibilità di movimento, della stasi, [esaminando l’azione di due forze opposte agenti su uno stesso oggetto diremo che il vettore risultante tra due vettori è nullo V+(-V)]; il Candito, nato per il progetto Parterre di Livorno, un parco giochi per bambini mai realizzato e molti altri.




ARC – Hai realizzato lavori anche in ambienti naturali.

BF – Sì, questi sono lavori che riguardano l’ambiente naturale vegetale, come lo studio sulle muffe che può essere inteso come passaggio, deperimento, morte; sulle spore dei funghi come libertà del viaggio; Non toccarmi come difesa dall’uomo; Centrini/radici per sottolineare l’importanza del vuoto, ma anche di come la natura possa trasformarsi in qualcosa di sognante/estraniante come Ivonne abita qui.






ARC – Parlami di E vuoto sia, i centrini/radici.

BF - Con questo lavoro ho partecipato ad un evento collettivo Sottosuolo organizzato da Lizzy Sainsbury a Montespertoli. E’ un’osservazione sull’importanza del vuoto, che ho collegato al pensiero di Lucrezio <<Senza d’ esso, difatti, le cose non potrebbero muoversi in nessun modo…>>. E’ importante che ci sia un vuoto perché le “cose” possano entrare, uscire, passare o arrivare fino a noi. Attraverso delle sezioni di radici viste al microscopio ho elaborato il lavoro, sembrano dei centrini e con questa tecnica sono stati realizzati.




ARC – Invece Ivonne abita qui è stato realizzato per Imboscata 2022. Me ne Parli?

BF - Sono stata invitata da Rachel Morellet a partecipare ad Imboscata 2022. Imboscata è un progetto ideato dagli artisti Rachel Morellet, Shilha Cintelli, Eva Sauer ed Enrico Vezzi, l’evento si è svolto nel bosco di Corniola vicino ad Empoli.

Ivonne abita qui è un opera site-specific, pensata per due alberi ben precisi che si incrociano formando una x. Ho sviluppato il progetto partendo da alcune frasi scritte da J.W. Goethe nella “La metamorfosi delle piante”: <<Soprattutto non si stia a cercare dietro ai fenomeni: essi stessi sono la dottrina>>, lo studio dell’<<affinità segreta fra quelle parti esterne delle piante – le foglie, il calice, la corolla, gli stami – che si sviluppano l’una dopo l’altra e, per così dire, l’una dall’altra; e del processo mediante il quale un solo e medesimo organo si modifica con tanta varietà ai nostri occhi.>>
Ho lavorato sul tema della metamorfosi, il divenire delle forme e dell’affinità segreta fra quelle parti, mi sono divertita ad immaginarmi un umano che si fonde per amore con alcuni alberi lasciando tracce visibili di sé. Mi piace pensare che spesso accadono cose inspiegabili, magiche; non c’è una spiegazione per tutto. Per un mese, ho smontato, ricucito e fatto i riccioli ad una infinità di parrucche sintetiche, l’opera arrivava quasi ad una altezza di quattro metri.

ARC – Anche con Dada Boom hai realizzato interventi in un’area naturale.

BF – Sì, con loro abbiamo portato avanti per diversi anni molti progetti, nel 2018 abbiamo inaugurato il Museo Popolare della Pineta di Viareggio, trasformando la pineta di levante in un museo aperto e partecipato, una lotta contro la costruzione di una grande strada che collega la pineta al mare. Al MPDP hanno partecipato tanti artisti, un bel progetto concreto di Artivismo.




ARC – Non toccarmi, un altro lavoro con gli alberi, per il Museo Popolare della Pineta di Viareggio.

BF – Non toccarmi vuole non essere tagliato, segato, sradicato, asfaltato, ha degli aculei, spade per ferire chi vuole attaccarlo, rappresenta un atto di resistenza. E’ stato pensato per il Museo Popolare della Pineta di Viareggio, un progetto nato in difesa della pineta. Esistono in natura molti alberi che adottano un sistema di protezione dagli animali o predatori in genere, come la Ceiba Speciosa, albero che ho visto per la prima volta all’orto botanico di Palermo, oppure come il fusto della rosa, come le piante grasse, e molte altre, io ho cercato di “armare” un nobile pino marittimo. Ho inciso e affilato delle vere e proprie spade di legno lunghe trenta, quaranta centimetri, montate poi su delle piccolissime basi unite assieme da un filo da pesca. Non so se il mio forte desiderio di conservarlo abbia funzionato o meno, ma il caso vuole che il guerriero non toccarmi dopo sei anni è ancora lì in pineta tutto puntuto.




ARC – Sempre a MPDP, hai realizzato Oltre.

BF - Oltre è una fionda di sette metri, pensata per il Museo Popolare di Viareggio, costruita e cucita con camere d’aria.

Innanzi, più in là, dirigersi con impeto, al di là di, al di là da… Un progetto che prende in considerazione una possibilità, un desiderio di cambiamento. Fiondarsi in nuovi spazi, ripartire nello sconosciuto. Cosa si lascia e per dove? Di quanto coraggio abbiamo bisogno per mettere in atto un rovesciamento delle nostre certezze, delle sicurezze, degli ordini tradizionali, quanta forza serve per dare aria alla nostra vita?




ARC – Quanto è rimasto di quella ragazza che dopo l’Istituto d’Arte frequentava gli ambienti Punk, Berlino, gli squatter?

BF – Non sono la stessa persona, è normale e auspicabile che con il tempo si cambi. Mi muovo in modo differente da allora, con un'altra consapevolezza, ma ho sempre creduto che ci fosse la possibilità di potere gestire le cose anche in altri modi, in questo posso dire che c’è una continuità.

ARC

 

PER APPROFONDIRE:

https://studioelisi.blogspot.com/2023/11/corpo-luogo-fra-relazioni-e-assenze.html

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2022/06/imboscata-bosco-corniola-toscana/

https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2024/08/empoli-egozero-pontormo-lab/

SITO UFFICIALE:

https://barbarafluvi.wordpress.com/

https://www.youtube.com/@barbarafluvi4718/xregexp

https://barbarafluvi.wordpress.com/opere/

COLLETTIVO SUPERAZIONE:

https://superazione.wordpress.com/info/

https://superazione.wordpress.com/category/info-programma/

www.verdegiac.org

https://www.facebook.com/officinadadaboom/?locale=it_IT

https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=TWTjsr7Npsw

https://mostre.sba.unifi.it/archi-te/it/91/il-tempio-dell-incerto-10-novembre


VIDEO:

Sito Youtube tutti i video

Io chiusi il mio cervello Testo Katia Lari “Epilogue”– video montaggio Barbara Fluvi, 2015

Due riprese video Michele Faliani, montaggio Fluviale, musica composta da Marco Lenzi "Tre rapimenti estatici", 2022






[1] Il teatro è stato occupato da un gruppo studenti e precari dello spettacolo dal 27 settembre 2012 al 20 gennaio 2021