giovedì 8 gennaio 2015

La numerosa famiglia di Niecéphore Niepce


Dopo la perdita della prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di Caravaggio, la testimonianza fisica, -non solo per voce delle fonti scritte - che questo capolavoro è esistito appartiene ad una foto. Naturalmente non vale solo per questo dipinto, sono molte le opere di cui si studia a scuola, andate perdute. Di esse rimane il ricordo scritto di qualche testimone, leggende, racconti, copie realizzate in epoche successive, disegni, stampe.
Abbiamo il privilegio di vedere in assenza, alcune opere attraverso una foto.
La prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di Caravaggio ha fatto parte per lungo tempo della collezione Giustiniani. Secondo Giovanni Baglione e Giovanni Pietro Bellori, fonti considerate attendibili per tutto il XX secolo, fu rifiutato dalla congregazione e sostituito da una seconda versione, quella esposta oggi nella Cappella Contarelli, in San Luigi dei Francesi. Questa versione dei fatti è oggi superata da studi approfonditi sul reale rapporto che intercorse tra Caravaggio e i committenti e, le motivazioni della sostituzione. La Pala venne, infatti, subito acquistata da Vincenzo Giustiniani, protettore di Caravaggio, finì nel 1815 a Berlino dopo la caduta in disgrazia della famiglia e la dispersione della collezione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, venne trasferita nella Flaktürm Friedrichshain, assieme ad altri 417 capolavori tra cui Goya, Rubens, Friedrich.
Qui secondo le versioni ufficiali bruciarono altri tre Caravaggio di provenienza Giustiniani e proprietà prussiana: "Fillide", ritratto di una nota cortigiana, "Incredulità di San Tommaso" e "Cristo nel giardino degli ulivi". Ma forse, così non è.
L'"Incredulità di San Tommaso", che si credeva distrutto anch’esso nell' incendio del deposito di Flaktürm Friedrichshain,  era stato sequestrato dall' Armata Rossa e poi "trattenuto" come risarcimento per i danni di guerra. Anche "San Matteo e L’Angelo” può aver ha subito la stessa sorte. "Incredulità di San Tommaso" fu restituira dai russi alla DDR  negli anni Cinquanta. Oggi si trova alla Bildergalerie di Potsdam
Le Flaktürme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città: Berliner Zoo, Friedrichshain e Humboldthain. Data la loro straordinaria solidità e sicurezza, oltre che come rifugi antiaerei, le Flaktürme dello Zoo e Friedrichshain furono utilizzate per mettere al sicuro oggetti, sculture e dipinti provenienti dai musei Berlinesi. Nel maggio del 1945, a guerra di fatto finita, la Flakturm Friedrichshain subì per giorni un incendio devastante, la cui origine è ignota, che, si dice, distrusse quasi completamente le inestimabili opere che custodiva, compresa la prima versione del “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio. O forse no.
Ciò che ci resta è, al momento, una foto in bianco e nero.
Conosco il capolavoro di Caravaggio perche sul manuale di storia dell'arte delle superiori c'era questa foto. La maggior parte delle opere che conosco le ho viste in fotografia. La fotografia sostituisce, quindi, emotivamente l'assenza di un'opera d'arte. 
Possedere l’immagine di un soggetto è dunque come possedere effettivamente quel soggetto?
Per un'opera d'arte vale lo stesso meccanismo sostitutivo di qualunque altro oggetto?
Non so. Propongo un frammento del saggio di Claudio Marra L’asse Rose/Duchamp[1]
Trascrivo l’inizio.
Un piccolo estratto illuminante.

“Naufragio del Titanic e salvataggio del realismo ingenuo.
<<Non ho nemmeno una sua foto, non ho niente di lui!>> dice Rose di Jack, ricordando a distanza il tragico naufragio del Titanic nell’ormai mitico film di James Cameron del 1997. La storia è certamente ben nota: Jack Dawson (interpretato da Leonardo Di Caprio) sale da clandestino di terza classe sull’imponente e lussuoso transatlantico che salpa per il viaggio inaugurale da Southampton, in Inghilterra, il 10 aprile 1912. A bordo conosce Rose De Witt Bukater (l’attrice Kate Winslet), aristocratica ragazza che viaggia in compagnia della famiglia e del promesso sposo nell’esclusiva prima classe, il cui biglietto costava, allora, 3100 dollari (equivalenti a circa 125.000 di oggi). Tra i due nasce un’amore impossibile e insieme bellissimo, destinato a finire tragicamente quando Jack, durante il naufragio, sacrificando la propria vita riesce a far salire Rose su una scialuppa di salvataggio prima di scomparire nelle acque scure e gelide dell’oceano.
Il film, come si sa, coincide con il lungo racconto che Rose, oramai avanti negli anni, fa ai tecnici di una nave speciale, che si sta occupando del recupero del relitto adagiato sul fondale al largo delle coste canadesi, alla profondità di 4000 metri. Quando Rose conclude la sua storia, le persone che hanno ascoltato incantate le vicende di quel tragico amore le fanno notare che fra i registri di bordo non hanno trovato traccia di Jack (ma Jack era appunto clandestino, dunque non registrato), nessun segno della sua presenza. Ecco allora che Rose risponde con la frase già riportata: <<Non ho nemmeno una sua foto, non ho niente di lui!>>; poche parole che però, se pure inconsapevolmente, esprimono un concetto straordinario di teoria fotografica. Si potrà infatti discutere fin che si vuole sulla vacuità dei simulacri, sulla loro perfida capacità di sostituirsi all’esperienza reale delle cose, ma nella nostra cultura permane altrettanto limpida e inscalfibile la convinzione che la fotografia riesca a sostituire generosamente l’assenza perché in fondo, più che un simulacro, più che l’ombra, essa pare essere (anzi, pare funzionare come, lo dichiareremo del corso del presente scritto) una reliquia, dunque non la rappresentazione ma una parte stessa della cosa. (...)”


Finché la "prima versione di San Matteo e l'Angelo" sarà una foto in bianco e nero, questo sarà ciò che riconosco come "prima versione di San Matteo e l'Angelo".

A.R.C.

 [1] Claudio Marra, L’immagine infedele, la falsa rivoluzione della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 2006, pp.157-159.


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