venerdì 25 luglio 2014

Arte nell’epoca dell’ identità instabile.

ARTE NELL’ EPOCA DELL’ IDENTITÀ INSTABILE.

Marcello Scalas, O noi o io no, 2013
Le fondamenta degli incurabili, Sassari.
Le considerazioni di alcuni studiosi, saranno il punto di partenza per una riflessione sull'arte oggi.
Per Federico Ferrari, c’è in atto una polemica sull’ arte contemporanea, fondata sull’ idea che esistano due entità chiamate entrambe "arte", che condividerebbero uno stesso spazio sociale e culturale, ma in realtà profondamente differenti, per le diverse modalità attuate nel confrontarsi con la rappresentazione visiva.
Da una parte ci sarebbe l'arte, quella manifestazione della cultura umana che si concretizza in oggetti e manufatti secondo dettami e spinte ideali sedimentate all’ interno di una tradizione millenaria. Dall’ altra qualcosa di indefinibile <<che si struttura secondo regole ed esigenze del tutto inedite nella storia dell'umanità, come la comunicazione, il marketing, il mercato globalizzato, la dissoluzione del gusto, la frammentazione delle culture>>.[1]

Questo qualcosa di indefinibile è l’ Arte Contemporanea.
Capita che appassionati d’arte, persone comuni con interessi non specifici, considerino sinonimi Arte Moderna e Arte Contemporanea. Il termine “moderno” è spesso utilizzato come classificazione di una categoria estetica, e il termine “contemporaneo” in senso cronologico, come periodizzazione. Contemporaneo viene utilizzato come sinonimo di attuale e moderno come genere.
Antonella Spanu,
Artista emergente, 2011
54 Biennale di Venezia, Padiglione Sardegna.
Antonella Spanu,
Artista emergente, part., 2011
54 Biennale di Venezia, Padiglione Sardegna.
Mantenere la confusione non aiuta a diradare la polemica.
L’Arte Moderna, che si sviluppa all’ interno di una civiltà industriale, metropolitana e complessa, conserva, pur nelle varie scuole, correnti, e movimenti il rispetto dei materiali tradizionali (pittura su tela con telaio, scultura su piedistallo), dando maggiore attenzione all’ espressione dell’interiorità dell’artista, che in epoca classica ha sempre rappresentato un problema.
L’ Arte Contemporanea si struttura invece attorno alla perdita del criterio di ”autenticità” dell’interiorità, privando in gran parte dei casi, l’opera del passaggio attraverso la mano dell’artista, e quando utilizza materiali tradizionali lo fa in modalità non tradizionale.
La nostra cultura attuale si è formata a partire dalla fine dell’Ottocento sul paradigma dell’Arte Moderna. Oggi, il Moderno confligge con il paradigma del Contemporaneo, che coincide con instabilità, mancanza di un nucleo identitario in cui riconoscersi, perdita del criterio di ”autenticità” dell’interiorità.
Come dice Angela Vettese <<Il Novecento si è aperto con un nugolo di teorie destabilizzanti e il Duemila proseguire su quelle premesse. La relatività di Einstein, la fisica quantistica di Planck, il concetto di inconscio di Freud, il teorema di incompletezza di Gödel, il principio di indeterminazione di Werner Heisenberg, se non hanno cambiato la nostra vita in maniera immediata hanno corroso nel tempo le nostre convinzioni (...)>>[2]
Giusy Calia,
Sylva, 2010
In fila per due, 
Libreria Koinè, Porto Torres
Le opere di molti artisti, oggi, sono caratterizzate dalla mancanza di un’identità definita, che si traduce nel rompere completamente con le certezze della tradizione (monumenti eterni, celebrazione di eterne certezze), includendo nell’ opera l’indeterminato, quello che forse non avrà durata (opere deperibili ed effimere, un uso dei materiali tradizionali in modalità non tradizionale). Gli artisti si muovono da una disciplina all’ altra, da un supporto all’ altro, senza nessuna gerarchia, tra un’azione effimera e una scultura, un video, un’installazione o una performance. <<Non si può fare il Partenone in un mondo in cui vige il dubbio.>>[3]
Pinuccia Sini,
Contenuto/Contenitore, 2011,
In fila per due,
Libreria Koinè, Porto Torres
L’arte contemporanea utilizza le regole del marketing e della comunicazione, perché questo è il nostro presente: il mercato è globalizzato, non esiste un’uniformità di gusto, né una cultura stabile. Può non piacerci, ma questo è il tempo che viviamo.
La non accettazione di questa modalità creativa ha dato vita alla polemica sull’ arte contemporanea. Collocata sul piano del discredito, pone la questione in termini di integrazione ed esclusione dal sistema dell’arte.
La polemica ha spostato il dibattito pubblico su implicazioni di carattere censorio. Il tale fa arte o non fa arte? L’operazione degli studiosi dovrebbe essere quella di ricondurla sul piano delle questioni estetiche e chiedersi se il tale realizza buone opere o dei pessimi oggetti.
Come evitare di cadere nel giudizio censorio di arte/non arte?
Natalie Heinich considera quella che oggi viene chiamata nell’ arte figurativa “arte contemporanea”, non un momento dell’evoluzione artistica, corrispondente ad una periodizzazione, bensì un “genere” dell’arte.
<<L’arte viene oggi concepita in tre modi differenti, ugualmente praticati ma diversamente valorizzati in base al grado di acculturazione degli spettatori. Li si potrebbe definire tre tipi di “paradigma”(per chi è coinvolto nella difesa dell’uno o dell’altro) o tre “generi” (per chi osserva) dell’arte, categorie eterogenee che possiedono criteri e caratteristiche propri e si declinano in altri “sottogeneri”. Queste categorie dell’arte esistente oggi possono essere distinte in Arte Classica, Arte Moderna, Arte Contemporanea. In questa categorizzazione contemporaneo non è sinonimo di attuale.>>[4]
Josephine Sassu,
Morte a Venezia, 2011,
Sorso
Come non si ha difficoltà ad accettare che la Musica Contemporanea rappresenti un genere musicale, in coesistenza con altri generi Classica, Rock, Pop, Jazz allo stesso modo si potrebbe dire che nella produzione artistica attuale coesistono più generi, tra i quali “l’Arte Contemporanea”. Del resto, “Musica Classica” o “Balletto Classico” definiscono un genere, non un periodo. Dire Arte Contemporanea non è uguale a dire arte attuale.
“L’oggetto, il manufatto, pittura o scultura, video o installazione è portatore di contenuti e in quanto tale suscita riflessione. Questa riflessione non esclude il rifiuto di chi guarda.” <<Chi voglia comprendere le implicazioni dell’opera deve entrare nel suo processo costitutivo e chiedersi come funziona>>[5].
ARC



[1] Cfr. Federico Ferrari, "Introduzione", AAVV.,“Del Contemporaneo. Saggi su arte e tempo. Bruno Mondadori, Milano, 2007
[2] Cfr. Angela Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010.
[3] Cfr. Angela Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010.
[4]Cfr. Natalie Heinich  “Per porre fine alla polemica sull’arte contemporanea”, AAVV.,“Del Contemporaneo. Saggi su arte e tempo. Bruno Mondadori, Milano, 2007.
[5] Cfr. Angela Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010.

venerdì 18 luglio 2014

Molineddu. Gli orti dell'arte.

Marcello Scalas, "Che piacere averti qui", 2012
zollette di zucchero, installazione,
Dimensione ambiente


Da diciotto anni, ogni estate l’artista Bruno Petretto - che nel tempo ha collaborato con varie associazioni, enti locali, curatori, artisti, attori e musicisti - nel suo giardino, in località Molineddu, comune di Ossi, a pochi chilometri da Sassari, propone “Arte, Evento  e Creazione”, luogo di incontro tra artisti e confronto tra arte e spazio naturale.


Pinuccia Sini,
"Contenuto/contenitore",
2013, fibra di carbonio





Molineddu è difficile da definire, non è una semplice campagna fuori porta, non è un Parco. La forma -che Petretto ha dato al luogo, nel corso degli anni- è più simile agli “orti” di antica tradizione classica. Molineddu è uno spazio d’incontro tra azione artistica e casualità della natura, tra intervento occasionale e progettazione, tra gusto estetico del padrone di casa e quello degli artisti ospiti. Ovviamente non sempre tutto si incastra alla perfezione, ma il continuo divenire delle proposte, l’intervento della natura, pronta a scombinare le carte, fa si che Molineddu non sia mai lo stesso luogo.

Per la presenza dei nuovi interventi e le modifiche morfologiche, apportate ai vari luoghi, per mano dello stesso Petretto, nel corso delle stagioni, la dinamica tra spazio e opere si è trasformato. Posso definire Molineddu la più grande opera di Bruno Petretto in collaborazione con altri artisti. Questi di volta in volta hanno sviluppato progetti specifici modificando la percezione degli spazi.


Simonetta Secci,
 "Le guerre d'acqua: mi dispiace,
 lei si sbaglia,
il filo d'erba non è mai esistito", 2014


Il luogo è idealmente suddiviso in aree: rigogliose alcune, più desertiche altre, frutteti, teatri naturali, scalinate, strade, ponti, ruscelli. L’intervento umano è ovunque, ma è un intervento che dialoga con la natura, ne forza alcune caratteristiche e ne annulla delle altre, in un gioco di tensioni continuo.
L’area più selvaggia è quella nella quale è presente il primo nucleo di opere realizzato circa diciott’anni fa, in occasione di un evento tragico. Nell’ estate del 1996, dalla montagna franò un costone di roccia sulla valle sottostante, sulla campagna di Petretto appunto. Da quell’evento negativo è nato “Arte, Evento e Creazione”.  

Giusy Calia, "Ofelie", 2014

Bruno chiamò degli amici artisti, ognuno di loro intervenne nell’area devastata: chi scolpì sui frammenti di roccia della frana, chi realizzò un’installazione site specific. Lo spazio, via via venne modificato restando, comunque, un luogo “marziano”. Gli ambienti più rigogliosi sono quelli lungo un torrente. Sulle sponde, lungo il corso d’acqua, in piccole secche, sulle pareti rocciose, sugli alberi molti progetti hanno caratterizzato l’area.




Josephine Sassu, "Ritenta e sarai più fortunato"
performance, traccia video, 1999
Ogni anno si aggiungono interventi artistici, ogni anno le opere deperibili scompaiono; le nuove installazioni, di stagione in stagione, danno all’ ambiente una nuova morfologia, una sempre diversa idea di spazio. Alcune opere, per la loro natura deperibile, non esistono più. Rimangono tracce fotografiche e video, in alcuni casi, frammenti quasi archeologici.

Molineddu è un luogo di incontro e di confronto. Confronto degli artisti tra di loro, tra gli artisti e lo spazio, tra gli artisti e le complesse connessioni tra naturale e artificiale, tra spazio di natura e di cultura.
L’elenco di coloro che hanno partecipato a questi eventi nel corso degli anni è lunghissimo, mi limito a inserire foto di alcune opere. L’ideale sarebbe andarci. 

ARC    

Mario Fois, "Il frutto dell'amore",  2014, 



Cristian Lubino, "Onde d'urto", 2014





Cristian Lubino, "Equilibrio precario", 2013
Giuseppe Mulas, "Da Bambino sognavo
 una casa sull'albero", 2013

lunedì 14 luglio 2014

Conversazione con Josephine Sassu/ artista (prima parte)



Nell'attesa di avere qualcosa da dire, 2013, particolare
A.R.C. - Vorrei che mi illustrassi come si sviluppa il processo creativo nel tuo lavoro, soprattutto negli ultimi progetti “Nell’attesa di avere qualcosa da dire” 2013 e Torno subito 2014.
J.S. – Credo di non aver modificato troppo il mio modus operandi, riguardo la creazione del lavoro. Indubbiamente negli ultimi anni spero che il processo creativo sia maturato, consolidato negli aspetti più positivi.
A partire da “Nell’attesa di avere qualcosa da dire” del 2013 ho pensato di interrompere, in parte, tutto il lavoro precedente dei grandi disegni, dei grandi “Monumenti provvisori”. Ho deciso di concentrarmi un attimo su altri aspetti del mio lavoro, nell’attesa di trovare un’altra via, un’altra espressione.
Ho pensato di tornare indietro e rielaborare vecchi progetti, alla ricerca di qualcosa che potessi ancora sviluppare, salvare, ripercorrere, pur non volendo trovare un nuovo tema da indagare.


Monumento provvisorio, 2007, Blublauerspazioarte, Alghero
A.R.C. –Come sei tornata indietro nel riguardare il tuo lavoro?
J.S. – Ho mantenuto alcune costanti, ad esempio l’utilizzo di alcuni materiali, a volte deperibili. Sono materiali tipici dell’arte che spesso hanno una funzione legata al lavoro preparatorio dell’opera, pensiamo alla matita. Il disegno è spesso bozzetto, studio, la formazione preliminare dell’azione dell’oggetto artistico.

Attenti al leone, 2008,  Musée Fesch, Ajaccio
A.R.C. – In questi ultimi lavori, che materiale utilizzi principalmente?
J.S. – Ho riutilizzato la plastilina che avevo usato nei primissimi anni di attività, perché mi piaceva l’idea di un materiale, intanto povero, molto elementare, che nell’ambito dell’arte viene comunque usato per produrre dei bozzetti. Un po’ come tornare all’essenziale.
Negli ultimi tempi, mi divertiva l’idea che l’agire artistico, quello considerato tale, è molto sentito da tutte quelle signore che producono cake design.
Guardare a queste torte pazzesche in pasta di zucchero, ritornando a percorrere però i miei lavori.

A.R.C. Quali sono i temi che ripercorri dei tuoi precedenti lavori?
Musée Fesch, Ajaccio
J.S. I miei soggetti preferiti sono la natura e gli animali. Questo materiale mi permette di mantenere una certa figuratività che avevo ritrovato e mai percorso, a partire dagli autoritratti di “Specchio delle mie brame” (2000-2003) e dai grandi disegni “Monumenti provvisori” (2007-2012). Prima c’era un’astrazione organica, c’era una forma realistica ma primitiva: la cellula o il blob, una forma molto elementare.

A.R.C. – E’ comunque un ritorno alla scultura?
J.S. – Sì, un ritorno alla scultura.

A.R.C. –Per alcuni tuoi disegni ricordo divertenti equivoci, non voluti. “Morte a Venezia” (2011) realizzato per la Biennale di Venezia, pennarello su carta, è stato interpretato come una stampa.
Torno subito, 2014, L.E.M, Sassari
J.S. Dopo anni di ricognizione attorno al disegno in tutte le sue variabili tecniche, dalla matita su tela, graffite o carboncino su muro, pennarello su carta, su tela ecc..

A.R.C. Come è cambiato il processo creativo?
J.S. – Il processo di creazione è rimasto invariato, mi piaceva riiniziare a lavorare pensando di non avere niente da dire. Essere libera di produrre a prescindere dal senso. E’ un problema dell’arte di tutti i tempi: è vero che se io riconosco la forma non necessariamente capisco il senso.
Mi piaceva ritornare alla libertà del fare, della forma, senza essere legata ad un tema specifico o un impegno specifico, che so una mostra.

A.R.C. – Il tuo interesse è rivolto verso gli animali, la natura. Quali tipi di animali scegli e perché?
Sacco, 2014
J.S. –- spesso i miei lavori avevano un titolo di serie, poi ogni lavoro aveva un sottotitolo o una frase che identificava il pezzo in particolare, ho sempre lavorato partendo da un imput da cui si sviluppavano una serie di situazioni. Questo ultimo lavoro, che non ha un titolo specifico, in questo caso l’idea era quella di utilizzare quello che meglio so utilizzare e concentrarmi sulla vita, sulla vita in generale e in particolare la mia. Ho voluto utilizzare gli animali, la natura come metafora della vita, della mia e quella di tutti.
Gli animali possono avere un ruolo determinato e preciso, dato dalla sedimentazione culturale, dai luoghi comuni. Ho pensato di raccontare tutta una serie di stati d’animo, un po’ come ho fatto con “Specchio delle mie brame”, di raccontare la vita di questi ultimi anni che è veramente feroce, anche per gli artisti.

A.R.C. –Le sculture sono tutte inserite in teche o all’interno di campane di vetro, in una sorta di protezione dall’esterno. E’ un tipo di presentazione che mi fatto venire in mente il romanzo di Andrej Astvacaturov “Il museo dei fetidi” (racconta, attraverso aneddoti grotteschi, l’infanzia dell’autore vissuta in un quartiere di Leningrado degli anni Settanta).
Le teche isolano dall’esterno o hanno la stessa funzione della cornice per un quadro?
Nell'attesa di avere qualcosa da dire 2013, Sassari,
Le fondamenta degli incurabili
J.S. –Entrambe le cose. In parte, l’idea nasce da una cosa che mi colpì anni fa in un negozio, le biosfere in miniatura, delle bolle al cui interno vivevano i gamberetti. Mi aveva affascinato incredibilmente questo mondo a parte, questo microcosmo, che per loro è il mondo. L’universo come il “Museo dei fetidi” di cui mi parlavi.
Alcuni lavori hanno bisogno di una protezione particolare, ma è anche vero che il chiudere, l’incorniciare è sistemizzare un sistema, appunto. Per cui la campana richiama tutta la produzione di presepi, le statue votive e, la teca richiama l’idea del museo, dell’animale impagliato, ma anche vivo. C’è l’idea di produrre un qualcosa che è protetto dal mondo esterno che permetta a questa cosa estremamente fragile di sopravvivere il più possibile.
Mi piaceva l’idea di costruire un mondo in cui l’altro guarda.
Nella sua installazione originaria, realizzata site specific per “Le Fondamenta degli incurabili” nel 2013 a Sassari, “Nell’ attesa di avere qualcosa da dire” aveva le stelle, un cielo stellato, senza costellazioni specifiche. Mi piace l’dea di dare una visione, non solo legata allo spazio in cui la mostra è stata installata, ma anche una dimensione universale.

ARC


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MARCHE CENTRO D'ARTE - 5^ Edizione (pp.86-87)



venerdì 11 luglio 2014

INTERVISTE TASCABILI. FRANCO MARCONI. Galleria Marconi, Cupra Marittima (AP) - Marche Centro d’Arte

Intervista a Franco Marconi, Galleria Marconi (www.siscom.it/marconi), Cupra Marittima (AP); Direttore artistico di Marche Centro d’Arte.





A.R.C – Hai una galleria da circa una ventina d’anni. E' una realtà importante per il territorio, e non solo. Come è nata l’idea di aprire una galleria?
F.M. – La Galleria esiste da 19 anni. E’ diventata presto un punto di riferimento per la ricerca e la promozione artistica, sia nelle Marche che in territorio nazionale, attraverso collaborazioni con altre gallerie e realtà culturali. Lo spazio espositivo, negli anni, ha proposto artisti emergenti nel panorama nazionale ed internazionale, oggi oramai affermati.
La ricerca della Galleria Marconi da tempo passa attraverso lo scambio di realtà culturali con altri operatori, sia pubblici che privati, nella convinzione che per poter crescere non ci si può fermare al proprio spazio ma bisogna aprire il territorio e creare sinergie.
Ho aperto nel 1995. Prima ho fatto di tutto, ho provato a fare anche il ragioniere. E’ durata 5 mesi. C’era una mia amica che vendeva questo spazio, la licenza, non lo spazio. Mi sono deciso di intraprendere questa avventura. Io dico sempre che faccio il gallerista perchè facendo l’artista ho visto che tutti erano più bravi di me. Spesso alcuni galleristi, come alcuni critici sono artisiti mancati.

A.R.C – Da artista mancato sei diventato gallerista e...
F.M. –...anzi ti dico che, oggi come oggi, non farei più neanche il gallerista ma il collezionista, perchè tutti i soldi che ho investito nella galleria li avrei potuti investire creando una collezione. Un tempo per entrare in una collezione importante avrei dato i lavori gratis, oggi mai e poi mai.

A.R.C – Un buon collezionista è un investimento sia per il presente che per il futuro dell’arte. Abbiamo degli esempi interessantissimi. A proposito di progetti ed esperienze di collaborazione, cos’è Marche Centro d’Arte?
F.M. – Prima di tutto vorrei che il Marche Centro d’Arte diventasse un’opportunità per i giovani artisti, con la possibilità di non spendere di tasca propria avendo la visibilità giusta e poter proseguire nella ricerca.
A.R.C - Come è nato questo progetto?

F.M. - Lavoro a Marche Centro d’Arte da parecchi anni, abbiamo avuto l’occasione di creare
collaborazioni e scambi con altre realtà, ad esempio Matera. Poi c’è stato l’incontro favoloso con Lino Rosetti, che pur non occupandosi d’arte ha una sensibilità incredibile. Mi ha detto facciamo qualcosa insieme?
Io sono molto per i fatti miei - nonostante abbia bisogno di collaboratori- collaboro molto volentieri, ma per me è fondamentale che chiunque abbia lavorato con me poi ad un certo punto possa spiccare il volo e rendersi autonomo. Ci vorrebbero mecenati e finanziatori per evitare il volontariato e creare una continuità professionale. Non è giusto il lavoro volontario protratto troppo a lungo, così come non è giusto, per me, dedicare tutta la mia vita all’arte.
Marche Centro d’Arte nasce con l’idea che la cultura e l’arte nello specifico siano l’energia che farà ripartire il nostro Paese, per questo motivo crediamo che l’arte e il mondo contemporaneo debbano sempre più essere in grado di comunicare tra loro.
Quest’anno l’Expo di Arte Contemporanea – alla quarta edizione - accanto alle tradizionali sezioni all’interno del PalaRiviera di San Benedetto del Tronto, affianca altre sezioni in tre borghi del territorio Piceno: Cupra Marittima, Monteprandone e Offida. L’idea è quella di partire dal territorio marchigiano, il nostro territorio, e allargare la prospettiva d’indagine a livello nazionale e non solo.
ARC

INTERVISTE TASCABILI. LINO ROSETTI Presidente di Marche Centro d’Arte

Intervista a Lino Rosetti Presidente Marche Centro d’Arte





A.R.C – Come nasce la struttura organizzativa Marche Centro d’Arte?
L.R. – Marche Centro d’Arte è nato quattro anni fa, da un’intuizione. L’intuizione che l’arte e i suoi riti possono essere un’elemento aggregante del territorio, e su questa idea - io che non vengo dal mondo dell’arte, sono un’ingegnere- ho messo insieme chi si occupava d’arte ai giusti livelli, parlo di Franco Marconi, il gallerista della Galleria Marconi.
Per un progetto importante avevamo bisogno di un luogo importante, la galleria è un bello spazio ma l’dea era che la parte visibile di Marche Centro d’Arte fosse un Expo d’arte contemporanea, una collettiva periodica. Ogni anno, mediamente abbiamo messo insieme trenta-quaranta artisti provenienti da tutt’Italia e dall’estero, quindi avevamo bisogno di uno spazio importante, così ho individuato tra i partner il proprietario di un Multisala, il PalaRiviera di San Benedetto del Tronto. Gli ho proposto questo progetto. Avevamo bisogno di uno spazio, Franco Calabresi ce l’ha messo; avevamo bisogno di una strategia, sono arrivato io e ce l’ho messa; avevamo bisogno di un direttore artistico, che ci consentisse di usare l’arte e i suoi riti per aggregare sul territorio e c’era Franco Marconi, con l’esperienza ventennale della Galleria Marconi.

A.R.C – Come avete iniziato?
L.R. - I primi tre anni Expo Arte Contemporanea si svolgeva nei mesi di luglio e agosto. Per partire, per vincere lo spunto, dato che le amministrazioni fanno fatica a riconoscere i fenomeni in culla, abbiamo rispolverato l’idea del mecenate e abbiamo individuato sul territorio quelli che abbiamo chiamato “adottanti artistici”. Tre categorie di “adottanti artistici” che ci hanno dato una mano per partire: chi ci ha dato il denaro, chi ci ha dato i servizi, chi ci ha sostenuto con la propria notorietà sottoscrivendo il progetto.

A.R.C – Cosa c’è nel futuro di Marche Centro d’Arte. Come pensate di procedere?
L.R. – Questi primi anni sono serviti a capire se l’idea progetto resisteva alle difficoltà. Alla fine del terzo anno abbiamo capito che vale la pena portarla avanti e abbiamo creato un secondo progetto per i prossimi tre anni, dove dobbiamo sostanziare il nome che abbiamo dato al progetto, quindi costruire una struttura che sia regionale in forma liquida. Che ci siano tanti nuclei di Marche Centro d’arte, che operino in una logica comune, di cui noi ci riserviamo la direzione artistica e la strategia, ma che sia regionale.

A.R.C – Una strategia ambiziosa. Parliamo di questo quarto anno, il primo del nuovo progetto a struttura regionale. Cosa è successo?
L.R. –  Prima di tutto abbiamo coinvolto le scuole, abbiamo coinvolto il territorio e altre amministrazioni, oltre a quella in cui siamo nati e cresciuti. Abbiamo messo insieme quattro comuni: San Benedetto del Tronto, Cupra Marittima, Monteprandone e Offida.
Abbiamo costruito un progetto su tre piani paralleli: Il piano artistico con un sistema di mostre che si è svolto da maggio a giugno in contemporanea, in tutti gli spazi; quello scolastico, che ha coinvolto gli Istituti Comprensivi del territorio per un totale di diecimila studenti, con dei laboratori che hanno prodotto elaborati esposti in un altro spazio, al margine di un convegno sulla creatività.
Il terzo piano è quello del territorio. Ognuno di questi comuni ha sviluppato un tema che li caratterizza più di altri. A Monteprandone, partendo dal Santuario dedicato a Giacomo della Marca, è stato assegnato il tema della spiritualità; Offida il tema enogastronomico (ospitano l’enoteca regionale); Cupra Marittima il tema archeologico. C’è un Parco Archeologico importante, un Museo e, non meno importante, un archeoclub che opera sul territorio da quarant’anni; a San Benedetto il turismo. Ogni centro ha sviluppato degli eventi. Questo ha creato un turismo a chilometro zero, uno scambio di reciproca accoglienza. L’obiettivo era quello di aggregare. Questi tre piani vanno immaginati come tre lamelle sottili parallele fra di loro, che vibrando sono andate in risonanza e hanno creato questa armonia.
ARC