ARC – Iniziamo a parlare de l’Umanimale. Nella sua versione grafica è qui
di fronte a noi. Di quand’è
questo progetto?
BF – L’Umanimale è un progetto iniziato nel 2012 sotto forma di pittura,
nel tempo è stato elaborato in diverse forme, si è poi concluso dopo cinque
anni con una foto e un video. Questa pittura è uno dei primi lavori.
ARC – Poi è arrivata la versione plastica?
BF – Sì, esiste un lavoro in
poliuretano, e in seguito è arrivato quello che rappresenta meglio a mio avviso
tutto il progetto: l’essere umano in carne e ossa, fissato da una foto.
ARC – Ha fattezze umane ma sembra un
bambolotto. Chi ha posato per la foto?
BF – Ho cercato
fra vari amici un corpo che potesse rappresentare al meglio la mia idea, Murat
Önol ha accettato come un cristo di “sacrificarsi”. E’ un artista performer
turco, fa parte dei Superazione, la
foto è stata scattata dall’occhio maestro di Alessandro Giannetti negli spazi
dell’officina Dada Boom, a Viareggio
nel 2017.
ARC – E’ un solo scatto?
BF – Esiste
anche un video fatto da Katia Lari che riprende l’azione pittorica sul corpo.
Un atto sacrificale, una domanda muta senza risposta tra il carnefice e la
vittima, l’azione ha richiesto internamente una concentrazione quasi una
preghiera, sono stati momenti intensi. Peccato non aver pensato di trasformare
quel momento così carico di forza in una azione pubblica.
ARC – Questo cos’è? Ha il guinzaglio e le
ruote. Me ne parli?
BF – E’ un
lavoro dedicato a Giacomo Verde.
Un caro amico che ci ha lasciato nel 2020. Giacomo
ha fatto parte di Superazione fin
dall’inizio, abbiamo vissuto insieme anni di grandi progetti e intesa.
Prima di lasciarci ha chiesto di lavorare sul
pappagallo/orinatoio non so in quali altri modi si chiami.
Negli
ultimi giorni, ormai malato in ospedale, con le restrizioni vigenti del periodo
del Covid, non potendo incontrarci in presenza, ci incontravano su Skype, in
riunioni galattiche e strampalate.
ARC – Un modo per portare avanti i progetti.
BF – Soprattutto era un modo per stare
con lui, per essergli vicino in un momento così delicato, eravamo consapevoli
che ci saremo salutati presto. In una delle ultime occasioni ci disse:
<<Vi faccio una delle mie ultime performance>>, prese il
pappagallo, ci orinò dentro e disse: <<Cari amici, quando sarò morto, per
il mio funerale fate tutti un’opera sul pappagallo!>>
ARC – L’hai fatta in quell’occasione.
BF – Sì, ho
messo le ruote di un vecchio giocattolo e il guinzaglio del gatto. Si intitola Per Giacomo, credo che gli sarebbe
piaciuto molto. Il giorno del suo funerale molti artisti hanno partecipato a
questa richiesta, tutti gli spazi erano pieni di “pappagalli”. Giacomo aveva
lasciato disposizioni per il suo ultimo saluto, è stata una festa molto
sentita.
ARC – Parlami degli inizi. Come hai iniziato?
BF – Fin da
piccola sono stata una persona solitaria, passavo molto tempo a dipingere, il
mio linguaggio comunicativo si è sviluppato intorno al mondo delle immagini e
delle forme.
Ho proseguito gli studi frequentando l’istituto
d’Arte di Porta romana a Firenze, diplomandomi in grafica e fotografia, erano
gli anni ’80 in città c’era un bel fermento musicale e artistico.
Negli anni
’90 le prime sperimentazioni con la Video arte. Ci spostavamo nei centri
sociali occupati tra Pisa, Milano, Bologna, Livorno, nelle città europee in
cerca di confronti e contatti, dormivamo nelle case occupate del circuito Punk
Hard core, il punto di riferimento artistico era Berlino. Ci sentivamo liberi
di poter costruire, fare, sperimentare nuovi linguaggi, prenderci gli spazi.
Non ho mai cercato situazioni istituzionali per presentare o lavorare con la
mia arte.
ARC – L’avevo intuito. Poi cos’hai fatto?
BF – Terminata la scuola, ho lavorato
in varie agenzie di pubblicità come grafico, in seguito mi sono formata nel
restauro di pitture murali, per molti anni è stato il mio lavoro.
ARC – L’arte a questo punto rappresentava un
secondo lavoro?
BF – Sì vero, è
stato un secondo lavoro, ma per vivere ho sempre cercato di fare dei lavori
collegati in qualche modo all’arte.
Un altro punto è che pur impegnandomi in modo serio
non mi sono mai presa troppo sul serio, faccio arte ma non mi sento artista ma
persona, sentirsi artista è cosa seria, poi non ho un carattere
imprenditoriale, non mi so vendere.
Spesso ho avuto momenti di crisi nel mio percorso,
ma ho sempre avvertito con chiarezza che non potevo fare a meno della mia arte,
riesco ad esprimermi solamente in questo modo.
ARC – Molti artisti fanno un altro lavoro. E’
difficile vivere d’arte.
BF – Vero, molti artisti vivono facendo
altro, è difficilissimo trasformarlo in un vero e proprio lavoro, per tanti
motivi. Altri più fortunati non hanno bisogno di lavorare, trovandosi così a
disposizione tempo per studiare, elaborare, arricchire e approfondire il loro
percorso. La mancanza di tempo da poter dedicare alla cura dei lavori è sempre
fonte di frustrazione, manca sempre il tempo per fare meglio.
ARC – Quando dicevo che trovavo molto
interessanti i tuoi lavori, avevi un approccio un po’ stressato all’idea di
parlarne con me. Realizzare questi progetti è sicuramente un modo per
affrontare questo stress.
BF – Hai
centrato il punto, l’idea di parlare dei miei lavori mi imbarazza per diversi
motivi.
Sembra che oggi un artista debba occuparsi di tutto
all’infuori del creare opere; dalle relazioni, ai social, allo scrivere, al
dover spiegare in milleottocentonovantadue pagine filosofiche del perché e del
come ha costruito un progetto. Credo che un’opera finita sia autonoma, possiede
già un messaggio, il resto non è così fondamentale.
Ho un approccio molto istintivo nel fare un’opera,
ma per quanto riguarda il risultato spesso non so neppure cosa viene fuori, e
questo mi crea un certo straniamento, come se quello che ho fatto non fosse
mio. Credo che la sola motivazione del mio fare sia una spinta emotiva, una
urgenza, una necessità di raccontare quello che mi accade.
Ho un
carattere schivo, sono l’opposto del mettersi in mostra, non ho un talento
carismatico o di oratore. Pensa che per mesi, dei cari amici hanno omaggiato la
mia timidezza sui vari social, facendo opere artistiche, tutti i giorni
appariva un qualche “Barbara Fluvi non esiste”, con tanto di vignette e foto, è
stata una cosa sublime.
ARC – Tutti i tuoi lavori trattano di questo:
della condizione umana, dello sfruttamento del corpo, dello sfruttamento della
forza lavoro, delle relazioni. L’ultimo, il dipinto della bambolina snodabile,
mi pare si chiami Duncan, quello che
hai presentato a settembre a Pontorme per EGOZERO,
è un potenziale oggetto da animare, come del resto fai spesso con i tuoi
lavori.
BF – Il titolo
dell’opera Duncan, fa riferimento
alla collezione delle paper dolls L&B
di EK Duncan del periodo vittoriano, il lavoro si presenta con una di queste
bambole smontabili, ho usato le parti del corpo originali, come il volto e gli
arti, assemblandoli in modo differente. E’ un lavoro sulla trasformazione dei
corpi, dalle possibilità e dall’uso che oggi ne facciamo, il poter diventare
fisicamente e mentalmente altra cosa da quello che si è stati fino a quel
momento, di rimontarsi e farsi a proprio piacimento. Fino a qualche decennio fa
a parte qualche intervento di chirurgia estetica era impensabile poter vivere
in un corpo differente da quello in cui nascevi, questa possibilità mi crea
interesse di studio.
Sono contro gli stereotipi di genere, non mi sono
mai sentita donna, bianca, mamma, italiana, europea ma semplicemente un essere
umano.
E’ anche un
lavoro sul comporsi come vogliono gli altri, miliardi spesi nel mondo in
chirurgia plastica per conformarsi allo stereotipo del momento.
ARC – E’ un altro modo di declinare Umanimale, infondo.
BF – Sì, tutti e due sono fatti
fisicamente a pezzi, uno per essere sacrificato, ucciso, l’altro per
modificarsi e vivere in modo differente.
ARC – Parlami dei primi lavori?
BF- Ho avuto
una prima fase pittorica nella quale ho usato colori ad olio, sono studi sul
movimento e ritratti di amici, contemporaneamente lavoravo sul segno grafico
cercando di arrivare alla massima essenzialità, poi la scultura, accompagnati
sempre dal lavoro di fotografia e video.
Gli stratificati fanno
parte dei primissimi lavori pittorici, rappresentano file o gruppi di umani,
OMINI in fasi differenti della vita quotidiana, esistono stratificazioni
verticali, orizzontali, ad angolo; una serie di omini compressi, pigiati,
inconsapevoli, un po’ stupidi, non sanno perché sono lì, e cosa stanno facendo.
BF- Le prime sculture, sono in
ceramica Uniti, Yoga, con la pietra La decollata, in alabastro Due forze opposte, Il bacio della suocera
in marmo.
ARC – Materiali molto tradizionali.
BF – Sì, il
primo approccio con la scultura è stato volutamente con materiali tradizionali,
usare lo scalpello manualmente su pietra marmo alabastro è stata una scoperta
emozionante, una sorta di innamoramento, il togliere da un blocco e sapere che
dentro c’è tutto quello che serve per fare l’opera e che si svela da sola dopo
giorni di paziente lavoro.
Dopo questa esperienza vedi le sculture in marmo dei
grandi artisti con altri occhi, ne comprendi meglio il lavoro, la loro abilità.
Nei segni lasciati sulla superficie ci riconosci gli attrezzi usati, la
gradina, trapani a manovella.
Inutile
dire che questi materiali sono estremamente pesanti, difficili da gestire e
necessitano di un laboratorio appropriato.
Poco più in
là, ce n’è un’altra che attira la mia attenzione.
ARC – Questo è molto interessante. Fa parte
delle prime sculture?
BF – E’ una
delle prime cose che ho fatto in ceramica. Gioca sulla forma dell’urna etrusca,
ha delle ruote e sopra come coperchio o tetto c’è disteso Mi faccio portare, che forse sono io. Nella parte frontale in
verticale c’è una rappresentazione del gioco tra la vita e la morte, un tira e
molla. Pur essendo un’urna cineraria non è un oggetto triste, sembra che
l’omino con grande gioia sia pronto per lasciare questa vita perché lui si fa
portare ovunque.
ARC – Mi
faccio portare è una fase di passaggio tra Gli uniti, La decollata, Yoga e i successivi mostri?
BF – Sono stati fatti nel solito
periodo. Questo è Mi faccio portare
in altra versione, è una fusione a cera persa in alluminio fatta alla
Fondazione Merighi di Bologna, ho potuto seguire tutto il processo di
lavorazione, l’OMINO era tutto un tubo, canali di drenaggio, tubi di sfiato,
tubo di entrata per la cera quello di fuoriuscita, incredibile. Al momento è
l’unica fusione che ho fatto.
ARC – Non hai mai privilegiato materiali o
tecniche specifiche. Hai sempre lavorato su tematiche che ti interessavano e
sceglievi tecniche e materiali in funzione del progetto.
BF – E’ il progetto che sceglie il
materiale, o meglio, il materiale si presenta autonomamente, bussa alla porta
ed io apro. Prima di eseguire un’opera non faccio mai uno studio accurato con
dei bozzetti preparatori, mi toglie ogni entusiasmo, lavoro così anche per le
sculture complicate, mi affido alla materia, i personaggi o temi li lascio vagare
nella testa, in qualche modo poi escono fuori collegati ai materiali da usare.
ARC – Cos’è questo. È molto bello, me ne parli?
BF - Questo è Me ne lavo le mani.
ARC – E’ sapone di Marsiglia. Parlami di questo
lavoro.
BF – E’ un progetto sulla
responsabilità, sono saponi da bucato incisi manualmente, mi piace usare
materiali di uso comune e in questo caso specifico ha una valenza in più;
essendo un materiale comune, tutti lo usano e tutti se ne lavano le mani... Al
momento i lavori sono due: Me ne lavo le
mani, l’altro Neutro, né l’uno né l’altro. La responsabilità
inizia quando incontri l’altro, ti mette di fronte a dei limiti che non puoi
superare, anche non prendere posizioni è mancanza di responsabilità, essere
partigiani vuol dire scegliere, stare da una parte. Un tema che dovremmo
approfondire perché è scomparso, lasciando posto all’individualità e
all’indifferenza. Ho elaborato anche il packaging con le istruzioni d’uso.
ARC – Tutta la tua esperienza di grafica è espressa
al massimo in queste scatole bellissime. E’ un lavoro che stimola tutti i
sensi: l’olfatto, il tatto, la vista.
BF – Grazie, è un lavoro a cui tengo
molto.
ARC – Hai realizzato molte opere che si muovono
e si compiono solo con l’intervento del fruitore, seppure con esito talvolta
incerto, lasciando il completamento al caso e all’eventualità di un fallimento.
BF – Questa è una delle opere che si
muovono. Il tema si basa sulla fortuna di nascere dalla parte giusta del mondo,
sulla non possibilità di scelta; il libero arbitrio nelle “grandi leggi” è
impossibile. E’ una ruota in legno montata su un perno, funziona solamente se
la giri con una spinta, si chiama Spin
and Win, gira e vinci! Lei ti dà immediatamente responso.
ARC – Tipo la ruota della fortuna?
BF – Sì proprio lei, però la devi
provare!
ARC –
Come devo girare? Ecco, così…SEI VUOTO DENTRO (ridiamo)
BF – No, l’ho girata io, riprova.
ARC – SEI VUOTO DENTRO (ridiamo ancora)
BF –
Riprova ancora…
ARC – Riprovo… LAVORO IN MINIERA 7000 MORTI
L’ANNO. Ancora… HO SPOSATO FELICEMENTE MIO MARITO A SEI ANNI. Il successivo
STAI FERMO UN GIRO… riprovo…AFFOGA! Beh! Tutte molto consolatorie.
ARC - Dove lo hai esposto?
BF – Un lavoro pensato per una mostra
organizzata da SKEDA a Prato
sull’immigrazione. E’ stato curioso vedere con che timore le persone
attendevano il risultato nefasto.
ARC – Sono tutte terribili… HO CINQUE ANNI E MI
PROSTITUISCO PER SCELTA……ACIDO SOLFORICO SU MIA MOGLIE
BF – Di positivo c’è solamente un VINCI
UN BOMBOLONE
ARC – Questi lavori si muovono e muovono,
creano relazione attiva, sono sempre un gioco.
BF - Il gioco permette di
sdrammatizzare temi tragici e di relazionarsi nella tragedia con più
leggerezza.
Tra le
opere che si muovono c’è anche il progetto Clessidre,
Dentro/Fuori fa parte della collezione privata Frittelli.
Sul vetro è
stampato da un lato l’interno, utero e ovaie, dall’altro l’esterno
rappresentato da un triangolo che racchiude dei peli. All’interno della scatola
c’è la sabbia del Sahara. Per vedere le immagini il contenitore deve essere
ruotato, proprio come una clessidra scende la sabbia che forma disegni sempre
diversi su cui appare la scritta o disegno. Sono sculture che si devono muovere
per essere esplicate.
BF – Questo è Strategia in periodi di crisi. E’ stata realizzata per il progetto OSO Opere Senza Opera al Dada Boom di Viareggio, infatti l’opera
non è permanente ma viene continuamente modificata da chi vi partecipa. L’opera
si forma muovendo una limatura di ferro che ho prodotto bruciando delle
pagliette per pulire le pentole, con una calamita. La calamita andrà in cerca
dei dispersi e ne farà gruppo. Per superare situazioni o periodi di crisi
sociale ti devi raggruppare.
ARC – Mi ricordo una volta parlammo di Crollo in caduta libera.
BF – E’ un lavoro che ho esposto una
sola volta nel 2019 a Contemporaneamente
a cura di Factory Athena alla
Limonaia di Villa Strozzi a Firenze.
ARC – Per me si può esporre ancora, è un gioco
senza tempo, anche se non sembrerebbe.
BF – Eccolo qua, è un lavoro che non si
è concluso, il progetto è di portarlo ancora in vari luoghi per poter
registrare i pensieri e le frasi delle persone sul tema specifico per
collegarle a questo preciso periodo storico.
ARC – E’ un puzzle, bisogna ricomporlo con
tutte le sue tesserine. La scatola dice: IL COMUNISMO E’ A PEZZI DIVERTITI A
RICOSTRUIRLO.
BF – Sì, Crollo in caduta libera ironia su quel poco che c’è rimasto di
pseudo sinistra o come dice il professore Lorenzo Poggi <<Oggi sono
rimaste solamente le icone…>>. Mi piacerebbe che questo lavoro aprisse
delle discussioni, come si diceva una volta. Durante l’esposizione che è durata
più giorni, molte persone hanno partecipato, si sono sedute cercando le tessere
da comporre, ci siamo fatti delle grandi risate, peccato aver registrato
solamente una parte dei pensieri che sono venuti fuori, spero di trovare uno
spazio adatto per poterlo riproporre.
ARC – In quell’occasione parlammo anche dei
lavori sull’assenza.
BF – Le prime due cartoline sulle
assenze, sono state Lourdes e la Pietà di Michelangelo, un tema che poi
ho sviluppato per l’expo allo Studio
Elisi di Livorno.
ARC – Cartoline in cui ha ritagliato alcune
figure.
BF – Affrontare ed elaborare l’assenza
mi crea dolore e straniamento, è un tema che si apre su più livelli: il vuoto e
la transitorietà della vita. La mancanza
si trasforma in un bianco pungente ed è un dato di fatto, una menomazione che
ci interroga. A parte la fucilazione di Garcia Lorca, non sapremo mai se i
“mancanti” siano fuggiti volontariamente oppure se siano deceduti, rimane
comunque quel vuoto a confermare una domanda amara senza risposta. Spariscono
simboli, torte, bambini, madonne, poeti, la basilica San Pietro a Roma.
Spariscono i volti di tiranni e quel vuoto è pronto per essere sostituito da
chiunque altro. Mi piace l’idea di utilizzare come materiale la vecchia
corrispondenza. L’uso di qualcosa di usato trattiene il tempo e l’immagine ferma
con sé quel preciso momento, sono foto di corpi e facce ormai lontane. Eccomi
in versione romantica.
ARC – Queste ultime sculture invece come
nascono?
BF -
L’Aruspice è un progetto sulla relazione in solitudine.
ARC – Più che dei veri e propri corpi, sembrano
delle forme anatomiche che si aggrovigliano.
BF – Per questo l’ho chiamato Aruspice,
colui che legge il futuro tramite le viscere. Non è un vero atto sessuale, è
una visione d’incontro, una possibilità che forse conferma la solitudine,
l’impossibilità di condividere l’intero. Ma in fondo chi sa se qualcuno di noi,
un noi singolo riesce in tutta la vita a formare un intero da poter
condividere.
ARC – Questo dipinto non lo conoscevo. E’ l’Aruspice anche questo? Dipinto mi piace
molto. C’è qualcosa di drammatico ma anche molto ironico, giocoso. La pittura è
interessante.
BF – L’approccio è differente, quindi
anche il risultato finale, è una pittura di getto, il colore è steso velocemente,
la scultura ha un tempo e regole diverse, ma sono partita da questi dipinti per
la scultura.
ARC – Nonostante i temi, nei tuoi lavori c’è
molta ironia, gioco.
BF – Sì, mi
piace scherzare, essere leggera su temi che sento pesanti.
Questo è un
personaggio che si chiama Tegumento.
E’ un assassino, taglia le mani a tutti. All’interno è pieno di tutto, cacca,
trapani, cose belle, cose brutte. C’è stato un periodo che disegnavo sempre le
mani tagliate, perché sento un forte impedimento nel poter fare quello che
voglio. Dal Tegumento è nato in
seguito l’Adamitico per il
contenitore BAU Dress Code. Tegumento è aperto lascia vedere. L’Adamitico è chiuso da una cerniera per
contenere l’interno che altrimenti uscirebbe, svuotandosi. Il dress code non
dovrebbe esistere è un altro modo per schedarti, per esibire uno status o un
gruppo di appartenenza, ma è anche un bisogno umano di identificarsi. Il mio dress
code piace pensarlo senza abiti.
ARC – Due,
con le musiche di Marco Lenzi, è uno dei tuoi video più recenti, esposto
nel 2023 allo Studio Elisi. Parlami
della sua genesi.
BF - Un lavoro
piuttosto recente. Sicuramente è un video a cui tengo molto. Due amici
mi hanno aiutato in questo lavoro, Marco Lenzi ha composto appositamente tre
brani, Tre rapimenti estatici, le
riprese sono state fatte da Michele Faliani.
Quando ho iniziato il progetto, volevo trattare il
tema della giustizia, mi sono chiesta quanto si possa essere vincenti o giusti
nello sconfiggere o condannare qualcuno. Nella vita non esiste qualcosa di
completamente separato, a sé stante, tutto è strettamente collegato, così anche
il vincitore e il perdente, sono in relazione.
In seguito il lavoro ha preso una strada autonoma,
offrendo più possibilità di letture e metafore.
Questo lavoro è una sintesi di tre video dei
moltissimi fatti, la scelta non è stata facile, benché il soggetto fosse lo
stesso si raccontava sempre in modo diverso e imprevisto, formando storie
diverse.
Ho scolpito le candele alla base ricopiando la parte
della miccia, procurandomi così due cime o teste. La candela è attraversata al
centro da un ago che appoggiato su due chiodi, come una bilancia bascula per il
consumo della materia tramite le due fiammelle.
Si tratta di un unico corpo materico su cui
interagiscono DUE forze, man mano che
la candela si modifica in base ai milligrammi ed al calore, fra le due parti si
instaura quasi un legame emotivo, ogni lato produce una impronta caratteriale
che indirizza l’attimo successivo, ogni lato stiletta un colpo e lacrima cera,
modificando i rapporti, i pensieri, i tempi, così i ruoli delle due parti,
quasi una parodia della vita.
ARC –
Assieme a Due, Io chiusi il mio cervello
è uno dei video per te più significativi. Me ne vuoi parlare?
Io chiusiil mio cervello è un lavoro dedicato ad Arthur Rimbaud, eseguito in
collaborazione con la scrittrice Katia Lari. Il video è stato pensato e
costruito su un testo scritto da Katia, Epilogue.
E’ ispirato alla potente rivoluzione compiuta dal poeta Arthur Rimbaud
attraverso e dentro la parola, le cui immagini rafforzano il brano di un testo
teatrale. Nel monologo Rimbaud si rivolge a Parola, che giace come morta, e per
lei rievoca il proprio itinerario: dal metodico e capillare sregolamento di
tutti i sensi fino alla mutezza.
Nel
frammento scelto, il poeta racconta della battaglia intrapresa al culmine della
propria maturità espressiva. Uno scontro con corpi vivi, che macella in una lucida
disperazione e che in seguito ricompone febbrilmente alla ricerca della forma
nuova.
ARC – Poi ad un certo punto arriva il Collettivo Superazione.
BF – Sono state due strade parallele,
insieme al mio lavoro personale c’è il lavoro fatto con il Collettivo Superazione. Quel lavoro che vedi appeso alla parete è
un po' la nostra sintesi: “Ognuno è Troia a modo suo”. Sì, forse è una frase
estrema ma è un bel pensiero filosofico riguardo gli esseri umani.
ARC – E’ il titolo della performance del 25
giugno 2022 alla CaMEC di La Spezia, durante la mostra dedicata a Giacomo
Verde.
BF – Sì, era il titolo della
performance, un progetto pensato con Giacomo Verde, siamo riusciti a
realizzarlo solo dopo la sua scomparsa, l’occasione della mostra a lui dedicata
è stata perfetta per omaggiarlo, si sarebbe divertito molto.
ARC – Quando avete iniziato?
BF – Nel 2016.
ARC – Far parte di un collettivo, come ha
cambiato il tuo modo di lavorare?
BF – Ha cambiato completamente il mio
modo di lavorare. In un collettivo si ascolta, ci si confronta, un progetto si
trasforma e cresce con il contributo di tutti, un arricchimento.
ARC – Come vi siete conosciuti, come è stato
l’incontro?
BF – Sentivamo il bisogno di mettere in
piedi un gruppo di lavoro che si occupasse di un’arte diretta, senza sconti,
senza curatori, avevamo una visione artistica comune, così ci siamo buttati con
entusiasmo e divertimento, eravamo orientati al lavoro delle performance. Per
diversi anni abbiamo organizzato eventi di performance, invitando tanti
artisti.
ARC – Oltre all’organizzazione c’è lo scambio
umano, intellettuale, pratico.
BF – Abbiamo
passato anni ad organizzare incontri o meglio veri e propri pranzi/cene in cui
poter godere del cibo per il corpo e per la mente, piatti di risate e
discussioni infinite, il lavoro serio è nato da un grande piacere di
condivisione, anni di amicizia fraterna.
Da questi
pranzi è poi nato il progetto dei Pranzi
Reo Dada o Reo Desk.
 |
| Reo Dada Murat Önol |
ARC – Parlami di questi pranzi?
BF - Il progetto parte dalla
convivialità, i Superazione vengono ospitati in casa di qualcuno e preparano
opere artistiche da mangiare, spesso non commestibili ma intriganti
intellettualmente, sono state preparate gelatine con pezzetti di ferro
all’interno, acqua calda fatta muovere dal suono di una chitarra, una minestra
mangiata con cucchiai completamente bucati, pastina da minestra Kapitalista
bruciata.
 |
| Reo Dada Katia Lari |
ARC – Dove li avete fatti?
BF – I pranzi Reo Dada li abbiamo fatti su invito a casa di Cantini
Mazzanti a Prato, di Carolina Roller a Lucca, di Lorena Sireno a Pisa.
Attendiamo con piacere di essere invitati ancora.
 |
| Bucchiaio, Reo Dada, Barbara Fluvi |
ARC - 3Days, evento dedicato alla performance,
come nasce?
BF - La 3Days è
il nome dato all’evento riguardante le performance, è stato organizzato per due
anni consecutivi a Montelupo, alla Fornace Pasquinucci e un anno al teatro
Rossi occupato a Pisa.
Sono state giornate bellissime di scambi, siamo riusciti
ad incontrare molti performer italiani ed europei, fare dibattiti, proiezioni
video di artisti lontani, ci sono state partecipazioni e interviste in diretta
Skype, abbiamo organizzato degli scambi/incontri con performer giovanissimi e
con quelli “storici”.
ARC – In seguito sono nate
collaborazioni.
BF – Superazione in collaborazione con Dada Boom, contemporaneamente ha portato
avanti anche RES NULLIUS, il MPDP Museo Popolare della Pineta a Viareggio. Abbiamo partecipato ad eventi
anche con dei progetti artistici propri come Canta Rabbia Gorizia/Siria, E’
una macchina curiosa. Nel 2017 su invito di Luca De Silva, alla facoltà di
architettura di Firenze abbiamo portato Il
tempio dell’incerto.
ARC – Anche in questo caso performance?
BF – Abbiamo preparato una
installazione per Il tempio dell’incerto,
una performance e un’azione per la biblioteca. C’è stata una performance
iniziale Io non so di Santiago
Bruni e Tommaso Verde, che in qualche modo accompagnava le persone ad entrare
in una stanza dove avevamo allestito Il
tempio dell’incerto una stanza buia con un pavimento traballante e
instabile, si camminava su delle tavole/mattoni in cotto collocate sopra dei
sassi o piccoli legni, in modo che quando ci camminavi non riuscivi a stare in
piedi. Infondo alla stanza c’era un tabernacolo in marmo con sopra un ologramma
del DNA dell’essere umano, fatto da Giacomo Verde. Nella stanza quasi buia, si
sentiva solo il rumore dei mattoni che basculanti picchiavano sul pavimento, il
suono dei passi incerti delle persone che lo attraversavano somigliava ad uno
xilofono. All’ingresso c’era una tela dipinta divisa a metà. Ecco questa era la
porta. Una frase di Dylan Thomas <<La palla che lanciai giocando nel
parco ancora non ha raggiunto il suolo>> una frase di sospensione.

ARC – Uno stato di incertezza totale: non sai
cosa sarà di te, cosa accadrà domani. La vita in fondo.
BF – La palla
non sappiamo se cadrà o se volerà per un tempo infinito.
Contemporaneamente
per il progetto Idea Fissa nella
biblioteca della facoltà abbiamo fatto l’azione di Risposte nascoste, opere fatte dal collettivo usando pagine dei
cruciverba, messe poi a caso fra le pagine dei libri della biblioteca, può
darsi che quel dato libro verrà aperto fra dieci anni e chi troverà l’opera ne
diventerà proprietario, sul retro troverà una spiegazione del progetto. Sotto
il mio contributo per Idea fissa “CRUCI”
ARC – Lavori tantissimo, tante idee, ma anche
tanti progetti. Forse non sempre con i mezzi che vorresti.
BF – Ahimè, in realtà quando progetto
sogno senza limiti, anche cose che non potrò mai fare con i mezzi che ho a
disposizione, poi mi sveglio e mi ridimensiono. Molti dei miei progetti al
momento sono irrealizzati, come la Carcozza
una cozza di un metro con le ruote che dovrebbe autonomamente seguire le
persone per strada tramite un sensore il calore umano; Due forze opposte trabant 601, vista per la prima volta dopo la
caduta del muro di Berlino, sembrava un giocattolo, per eseguire questo lavoro
mi servirebbero due macchine reali per poterle saldare insieme. Questo è un
altro esempio di studio sulle Due forze
opposte dell’impossibilità di movimento, della stasi, [esaminando l’azione
di due forze opposte agenti su uno stesso oggetto diremo che il vettore risultante
tra due vettori è nullo V+(-V)]; il Candito,
nato per il progetto Parterre di Livorno, un parco giochi per bambini mai
realizzato e molti altri.
ARC – Hai realizzato lavori anche in ambienti
naturali.
BF – Sì, questi sono lavori che
riguardano l’ambiente naturale vegetale, come lo studio sulle muffe che può
essere inteso come passaggio, deperimento, morte; sulle spore dei funghi come
libertà del viaggio; Non toccarmi
come difesa dall’uomo; Centrini/radici per
sottolineare l’importanza del vuoto, ma anche di come la natura possa
trasformarsi in qualcosa di sognante/estraniante come Ivonne abita qui.
ARC – Parlami di E vuoto sia, i centrini/radici.
BF - Con questo lavoro ho partecipato
ad un evento collettivo Sottosuolo
organizzato da Lizzy Sainsbury a Montespertoli. E’ un’osservazione
sull’importanza del vuoto, che ho collegato al pensiero di Lucrezio <<Senza
d’ esso, difatti, le cose non potrebbero muoversi in nessun modo…>>. E’
importante che ci sia un vuoto perché le “cose” possano entrare, uscire,
passare o arrivare fino a noi. Attraverso delle sezioni di radici viste al
microscopio ho elaborato il lavoro, sembrano dei centrini e con questa tecnica
sono stati realizzati.
ARC – Invece Ivonne abita qui è stato realizzato per Imboscata 2022. Me ne
Parli?
BF - Sono stata
invitata da Rachel Morellet a partecipare ad Imboscata 2022. Imboscata è un progetto ideato dagli artisti Rachel
Morellet, Shilha Cintelli, Eva Sauer ed Enrico Vezzi, l’evento si è svolto nel
bosco di Corniola vicino ad Empoli.
Ivonne
abita qui è un opera site-specific, pensata per due alberi ben precisi
che si incrociano formando una x. Ho sviluppato il progetto partendo da alcune
frasi scritte da J.W. Goethe nella “La metamorfosi delle piante”: <<Soprattutto
non si stia a cercare dietro ai fenomeni: essi stessi sono la dottrina>>,
lo studio dell’<<affinità segreta fra quelle parti esterne delle piante –
le foglie, il calice, la corolla, gli stami – che si sviluppano l’una dopo
l’altra e, per così dire, l’una dall’altra; e del processo mediante il quale un
solo e medesimo organo si modifica con tanta varietà ai nostri occhi.>>
Ho lavorato sul tema della metamorfosi, il divenire
delle forme e dell’affinità segreta fra quelle parti, mi sono divertita ad
immaginarmi un umano che si fonde per amore con alcuni alberi lasciando tracce
visibili di sé. Mi piace pensare che spesso accadono cose inspiegabili,
magiche; non c’è una spiegazione per tutto. Per un mese, ho smontato, ricucito
e fatto i riccioli ad una infinità di parrucche sintetiche, l’opera arrivava
quasi ad una altezza di quattro metri.
ARC – Anche con Dada Boom hai realizzato interventi in un’area naturale.
BF – Sì, con loro abbiamo portato
avanti per diversi anni molti progetti, nel 2018 abbiamo inaugurato il Museo Popolare della Pineta di
Viareggio, trasformando la pineta di levante in un museo aperto e partecipato,
una lotta contro la costruzione di una grande strada che collega la pineta al
mare. Al MPDP hanno partecipato tanti
artisti, un bel progetto concreto di Artivismo.
ARC – Non toccarmi, un altro lavoro con gli alberi, per il Museo Popolare della Pineta di Viareggio.
BF – Non toccarmi vuole non essere tagliato, segato, sradicato,
asfaltato, ha degli aculei, spade per ferire chi vuole attaccarlo, rappresenta
un atto di resistenza. Esistono in natura molti alberi che adottano un sistema di
protezione dagli animali o predatori in genere, come la Ceiba Speciosa, albero che ho visto per la prima volta all’orto
botanico di Palermo, oppure come il fusto della rosa, come le piante grasse, e
molte altre, io ho cercato di “armare” un nobile pino marittimo. Ho inciso e
affilato delle vere e proprie spade di legno lunghe trenta, quaranta
centimetri, montate poi su delle piccolissime basi unite assieme da un filo da
pesca. Non so se il mio forte desiderio di conservarlo abbia funzionato o meno,
ma il caso vuole che il guerriero non toccarmi dopo sei anni è ancora lì in
pineta tutto puntuto.
ARC – Sempre a MPDP, hai realizzato Oltre.
BF - Oltre è una
fionda di sette metri cucita con camere d’aria.
Innanzi, più in là, dirigersi con impeto, al di là di, al di là da… Un progetto
che prende in considerazione una possibilità, un desiderio di cambiamento.
Fiondarsi in nuovi spazi, ripartire nello sconosciuto. Cosa si lascia e per
dove? Di quanto coraggio abbiamo bisogno per mettere in atto un rovesciamento
delle nostre certezze, delle sicurezze, degli ordini tradizionali, quanta forza
serve per dare aria alla nostra vita?
ARC – Quanto è rimasto di quella ragazza che dopo
l’Istituto d’Arte frequentava gli ambienti Punk, Berlino, gli squatter?
BF – Non sono la stessa persona, è
normale e auspicabile che con il tempo si cambi. Mi muovo in modo differente da
allora, con un'altra consapevolezza, ma ho sempre creduto che ci fosse la
possibilità di potere gestire le cose anche in altri modi, in questo posso dire
che c’è una continuità.
ARC
PER
APPROFONDIRE:
https://studioelisi.blogspot.com/2023/11/corpo-luogo-fra-relazioni-e-assenze.html
https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2022/06/imboscata-bosco-corniola-toscana/
https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2024/08/empoli-egozero-pontormo-lab/
SITO
UFFICIALE:
https://barbarafluvi.wordpress.com/
https://www.youtube.com/@barbarafluvi4718/xregexp
https://barbarafluvi.wordpress.com/opere/
COLLETTIVO
SUPERAZIONE:
https://superazione.wordpress.com/info/
https://superazione.wordpress.com/category/info-programma/
www.verdegiac.org
https://www.facebook.com/officinadadaboom/?locale=it_IT
https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=TWTjsr7Npsw
https://mostre.sba.unifi.it/archi-te/it/91/il-tempio-dell-incerto-10-novembre
VIDEO:
Sito Youtube tutti i video
Io chiusi il mio cervello Testo
Katia Lari “Epilogue”– video montaggio Barbara Fluvi, 2015
Due riprese video Michele Faliani, montaggio Fluviale,
musica composta da Marco Lenzi "Tre rapimenti estatici", 2022
Il
teatro è stato occupato da un gruppo studenti e precari dello spettacolo dal 27
settembre 2012 al 20 gennaio 2021